domenica 8 dicembre 2024

Francesco Guccini e il cinema in primo piano a Porretta

È a casa sua fra le alte colline e le dolci montagne dell’Appennino, Francesco Guccini. Per arrivare a Porretta cinema ha dovuto percorrere soli pochi chilometri, attraversando il confine fra Toscana e l’Alto Reno bolognese. Non ha perso l’ironia e la battuta tagliente, si scusa per qualche passo claudicante, ma “ho avuto un problema alla gamba”. Classe 1940, cantautore, poeta e tante altre cose, fra cui attore di cinema, è un’icona dell’impegno politico, della cultura emiliana di campagna e di collina, ma anche della lingua, che sia italiana o dialettale. Si è messo a tradurre dal latino al dialetto locale delle poesie, e al Festival di Cinema di Porretta è venuto a parlare del suo rapporto con il cinema.

Quello suo come attore, nonostante “sia una noia mortale sul set, sempre in attesa”, ma anche quello che ha amato da spettatore. Per l’occasione, poi, gli è stato consegnato un premio speciale Elio Petri. Motivazione, “Cantautore, scrittore, attore capace di insegnare a intere generazioni che ‘Ci vuol costanza, ad invecchiare senza maturità’. Oltre 20 album pubblicati. 30 libri scritti. Autore di canzoni per altri e di colonne sonore. Scrittore anche di fumetti. Anche al cinema ci ha insegnato come apprezzare la ‘Musica per vecchi animali’. La sua amata Pavena è poco distante da qui. E qui, a questo Festival, lo abbiamo sempre voluto. Il nostro è un premio che si unisce alle decine di onorificenze già ricevute. Ma che arriva dal cuore di chi sa, ha sempre saputo, di vivere a pochi chilometri da chi ha saputo forgiare la nostra idea di musica, di politica. Di ciò che la cultura dovrebbe essere. E che per noi da sempre porta il nome di Francesco Guccini’.

Al cinema ci andava, da giovane, “due o tre volte alla settimana”, ci ha raccontato nel corso di un incontro a Porretta. “Ci si andava alla metà del primo tempo, dopo cena. Ricordo che si aspettava il secondo tempo, poi c’era di nuovo il primo tempo e ci si diceva, ‘ecco siamo arrivati fino a qua’, ci si alzava e si andava via. Da fumatore, ho smesso di andare al cinema quando l’hanno vietato. Ultimamente non ci vado quasi più, non mi muovo molto volentieri, ma non sono mai stato un gran cinefilo, anche se di bocca abbastanza buona, guardavo un po’ tutto. Ricordo con piacere però negli anni ’60 e ’70 i cineforum, queste proiezioni di autori a volte stranissimi. Mi è successo di vedere un film polacco con i sottotitoli in tedesco, proiettato per errore con il secondo tempo al posto del primo. Non è mai stato il cinema di grande ispirazione per le canzoni o i miei libri. Ma di ricordi ne ho tanti”.

Ricordi di incontri con registi e di lunghe giornate sul set. Dove dice di essere finito per caso. “Non ho mai avuto velleità di fare l’attore, mi è capitato. Prima ho fatto un film per la televisione su Bologna, diretto da Gianfranco Mingozzi, Fantasia, ma non troppo, per violino (1976), in cui facevo il cantastorie Giulio Cesare Croce, l’autore del Bertoldo e Bertoldino. Giravo per Bologna vestito in maniera buffa. Poi ho fatto Radiofreccia con Ligabue, in cui facevo un barista. Lui è bravo, lo vedo ancora, è un emiliano come me, parliamo dialetto quando ci vediamo, il correggese e il modenese non sono uguali, ma simili, anche con Zucchero ci capiamo, che è reggiano. Ricordo che durante la lavorazione di Radiofreccia, un anziano di Correggio, dove giravamo, il paese del Liga, mi chiese una grappa. Gli risposi, mi spiace ma qui è tutto finto, è un set di cinema, non ho niente. Ci ha pensato un po’ e poi mi ha detto, mi dia allora un amaro. Ho fatto poi tre film con Pieraccioni e Musica per vecchi animali, con la regia dello scrittore Benni, come attori c’erano Paolo Rossi e Dario Fo. Il cinema è molto diverso dai concerti, quando andavo sul palco e facevo le mie canzoni, nel cinema bisognava aspettare che montassero, poi smontassero, all'inifinito. Era noioso, non mi sono molto divertito a fare l’attore”.

Nato a Modena, di cui è diventato un solido rappresentante, specie della sua cultura contadina, è stata costretto dalla guerra a trasferirsi con la madre dai nonni paterni a Pavana, proprio dove poi in questi anni è tornato stabilmente, vivendo a pieno territorio, dialetto e cultura locale. Proprio Guccini ha sempre portato avanti un culto per la parola e il linguaggio, come cantautore e poeta. “La parola è importante, ma in Italia c’è sempre più ignoranza, specie scolastica, ha perso quel significato che aveva tempo quando, come diceva Gramsci, c’erano due culture fondamentali: quella borghese e quella contadina, che non era quella ufficiale, ma un dialetto era ricco di espressioni che si sono perse. Nessuno parla più dialetto e si parla un italiano di base, molto televisivo. Segno di un ignoranza collettiva che permea molti strati della società, certe televisioni commerciali che hanno invaso il mondo della comunicazione hanno imposto un linguaggio sempre più semplice, perché l’importante è farsi capire con poche parole da tanta gente, in modo che possano consumare, comprare. Ogni anno il Natale si inizia a festeggiare prima, mi aspetto che il prossimo anno si parta dopo ferragosto”.



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