lunedì 4 maggio 2020

Wolfman: Benicio del Toro e gli altri lupi mannari

Il sottovalutato werewolf movie del 2010 firmato da Joe Jonhston, Wolfman, ha in realtà molti motivi di interesse, a iniziare dal cast, che oltre al protagonista Benicio del Toro comprende Anthony Hopkins e Emily Blunt per proseguire coi bellissimi effetti speciali del maestro Rick Baker.

Nel 2010, al termine di una lavorazione travagliata, che ha visto il regista Mark Romanek licenziato dal set per divergenze creative col coproduttore e protagonista Benicio del Toro, Wolfman arriva al cinema, completato e firmato da Joe Johnston. Troppo sbrigativamente liquidato come B-movie poco riuscito, è in realtà un film ricco di spunti e di amore verso uno dei mostri più tragici e affascinanti della letteratura e del cinema, il lupo mannaro, che si avvale di un cast in gran forma (oltre a del Toro, l'eroina romantica Emily Blunt, il padre Anthony Hopkins, l'ispettore Hugo Weaving, la zingara Geraldine Chaplin), degli effetti speciali del maestro Rick Baker – 6 Oscar, il primo non a caso per Un lupo mannaro americano a Londra - e che rende omaggio cinefilo ai suoi antecedenti. Non si tratta insomma di un pedissequo remake de L'uomo lupo di George Waggner del 1941, con Lon Chaney Jr. e Claude Rains. Aggiungono valore a questa produzione i costumi di Milena Canonero, il montaggio di Walter Murch e le splendide location, tra l'Inghilterra e Praga.

La storia di Wolfman

Nell'Inghilterra del 1891, Lawrence Talbot, giovane attore teatrale, torna dagli Stati Uniti nel suo paese, in un castello nella brughiera di Blackmoor, chiamato dalla fidanzata del fratello, scomparso nel nulla. Lawrence ha trascorso un periodo in una clinica psichiatrica, dove il padre, sir John Talbot, lo aveva rinchiuso in seguito alla morte della madre. Sul posto, dove sulle aggressioni avvenute nelle notti di luna piena da parte di una misteriosa bestia indaga l'ispettore Abberline di Scotland Yard (quello che ha dato la caccia a Jack lo squartatore), Lawrence finisce per essere gravemente ferito dalla creatura.

Benicio del Toro deus ex machina di Wolfman

Nel 2010 Benicio del Toro e Emily Blunt (quest'ultima ancora agli inizi di una brillante carriera) vennero a presentare Wolfman a Roma e noi avemmo l'occasione di intervistarli. Ci colpì molto la passione di del Toro per il cinema di genere. In particolare ci rivelò di essersi ispirato per il personaggio di Talbot a Oliver Reed e alla sua performance in L'implacabile condanna, il film della Hammer del 1961. Così ci raccontò il suo amore per i monster movie e la genesi di Wolfman: "Sono cresciuto con quei film: L'uomo lupo, Frankenstein, La moglie di Frankenstein, e ho adorato quegli attori, da Boris Karloff a Lon Chaney Jr. A casa ho un poster molto grande in bianco e nero, incorniciato, del primo Uomo Lupo, col volto di Chaney in primo piano. Un giorno il mio agente era da me, l'ha visto e mi ha detto “domani vado alla Universal a proporgli di rifarlo”. Io mi stavo preparando a interpretare Che Guevara, scherzavamo sul fatto che avevo la barba lunga ed ero praticamente già pronto a trasformarmi in lupo. Sono bastate un paio di telefonate, poi siamo andati alla Universal dove si sono sono dimostrati entusiasti all'idea di riprendere questo loro classico, e così è partito tutto”.

Wolfman: i più celebri werewolf movie

Come dicevamo, Wolfman non è una semplice riproposta della storia inventata da Curt Siodmack per George Waggner, ma è una rilettura moderna e spettacolare del mito, che ha origini letterarie antichissime. Il licantropo, l'uomo che si trasforma nelle notti di luna piena, mutando letteralmente pelle per ritrovare la sua natura bestiale, è l'esempio più affascinante della dualità dell'animo umano. Non è un non morto come l'aristocratico vampiro o un morto vivente come lo zombi, ma ha origini contadine, rurali, e la sua maledizione si perpetua finché qualcuno che lo ama non mette fine alla sua sofferenza. Al tempo stesso incarna l'esaltante sensazione di spogliarsi delle vesti della civiltà per riprendere contatto con la propria natura ferina. La sua è la figura più tragica di tutti i mostri conosciuti.

Al cinema il primo Uomo lupo non è in realtà Lon Chaney Jr., ma sono Henry Hull e Warner Oland, protagonisti de Il segreto del Tibet (1935) di Stuart Walker. Ma fu L'uomo lupo di George Waggner a dare il via a un vero e proprio filone, codificando le regole di base del genere. A produrlo fu la leggendaria Casa dei Mostri, ovvero la Universal, che deterrà quasi sempre i diritti dei personaggi, ceduti negli anni Cinquanta, per un breve periodo, alla più fiammeggiante (e soprattutto colorata) Hammer britannica. Nel film del 1941 a mordere e infettare Lon Chaney Jr. è un altro licantropo, interpretato da una leggenda dei film di mostri, Bela Lugosi, che pur essendo legato nell'immaginario popolare a Dracula, nella sua carriera li interpreterà proprio tutti. Autore del trucco di una creatura che resta bipede e umanoide ma molto più pelosa è il grande make-up artist Jack Pierce. Nel 1943, dopo il grande successo del film, iniziano i celebri crossover della Universal con Frankenstein contro l'uomo lupo, dove il mostro di Frankenstein è, appunto, Bela Lugosi. Seguiranno Al di là del mistero e La casa degli orrori, prima del parodistico Il cervello di Frankenstein con Gianni e Pinotto, in cui sempre Chaney rivestirà con la consueta drammaticità la pelle dell'uomo lupo. Gli altri studios provano a rivaleggiare con la Universal a modo loro: nel 1943 la Fox produce The Undying Monster, mentre la Columbia presenta il primo lupo mannaro femminile – l'attrice Nina Foch – in Cry of the Werewolf, del 1944.

Dopo le carneficine della seconda guerra mondiale, le creature hanno perso il loro fascino e soprattutto non fanno più paura. Il licantropo viene declassato a protagonista di B-movies, e, negli anni Cinquanta, diventa sinonimo di imbranataggine adolescenziale in film come I Was a Teenage Werewolf (1957, più o meno rifatto in tempi moderni da Che fatica essere lupi di Larry Cohen e in variante sportiva da Voglia di vincere con Michael J. Fox) e Devil Wolf of Shadow Mountain. Nel 1961 il werewolf movie torna serio - unica eccezione del periodo - col bellissimo L'implacabile condanna di Terence Fisher con il giovane Oliver Reed, realizzato dalla Hammer e tratto dal romanzo di Guy Endore “The Werewolf of Paris”. In Spagna nel 1968, Le notti di Satana inizia un ciclo di dieci film con Paul Naschy nei panni del licantropo. L'Italia contribuisce (poco) con Lycanthropus di Paolo Heusch (1961) e con La lupa mannara di Rino Di Silvestro (1976). E arriviamo finalmente al 1981, quando escono due capolavori del genere: Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis e la fiaba ironica e dark di Joe Dante L'ululato. Due film che parlano in modo diverso dell'essere outsider, di sofferenza e solitudine urbana, natura vs. civiltà, e che declinano la leggendaria figura dell'uomo lupo in chiave contemporanea, nell'era dello yuppismo e dell'esaltazione del corpo. Mai troppo visti e mai troppo lodati, restano nella storia del cinema come le migliori pellicole sull'argomento. Nel film di John Landis resta stupefacente la trasformazione a vista di David Naughton con gli effetti speciali di Rick Baker, ma Rob Bottin, suo allievo, non è da meno coi licantropi molto diversi de L'ululato. Meno fondamentali e più datati appaiono oggi Wolfen, In compagnia dei lupi e Wolf – la belva è fuori, nonostante l'interpretazione di Jack Nicholson. Sono belli e ben caratterizzati infine, col contributo del CGI, i Lycans della serie Underworld, ma non c'è più stato, dopo Wolfman, un tentativo riuscito di riportare al centro della narrazione un personaggio fantastico che ci rappresenta più di quanto siamo disposti ad ammettere. Noi lo aspettiamo.



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