domenica 24 novembre 2024

Rosario Dawson al Torino Film Festival dopo trent’anni di carriera

Le si illuminano gli occhi, quando rievoca il suo primo film, Kids. Rosario Dawson aveva quindici anni, viveva nel Lower East Side di New York, quando venne notata per strada da Larry Clark, fotografo e regista iper indie, che le propose di partecipare al progetto provocatorio di Kids. A Torino per riproporlo al pubblico, in occasione della consegna della Stella della Mole, è un fiume in piena di carisma e simpatia.

In questo non è cambiata negli anni, da quando ha fatto irruzione nel mondo del cinema senza il percorso classico di studi, quasi per caso. Anni di elaborazione di una possibile sindrome dell’impostore, sempre più trasformata in un valore aggiunto, quello di chi ha sempre cercato di fare anche altro, dalla produzione alla regia, da una linea di moda (sostenibile) a mille altre cose. “Come dire, se dovesse finire non mi dispero, farò altro”, come ci ha detto durante un incontro con la stampa al Torino Film Festival. Inevitabile rievocare la (piacevole) esperienza con Gabriele Muccino in Sette anime, al fianco di Will Smith, ricordando vividamente la sua energia gestuale e vocale, l’invito iper cinetico. “Ancora oggi ci sentiamo, stiamo parlando di un possibile nuovo progetto”, ha aggiunto.

L’industria del cinema americano è molto cambiata in questi anni, come ricorda Dawson, anche se rivendica con vigore come fin dagli albori il contributo femminile ci sia stato, e sia sottovalutato. “Poi, certo, ogni generazione rivendica più spazio, ora le produttrice e le registe sono decisamente aumentate, le donne hanno sempre più potere negli sistema degli studio. Detto questo, spesso siamo relegate in ruoli non apicali, succede in ogni industria, ma è in corso un cambiamento trasformativo per tutti, lo storytelling non dovrebbe avere genere in nessun modo, ma preoccuparsi di raccontare storie. Mi hanno sempre detto, goditi il momento perché prima o poi sarebbe finito invecchiando, con il passare degli anni. All’inizio la gioventù mi ha fatto scoprire, ma per restare per trent’anni in questo mondo devi avere delle capacità. Non ero professionista, mi muovevo come riuscivo. Ovvio che mi dispiacerebbe potesse finire quello che faccio e che amo, ma è un viaggio incredibile che mi ha portato a fare molto altro, a dirigere e produrre, alla filantropia e al mio marchio di moda. Mi mantengo energica, sono una donna e devo cambiare. Mi piacerebbe un percorso alla Maggie Smith. Jane Fonda mi ha detto che non ha mai lavorato tanto come oggi”.

Molto si parla oggi del ruolo dell’intimacy coordinator per supportare gli attori e le attrici durante le scene intime. Lo avesse avuto a disposizione in passato avrebbe aiutato? “Mi ricordo una scena di Alexander in cui ero nuda con Colin Farrell, un momento in cui la macchina da presa era dietro di noi, in una dinamica in cui c’erano più di venti persone sul set ed ero lontano da casa e da chi conoscevo. Ricordo ancora che mi sono chiesta cosa stesse succedendo, mi sono dovuta fermare per riconoscere cosa accadeva e ritrovare il mio centro. Oggi con il coordinator gli attori non devono capire da soli come trovarsi a proprio agio. Hanno una persona che aiuta la privacy e il rispetto. Conosco molte persone che non fanno più le attrici perché erano a disagio nel non avere questo tipo di supporto”.

Rosario Dawson è molto impegnata sul versante ambientale, tanto da essere ricordata dalla rivista Time fra le cento personalità più rilevanti al mondo per la lotta contro il cambiamento climatico. “Sono cresciuta a New York ma amavo andare a Coney Island e nei boschi, fuori città. Ho sempre amato la natura e mi sono impegnata a ogni livello per fare qualcosa per preservarla. Anche solo pulire un giardino o comprare vestiti di un’azienda sostenibile può aiutare. Tutto si relaziona all’ambiente e al nostro rapporto con esso. Quel riconoscimento corona molti anni di lavoro svolto con passione, fin da quando ero bambina. Sono nonna, ho paura per mia nipote e per la direzione in cui andremo a finire. Possiamo far parte di una rivoluzione, è cruciale capire che abbiamo il potere per cambiare le cose. I giovani oggi sono giustamente molto impazienti. Se penso agli adolescenti, poi, mi sembrano anche più soli di quelli raccontati trent’anni fa in Kids. Con internet sono ancora più esposti alla violenza, all’abuso e al pericolo. Oggi sono grandi consumatori e non bisogna sottovalutare i pericoli del bullismo, il rischio di suicidi e problemi emotivi gravi. È una deriva che mi preoccupa”.



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