martedì 29 maggio 2018

Cappotto chiaro o cappotto scuro?

Un altro tango nella milonga di Parigi

Nei mesi in cui il maestro Bertolucci preparava l'opera cardine del suo cinema un altro italiano a Parigi, il senatore Piano, stava progettando gli spazi del Pompidou.

Rivedere oggi Ultimo Tango nella sublime copia che ci ha restituito la Cineteca Nazionale dopo un solerte e fondamentale lavoro di recupero, è come tornare a fare visita ad un museo di arte contemporanea che dai primi anni settanta mantiene ancora oggi il fascino di chi ha saputo -con la sua collezione- raccontare un'epoca ed essere pioniere dei gusti e delle tendenze che hanno segnato le generazioni a venire.

Tornare in questo museo oggi dopo anni e trovare però una stanza in più, che rende ancora più ricca la galleria: è questa la opportunità che ci offre la possibilità di vedere il film in lingua originale, con il francese strascicato di Brando e l'inglese scolastico della Schneider.

Questa piacevole riscoperta avvicina straordinariamente il film alla pagina di Moravia forse anche perché questa versione – specialmente ai cinefili colti e ambiziosi della mia generazione - non può non ricordare l'originale del Disprezzo, il cui possesso di una copia in vhs certificava, almeno una ventina di anni fa, una certa militanza e gusto cinefilo. Quando la stessa videocassetta di Ultimo tango era un vero e proprio best seller nella copia che aveva distribuito in edicola nel gennaio del 1995 L'Unità diretta all'epoca da Veltroni.

Tornare a vedere un film che si ama, per la prima volta in sala, vederlo con Bertolucci stesso in platea mi ha trasformato nel protagonista di Punto Omega di De Lillo, che non riesce a svincolarsi dall'ossessione di entrare nell'opera di Hitchcock rallentata fino al paradosso dall'intuizione di Douglas Gordon. Siamo non a caso ancora nell'orizzonte dell'opera cinematografica e del museo.

Oggi il film mi ha trasmesso un'immagine di una Parigi ferita come nella Francia di oggi e una dialettica quasi faustiana tra i personaggi. Margherita invasata di un Brando carismatico da sfiorare il demoniaco, con il positivista Faust Leaud uomo del secolo breve che venderebbe l'anima al diavolo per raggiungere un successo planetario esplorando nuovi linguaggi della sua camera-stylo.

Ma soprattutto, sullo sfondo della Tour Eiffel ripresa da due punti di vista diversi dal Maestro, mi sorge un dilemma amletico che non avrà mai risposta. Preferisco il cappotto chiaro di Brando o quello scuro di Trintignant ?



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