Uno dei grandi protagonisti della venticinquesima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce è un regista che ha fatto dell'impegno politico, dell'analisi sociale e della difesa dei diritti della classe operaia una missione. Ken Loach, che qualcuno chiama Ken il rosso, ha saputo narrare come nessuno mai la quotidianità delle persone meno fortunate, ridotte all'impotenza dalla burocrazia o dimenticate da uno stato che alla fine tutela gli interessi di un'oligarchia economicamente forte. Ha raccontato grandi rivendicazioni e piccole battaglie, come quella, in nome della dignità, del falegname cinquantanovenne Daniel Blake, protagonista di quel Io sono Daniel Blake che nel 2016 ha vinto la Palma d'Oro al Festival di Cannes.
A Ken Loach l'edizione 2024 del festival pugliese diretto da Alberto La Monica ha dedicato una retrospettiva che comprende 8 titoli fra cui The Old Oak, ultima fatica del filmmaker e inno alla tolleranza e all'accettazione. Al regista ottantottenne è stato anche consegnato l'Ulivo d’Oro alla Carriera, che si è guadagnato un posto sulla mensola del camino della sua casa in Inghilterra. Inoltre, l'uomo a cui dobbiamo Il vento che accarezza l'erba (altra Palma d'Oro) volentieri ha risposto alle domande di Luciana Castellina (politica, giornalista e scrittrice) durante un incontro che è stato musica per le nostre orecchie. Con una lucidità straordinaria, Ken Loach ha parlato del cinema come strumento privilegiato per restituire la realtà e come arte collettiva, per poi rivelare che a ispirare il suo lavoro sono stati i film di Vittorio De Sica. Ma non finisce qui, perché Loach ha tenuto una vera e propria lezione di economia politica, che prontamente vi riproponiamo.
Come si è trasformata la realtà dagli anni '60 ad oggi e cosa è cambiato in peggio
Penso che si debba parlare non di un cambiamento ma di un processo. C'è una cosa che ho imparato dalla politica negli anni '60. All'epoca c'era la nuova sinistra e, quando marciavamo per manifestare, gridavamo sempre: "Né con Washington né con Mosca!", opponendoci con veemenza al capitalismo occidentale da un lato e alla dittatura burocratica stalinista di Mosca dall'altro. In particolare auspicavamo alla fine del capitalismo, temendo fortemente le conseguenze del suo sviluppo. L'essenza della nostra protesta era la dicotomia fra due classi sociali - la classe operaia e la classe dirigente - e il conflitto che ne derivava, che poi era un conflitto principalmente di interessi. La nostra idea era di continuare a marciare e a protestare fino a che la classe operaia non fosse risultata veramente attiva. Questo era l'obiettivo principale della politica della sinistra di quegli anni. Il problema, però, era riuscire a sviluppare un certo grado di consapevolezza. Dovevamo cioè essere coscienti che questo approccio era il nostro punto di forza. Purtroppo la classe dirigente ha continuato ad adoperarsi per impedire alla classe operaia di unirsi e di organizzarsi per resistere. La classe operaia non doveva essere sfruttata, la classe operaia fa quello che deve fare: lavorare ciò che viene creato e trasportare ciò che viene prodotto. Purtroppo la classe dirigente ha continuato con il suo atteggiamento parassita che porta inevitabilmente allo sfruttamento del lavoro altrui, con delle conseguenze imprevedibili. Questa tragedia, purtroppo, si è poi perpetrata anche nei 60 anni successivi. Le conseguenze oggi non sono più tanto imprevedibili. La sempre maggiore concorrenza fra le multinazionali porta inevitabilmente a una pressione, a una riduzione dei salari e a uno sfruttamento delle risorse del pianeta. Eppure si sa che queste risorse sono esaurite e che lo sfruttamento avrà conseguenze drammatiche sul pianeta stesso. Ciò nonostante si va avanti, perché il profitto del prossimo anno andrà a determinare il successo di questa o quell'azienda, e quindi, per arrivare a un profitto, la politica si fa sempre più aggressiva e scende in guerra, e lo fa perché i politici devono ampliare la loro zona di influenza in modo tale da poter vendere i propri beni al mercato, e ciò determina uno stato permanente di distruzione e di povertà, e, man mano che la situazione peggiora, si diffondono sempre più governi autoritari, e così arriviamo a Trump e all'estrema destra che continua a guadagnare, guadagnare e guadagnare, e questo è il pericolo in assoluto più grande.
Lo spirito del 1945
Da attivista e militante, Luciana Castellina ricorda a Ken Loach il documentario The Spirit of '45, che parte da un anno fondamentale nella storia della Gran Bretagna.
C'è una cosa importante che voglio dire del film, in particolare della lezione che ha voluto dare. Nel periodo postbellico, quindi subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, c'è stato un periodo di grande progresso per la classe operaia, perché finalmente il popolo aveva in mano una serie di servizi, a cominciare da quelli sanitari, a cui si aggiungevano l'istruzione, le miniere, le ferrovie, i trasporti, l'industria dell'acciaio. Ovviamente tutti pensavano si trattasse di un risultato grandioso. C'era però un problema, e cioè che l'economia alla base della nostra società era ancora di tipo capitalista, e nel corso degli anni i capitalisti hanno rivoluto tutto indietro, perché non accettavano di utilizzare quei servizi attraverso il pagamento delle imposte per poter aiutare le persone in difficoltà economiche. Si trattava invece di sfruttare quei servizi per trarne profitto, e il profitto ha portato poi alla perdita di tutto. Quando Margareth Thatcher, nel 1979, ha vinto le elezioni, sconfiggendo il partito nazional-democratico laburista, siamo tornati indietro: è tornata la privatizzazione dei servizi. Sono convinto che, se non affronteremo la questione partendo dalla base, se non entreremo nel vivo del problema, ritorneremo sempre indietro, addirittura al punto di partenza. Quindi, se c'è una lezione che possiamo imparare dal 1945 e dal periodo successivo è che non basta cambiare i rapporti dall'alto. Se desideriamo un cambiamento permanente, dobbiamo entrare nel nucleo dell'economia.
Le guerre di oggi
Alla fine dell’incontro, Ken Loach condivide la sua opinione sulla guerra fra Russia e Ucraina e sul conflitto fra israeliani e palestinesi.
Anche io come voi leggo i giornali e guardo i telegiornali. Anche io partecipo alle proteste e alle dimostrazioni, per esempio a sostegno del popolo palestinese. Non ho riflessioni particolari da condividere, ma ho una sensazione di cui voglio parlarvi. Mi sembra che la guerra in Ucraina sia complicata anche dalla tendenza espansionistica occidentale e dalla risolutezza di Putin di mantenere le posizioni che ha avuto per decenni. Ora, le critiche nei confronti di Putin ci sono sempre state, non sono certo una cosa recente. Ci sono state delle figure non necessariamente di sinistra che hanno detto una cosa importante: "Se vai a stuzzicare il can che dorme, a un certo punto il cane reagisce". Con questo non voglio assolutamente sostenere Putin, ma questa tragedia era in qualche modo prevedibile. Non posso dire molto della nuova ascesa di Donald Trump, credo però che sia ora di parlare e di avviare delle conversazioni soprattutto tra le nuove generazioni. C'è un altro aspetto che mi preme sottolineare rispetto al conflitto in Ucraina. Gli Stati Uniti stanno facendo ciò che hanno fatto in tanti altri paesi. Basta pensare all'America Centrale e all'America Latina. Parlo dei tentativi ripetuti di assassinare Fidel Castro e di implementare un certo tipo di economia, ad esempio in Nicaragua. Penso anche a quello che le forze militari statunitensi hanno fatto per rovesciare il governo sandinista inviando altri terroristi e distruggendo scuole, villaggi, edifici. E più ci rifletto, più mi rendo conto che la storia si sta ripetendo.
Per quanto riguarda invece il conflitto fra Israele e Palestina, assisto quotidianamente a quelli che sono veri e propri crimini di guerra, veri e propri crimini contro l'umanità. Ciò che sta succedendo a Gaza è inimmaginabile. Ci sono tantissime persone imprigionate o che non hanno la possibilità di difendersi. Soprattutto ci sono tantissime persone massacrate, vittime delle bombe. Le scuole cadono a pezzi, così come i campi di accoglienza dei rifugiati e i luoghi di culto. Le persone muoiono all'interno delle proprie case e al momento le vittime stimate sono fra le 44 e le 45 mila, ma noi sappiamo dalle associazioni mediche presenti sul territorio che sono centinaia di migliaia di più, e quando parliamo di vittime non intendiamo solo le persone che muoiono ma anche chi soffre le conseguenze del conflitto, magari perdendo la vista o andando incontro ad amputazioni varie, il che significa essere sempre dipendenti da un'assistenza medica che di fatto non hanno. Lo ripeto: siamo di fronte a dei crimini di guerra, e per me è impossibile da immaginare che l’Occidente fornisca e rifornisca armi per perpetrare questi crimini. Per fortuna ci sono dei movimenti a supporto della Palestina, il mondo può vedere quello che sta accadendo e un giorno giustizia sarà fatta. Ci deve essere giustizia! È necessario che questi criminali rispondano delle loro azioni. Attenzione, però: ci deve essere giustizia da entrambe le parti. I palestinesi devono avere uno stato e devono soprattutto avere il diritto di decidere per se stessi e per il proprio stato. Finché non sarà così, non ci fermeremo.
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