L’animazione sarà la controprogrammazione cinematografica giusta, per quest’estate di Europei di calcio, in attesa delle Olimpiadi? A giudicare da Inside Out 2 e i suoi salvifici sei milioni di euro incassati in tre giorni, la risposta sembra essere decisamente sì. C’è poi un’altra conferma, più sotterranea, quella di Enzo D’Alò, che gira l’Italia a catturare pubblico all’aperto nelle sere in cui gioca l’Italia. L’ha fatto il 14 giugno, con il Cinema in piazza a Roma, a San Cosimato, e l’ha confermato ieri in una serata della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro. Ha presentato il suo ultimo film, Mary e lo spirito di mezzanotte, di cui abbiamo parlato altrove nel dettaglio, che ha accompagnato in Piazza del Popolo insieme a uno speciale backstage del film.
Quattro generazioni di donne accompagnano il percorso di crescita dell’undicenne Mary, tra lutto e consapevolezza di sé, in una storia tratta dal romanzo autobiografico di Roddy Doyle, La gita di mezzanotte, pubblicato da Guanda.
Si dice contento, D’Alò, che sia un film d’animazione a rianimare il botteghino, auspicabilmente dando una svolta all’estate in sala, anche se riconduce il risultato “alla formula Disney, alla positiva capacità di fidelizzazione” di quel logo, al di là della specificità della Pixar. “Dietro c’è un immaginario e non possiamo sottovalutarlo”, ci ha detto. “Disney quando ero giovane io aveva un monopolio di decenni nell’animazione, è cruciale la presenza costante nel mercato, la gente dimentica in fretta. Io riparto ogni volta da zero con ogni nuovo film. Per gli americani l’immaginario è cruciale, come quando prendono una qualunque bottiglia di Chianti venendo in Italia, magari mediocre, e la riportano a casa per rappresentare l’immaginario della Toscana. Non sono interessati al buon vino, ma a mostrare che sono stati lì.”
Enzo d’Alò ha raccontato quanto inevitabilmente “metti te stesso in ogni film e può capitare di tornare a tematiche già affrontate in altri progetti, come è il caso del lutto in Mary e lo spirito di mezzanotte ma anche ne La gabbanella e il gatto. Il distacco e la perdita sono fra i temi, ma non i più importanti. È sempre al centro delle domande dei giornalisti e delle domande del pubblico forse perché si riferiscono a dei tabù. Racconto la speranza associata alla perdita più che la malinconia o il pianto e la paura di cosa accadrà dopo la morte. Non voglio dare risposte, ma credo che qualcosa di ognuno di noi poi resta. Quello che lasci sulla terra sono poi i valori che trasmetti”.
Qual è la differenza fra cinema per adulti e per bambini, “spesso ben più avanti rispetto a noi grandicelli”? D’Alò non si lascia sfuggire la possibilità di relativizzare questa distinzione inutile, ricordando poi come la musica dei suoi film è sempre d’autore e mai tradizionalmente intesa come per i più piccoli. Basti pensare alle collaborazioni in passato con Paolo Conte, Pino Daniele, Gianna Nannini, Luis Bacalov e David Rhodes per quest’ultimo film, ma anche per La gabbanella e il gatto, storico chitarrista di Peter Gabriel. A proposito di musica, ricorda di aver iniziato proprio come musicista, e come sia uno strumento per lui fondamentale. “Mi piace lavorare e cesellare insieme all’autore della colonna sonora, in mondo da sottolineare cosa succede ogni volta nel film. Consegno all'autore la sceneggiatura e quasi subito ho bisogno di un suo contributo, anche provvisorio, per descrivere certe sequenze".
Imbevuto di cultura irlandese, Mary e lo spirito di mezzanotte nasce con lo stesso rapporto sereno, e non certo da film horror, che gli abitanti dell’isola hanno con i fantasmi. “Sono una presenza di famiglia, persone con cui chiacchierare senza preoccuparsi che siano immateriali”, ha detto D’Alò, che si è affidato quasi sempre a opere letterarie per i suoi film, e si conferma forte lettore per il piacere di farlo, anche se, come tuti, “mi costruisco in testa un film su quello che leggo. Ogni lettore è regista del proprio film, è un’elaborazione mentale molto importante. L’ispirazione segue poi la mia maniera di vedere il mondo, e dobbiamo essere noi in primis a commuoversi e a divertirci, lo dico sempre ai miei collaboratori, altrimenti come potranno farlo poi gli spettatori?”
Ama il cinema tedesco, su tutti Wenders, fin da giovane, e ringrazia l’animazione giapponese per aver rotto la distinzione fra pubblico adulto e bambini nel genere. “Noi europei siamo più indietro, specie in Italia, anche se parlerei di tecnica e di cinema, non di genere, parlando di animazione. Mi sento vicino agli autori asiatici, che hanno superato il limite del mainstream portando a far ridere e divertire passando sempre da un racconto anche inquieto sui rapporti sociali della loro comunità. Anche noi in Europa, nel nostro piccolo, stiamo facendo questo percorso. Nonostante i bandi del nostro ministero siano fatti con incompetenza, non credo malafede, e non aiutano l’animazione. Spero qualcosa cambi presto, per aiutare questa tecnica così amata anche dalle nostre parti”.
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