Chi ama i fumetti non può non conoscere Alan Moore, classe 1953, uno dei meno incasellabili autori che quest'arte abbia conosciuto, dietro a capolavori conclamati come Watchmen, V per Vendetta, Batman - The Killing Joke, From Hell, giusto per citarne alcuni dei più famosi, peraltro trasposti in forma audiovisiva. In un'intervista con The Guardian, lo sceneggiatore inglese ha riflettuto sulla dipendenza dai supereroi da parte della cultura di massa contemporanea, individuandone un aspetto che giudica inquietante. Prima di procedere, ricordate che Moore si è sempre definito "anarchico", non a sinistra né a destra. Leggi anche V per Vendetta, l'ira di Alan Moore contro l'adattamento della sua graphic novel
Alan Moore: nei supereroi i prodromi del fascismo
Chi meglio di Alan Moore potrebbe esprimere un'opinione sulla popolarità dei supereroi e sulla loro importanza nella società, considerando che ha affrontato il tema esplicitamente in Watchmen, la storica graphic novel illustrata da Dave Gibbons? Naturalmente, opinione non significa verità insindacabile, ma se c'è qualcuno al quale concediamo di avviare un dibattito provocatorio, quello è proprio Moore, che nell'intervista sul Guardian dice:
Centinaia di migliaia di adulti fanno la fila per vedere personaggi e situazioni create per intrattenere dodicenni - e sono sempre stati maschi - cinquant'anni fa. Non ho mai pensato sul serio che i supereroi fossero roba per adulti. Credo che l'equivoco sia nato da quello che è successo negli anni Ottanta, del quale devo prendermi la mia consistente parte di responsabilità, anche se non l'ho fatto apposta, quando cose come Watchmen hanno iniziato a comparire. Ci fu una mostruosa quantità di giornali che scrivevano: "I fumetti sono cresciuti". Io però penso che non lo siano. Ci furono alcuni titoli che erano più adulti di quello a cui la gente era abituata. Ma la maggior parte dei fumetti era rimasta sostanzialmente la stessa. Non erano i fumetti a essere cresciuti. Più che altro i fumetti incontravano l'età emotiva del pubblico che tornava indietro verso di loro. [...] Lo dissi già nel 2011, pensai che avere milioni di adulti in fila per vedere i film di Batman avesse serie e preoccupanti implicazioni per il futuro. Perché quel tipo di infantilizzazione, quella necessità di tempi più semplici e realtà più semplici, può aprire spesso la strada al fascismo.
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