venerdì 1 dicembre 2017

Grace Jones l'icona: Sophie Fiennes ci racconta il suo documentario presentato a Torino

Sophie Fiennes è la documentarista della famiglia. Se Ralph e Joseph hanno intrapreso la carriera di attori, lei ha seguito le orme della maggiore Martha, diventando regista, ma non di fiction. Quest’anno presenta a Torino un lavoro molto atteso, Grace Jones: Bloodlight and Bami, sull’icona androgina della trasgressione degli anni ’70 e poi della disco dei decenni successivi. Musicista, cantante, attrice, performer, modella, una vera protagonista della liberazione dei costumi seguita alla rivoluzione del ’68, arrivata alla soglia dei 70 anni, sempre in forma incredibile.

In arrivo a fine gennaio come evento speciale, Grace Jones presenta lunghi momenti di esibizione live della cantante, alternate a un viaggio verso le radici della natia Giamaica e fasi al lavoro in giro per i mondo.

“Ho incontrato Grace Jones perché ho fatto un film sul fratello, un pastore pentecostale”, ci ha raccontato la Fiennes. “Le era piaciuta la complessità con cui avevo affrontato quel lavoro sulla religione, e mi ha avvicinato chiedendomi di girare un film su di lei, visto che aveva ottenuto varie proposte televisive che non le interessavano. Abbiamo concordato di iniziare a vederci e raccogliere del materiale, con una collaborzione artistica totale. Lei mi chiamava ogni tanto, quando faceva dei viaggi che potevano essere interessanti, io nel frattempo lavoravo ad altro. Mi ha portato in Giamaica, voleva confrontarsi con il difficile rapporto con la sua infanzia e con i genitori, che non volevano se ne parlasse."

È stata la sua prima idea, quella di procedere in questo modo?

Grace disse: è come quando concepisci un figlio, non sai come verrà, semplicemente agisci. La bellezza del documentario è che non sai quello che succederà, non hai una sceneggiatura, devi solo stare attento a catturare quello che succede. Non sei in controllo di quello che succede nella vita. Dopo cinque anni sapevo che avevo la varietà sufficiente per farne un film, ma non potevo finirlo senza una sua performance ripresa come si deve, dal vivo. Lei ama fare fotografie del cielo e delle nuvole, il cambiamento costante del tempo lo puoi anche leggere come il suo cambiamento costante come essere umano, è sempre in movimento.

Qual è il miglior consiglio che ha tratto da una così lunga frequentazione?

Non aver paura, sii coraggiosa.

Spesso è con la sua famiglia, quella del passato e quella che ha formato.

Come tutti noi ha una famiglia, che per lei è molto importante. La gente pensa a lei come icona della trasgressione degli anni d’oro dello Studio 54, ma era per lo più una strategia promozionale. Per lei frequentare i nightclub era come stare in famiglia, o andare in chiesa. Sono connessioni per lei molto importanti, come quella sincera con i fan, che incontra dal vivo, non twittando stupidaggini. Per questo la volevo alle prese con un live con del pubblico presente, che è la basa del documentario, con le canzoni che dialogano con quello che le accade. Lei è stata separata a un certo punto dai genitori, per questo cerca costantemente di ricostruire qualcosa che sente di non aver avuto da bambina. Nella teoria psicoanalitica si è analizzato molto su come ci si esibisca sempre con l’idea di essere guardati di propri genitori.

Grace Jones è stata sempre un’icona per la comunità gay.

Tutta la discussione sulla (trans)identità è molto interessante. Mostra come alcune persone si sentano limitate nell’identità maschile o femminile. La cultura oggi è molto più identificata col genere rispetto a quanto fosse in passato, per le bambine è folle. La cosa fantastica legata alla supposta pazzia di Grace Jones è come sia una maschera oscena, quando alle ragazze viene sempre detto di non esserlo, perché altrimenti non piaci e nessuno ti sposerà, così non avrai quei bambini che ti piacciono tanto. Grace è tutta istinto. La comunità gay è stata la prima a intuire la sua grandezza. Le ho chiesto una volta cosa provocasse così tanta paura nella sua immagine agli eterosessuali, una specie di ansia da prestazione per una creatura così estrema. Lei mi ha risposto che la sua mascolinità androgina produce il loro femminile, il che li spaventa.

È intervenuta per chiedere di tagliare qualcosa, magari momenti che la imbarazzavano?

No, ha fatto una scelta radicale e coraggiosa all’inizio: essere mostrata senza intervenire o alterare nessuna immagine e credo che questo verrà apprezzato dal pubblico, non ha mai cercato delle mediazioni. È stato un atto radicale per lei, riposizionare la camera e mostrarsi senza trucco, non si era mai concessa senza makeup. Ha fatto questo scelta e non l’ha mai rinnegata, non ha mai cercato un controllo creativo. È troppo sofisticata artisticamente per chiedere di togliere un’immagine in cui non è al massimo, io al contrario volevo che sembrasse sempre bella e sorprendente. Mi interessava Il potere e mistero di una bella donna.

Grace Jones: Bloodlight and Bami sarà in sala solo il 20 e 31 gennaio distribuito da Officine Ubu.



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