domenica 9 giugno 2024

Il Compleanno di Paperino: 90 anni dell'antieroe animato che continua a raccontarci

Magician Mickey è un cortometraggio datato 1937 e diretto da David Hand, il regista di Biancaneve e i sette nani. Topolino si esibisce sul palco in numeri di magia, ma qualcuno nel pubblico è geloso. È un personaggio nato appena tre anni prima, ma già graficamente compiuto e definito. È un papero. Almeno in animazione, nel contesto di cui ci occupiamo essenzialmente qui, è l'antitesi di Mickey Mouse.

Già dal suo esordio nella Silly Symphony dal titolo The Wise Little Hen (9 giugno del 1934, "La gallinella saggia", diretto da Wilfred Jackson) si è capito che tipo sia: simula malanni per sfuggire al lavoro, insieme al compare Meo Porcello, col quale si dà alla pigrizia professionale.

Non solo Paperino rappresenta l'opposto caratteriale del solare, sereno e ottimista Topolino, ma in Magician Mickey addirittura lo contesta attivamente. “Everybody can do that!”, “Questo lo possono fare tutti!”, starnazza con la voce di Clarence Nash, il fantasista vocale che lo doppierà per mezzo secolo.
Naturalmente non è vero, non lo “possono fare tutti”. Le magie di Topolino in Magician Mickey vanno al di là della prestidigitazione: sono incredibili, pazzesche, non ne sbaglia una. Paperino è semplicemente invidioso, la sua è solo commedia umana, non rappresenta alcun modello. O meglio, lo rappresenta al contrario. Bisogna guardare Paperino che si copre di ridicolo e fare l'opposto di quello che fa lui. Non ha alcuna ragione per demolire Topolino, che non ha nulla contro di lui, ma lo fa perché sostanzialmente è un debole. Non è una star, è una persona qualunque, e questa discrepanza non la può accettare.

Il contrasto con Topolino inizia già quando il topo si muove ancora in bianco e nero, nell'Orphan's Benefit del 1934, diretto da Burt Gillett: si presenta allo spettacolo di beneficienza per il suo momento di gloria, come un uomo medio odierno che tenta la strada di un reality o un talent. E la sua performance è penosa: declama una filastrocca ma nessuno capisce una parola, viene contestato e si offende. Qui per la prima volta assume la sua posizione di combattimento: il saltello con l'oscillazione di un braccio, mantenendo l'altro teso, in segno di sfida. La posa è ideata dall'animatore Dick Lundy, venendo subito adottata dall'intero studio.
Il pubblico l'adora.

 

Questo debole acquista in quegli anni sempre più forza.
Donald Duck non è figlio dello sberleffo della logica, come il concorrente coevo Daffy Duck di casa Warner. È un Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento, quasi letteralmente: Donald lotta contro gli oggetti, contro gli animali, perché vuol essere lasciato in pace o perché vuol farsi forte con i deboli, a buon mercato (ma mal gliene incoglie). Non è un tonto totale come Pippo, che non realizza nemmeno cosa accade, né sfodera il sorriso-scudo di Topolino: lui non ha il controllo della situazione, è intelligente tanto da capire che le cose gli vanno male, ma non è abbastanza sveglio e positivo da rimetterle a posto.
Carl Barks, prima di passare ai fumetti e dargli una seconda vita sulla carta stampata dagli anni Quaranta, nel 1938 scrive e progetta il corto Self Control di Jack King: in un'America che scopre l'auto-aiuto decenni prima di noi, la psicoterapia che il papero ascolta alla radio non funziona affatto, perché la nevrosi di Donald va oltre. È già da terzo millennio.
Insomma, Paperino è umano.

Quando Walt Disney accetta di realizzare i cortometraggi per la propaganda bellica della II Guerra Mondiale e di mandare uno dei suoi al fronte, non manda Topolino. Non manda Pippo. Manda Paperino, perché la guerra è una cosa seria, e non ammette ingenuità né alienazione: è faccenda dell'uomo comune. L'unico Oscar vinto da Paperino è proprio per Der Fuhrer's Face (1943, di Jack Kinney), dove in un incubo il papero viene tartassato in una fabbrica nazista: umiliare il sorriso di Topolino sarebbe stato troppo, Pippo non avrebbe capito. Paperino il “debole” può soffrire e rialzarsi, si piega ma non si spezza, è il perfetto tramite per una consolazione credibile.

In quei meravigliosi vent'anni, dalla metà dei Trenta fino ai primi Cinquanta, Paperino ha accudito Qui, Quo, Qua, ma spesso si è dimostrato infantile più di loro. Ha amato Paperina (Daisy), sempre però pronto a ridere di lei. Ha incontrato Cip & Ciop, perfette sue nemesi perché all'occorrenza egoisti proprio come lui. Un trionfo fuori controllo nella Golden Age dell'animazione americana, che lo porta per quantità di cortometraggi a surclassare i suoi colleghi di scuderia.

Purtroppo la sua parlata volutamente non del tutto comprensibile inibisce la costruzione di storie animate più complesse, così in animazione Donald si spegne tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, quando finisce anche l'epoca del corto in sala. Paperino sopravvive in antologie televisive di materiale precedente, unite da nuove "cornici" animate per l'occasione (pacchetti spesso diventate amate VHS per i bambini degli anni Ottanta e Novanta).

La tradizione fumettistica americana (specialmente con Carl Barks) e italiana (citiamo Romano Scarpa) gli renderà nel frattempo però più che giustizia, rendendo il suo carattere tridimensionale, meno cinico e capriccioso, ribadendolo alle generazioni a venire: una maschera che legge i tempi e le epoche, in una Paperopoli specchio delle nostre società in divenire.

Al cinema Paperino ricompare nei decenni successivi in modalità autocelebrativa. È il nipote di Scrooge in Il canto di Natale di Topolino del 1983, diretto da Burny Mattinson (l'ultima volta in cui viene doppiato da Clarence Nash). Lo troviamo anche alla corte di Topolino, in un ruolo piuttosto sacrificato, in Il principe e il povero, featurette del 1990 diretta da George Scribner.

Si scontra simbolicamente con Daffy Duck in un'indimenticabile scena di Chi ha incastrato Roger Rabbit nel 1988: una tregua momentanea tra due universi in nome di un'animazione da rilanciare. E il rilancio avviene davvero. Senza nulla togliere all'importanza del Paperino fumettistico (che non approfondiamo solo per insufficiente competenza settoriale), nuove generazioni impareranno a conoscerlo nelle serie tv dalla fine degli anni Ottanta a oggi. La sua presenza è timida nelle prime DuckTales, poi è via via sempre più corposa, immerso (a volte confuso) nella banda Disney capitanata da Mickey, dalle serie educational destinate all'infanzia, agli ultimi esperimenti più sofisticati come i deliranti cortometraggi grotteschi di Paul Rudish per "Topolino" e "Il meraviglioso mondo di Topolino" (su Disney+). Alla soglia d'attenzione dei tempi contemporanei si risponde con le vecchie radici slapstick, accelerate all'ennesima potenza.

Grazie a questa presenza capillare, alimentata anche da una certa popolarità videoludica dagli anni Novanta e oltre, nel 2000 il Donald animato è tornato per un attimo a casa, al cinema, ottenendo la sua agognata "promozione culturale" al fianco di Mickey Mouse, quando è protagonista di un segmento di Fantasia 2000. Di certo non maneggia magie come il suo collega Apprendista Stregone, che si mette nei guai per curiosità. Lui è costretto a smistare e caricare gli animali sull'arca di Noè, sulle note di “Pomp & Circumstance” di Elgar. Si ricorda di tutte le coppie, ma dimentica Paperina.

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Ci piacerebbe veramente tanto rivedere ancora il Donald animato al cinema: sognare un exploit a mano libera è troppo, ma ci faremmo bastare anche una CGI all'altezza della Pixar. Se venisse sul serio approvato il progetto di un vociferato film dalla saga videoludica di Kingdom Hearts della Square, si aprirebbe una porta per riammirare il papero su grande schermo in tecnica mista: lui mago insieme a Pippo guerriero, al fianco di un giovane attore che interpretasse il protagonista Sora.
Nel frattempo gli facciamo tanti auguri, sicuri comunque che il suo posto nell'immaginario collettivo, in una delle sue tante altre incarnazioni, tra fumetti, tv, parchi a tema e videogiochi, non lo perderà mai.



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