venerdì 22 dicembre 2017

L'insulto

La candidatura all'Oscar come miglior film straniero risponde, lo si sa, a logiche abbastanza riconoscibili, la più frequente delle quali è l'utilizzo del cinema come veicolo etnografico e ancor più storiografico. Non c'è film tedesco per esempio che abbia vinto l'Oscar come film straniero che non parli di: nazismo, RAF e in tempi più recenti DDR. Fra i nove film presenti nella longlist di quest'anno salta agli occhi, fra gli altri, il film libanese L'insulto di Ziad Doueiri, presentato a Venezia (e in contemporanea anche a Toronto) dove uno dei due attori protagonisti Kamel El Basha si è anche aggiudicato la Coppa Volpi come migliore attore. Ora che questo film figuri nella longlist non stupisce per una serie di ragioni. Non solo il film è una coproduzione in cui c'è molto capitale francese, capitale americano, e belga e cipriota, e ovviamente anche un po' libanese. Inoltre il film, distribuito in Italia da Lucky Red, negozia un conflitto, quello mediorientale, mai sopito, anzi sempre più attuale, anche recentemente a causa delle sciagurate decisioni di Trump. Ancora: il film è un film sulla memoria nazionale e sui problemi legati a una possibile riconciliazione, anche questo un tema che al cinema, a qualsiasi latitudine, funziona sempre bene. Infine: il film è basato su un episodio realmente avvenuto al regista, dunque con autentificazione neo-realista. Ma questi film hanno, quasi sempre, un difetto: sono tremendamente didascalici, sembrano fatti proprio ad uso dell'ignaro spettatore americano (ma in parte anche europeo), al quale tutto ma proprio tutto va spiegato, sia sul piano della realtà dei fatti sia sul piano delle reazioni psicologiche che quella realtà mai davvero elaborata scatena negli individui. L'insulto rientra a pieno titolo in questa categoria di film e l'impianto didascalico è presente in tutto il film; al momento in cui poi, verso la fine, nell'aula di tribunale, si ricostruisce l'antefatto traumatico che almeno in parte spiega il modo di agire del protagonista libanese, anche tramite un video girato con materiale d'archivio risalente agli anni Settanta, ecco che l'impianto didascalico finisce davvero per tracimare e manca solo che lo spettatore si armi di carta e penna, o tablet, e cominci a prendere appunti. Il film è ambientato nell'odierna Beirut, nella quale, tutt'altro che ben accetti, lavorano, per lo più clandestinamente, palestinesi ospitati in campi collocati alla periferia della città. Fra questi anche Yasser, un ingegnere, capo cantiere, incaricato di procedere per conto di una ditta gestita da un imprenditore cerchiobottista con l'avallo e la cointeressenza di un ministro ipocrita e corrotto, a un ammodernamento infrastrutturale di un quartiere della capitale, fra le molte rimostranze degli abitanti del quartiere. I quali, per prima cosa, se ne fregano del cattivo stato delle loro case e in secondo luogo non apprezzano affatto di ricevere e cure da operai e ingegneri di origine palestinese, anzi vorrebbero che costoro se ne stessero nei loro campi senza mai mettere fuori il naso da là. Lo sgarbo del libanese, tamarro nazionalista esaltato che di mestiere fa l'elettrauto, all'ingegnere palestinese neanche lui simpaticissimo, e la conseguente replica dell'ingegnere comprensiva dell'insulto di cui al titolo fa scoppiare in men che non si dica un conflitto che finisce appunto in tribunale. Diamo pure per buono l'estremismo dei protagonisti, duellanti alla JosephConrad/Ridley Scott tanti anni dopo, ma i personaggi di contorno sono caratterizzati nel film in modo davvero molto superficiale e anche in ottica gender piuttosto scorretto. Quando poi si arriva in appello, la costellazione familiare avvocato dell'accusa+avvocato della difesa fa quasi scadere il film a livello di lite condominiale o di format televisivo (manca solo Santi Licheri) togliendo qualsivoglia empatia alle vicende in discussione, con pippone finale e inno alla riconciliazione da parte dell'avvocato senior, neanche questo particolarmente plausibile, dopo che per buona parte del film era parso solo un marpione. L'insulto è un film tutto sommato mediocre e, sul piano politico, non particolarmente coraggioso, vista l'avvertenza nei titoli di testa, in cui il regista si guarda bene dal muovere qualsivoglia accusa nei confronti della politica memoriale del governo libanese. I molti court movies citati in alcune interviste come modelli dal regista Ziad Doueiri (fermato dalle autorità libanesi al ritorno da Venezia e poi rilasciato, con alle spalle, oltre all'assistenza alla regia per Tarantino, i guai successivi alla pubblicazione di The Attack, film del 2012 mai uscito in Italia) appartengono a un'altra categoria. Scomodare Vincitori e vinti o La parola ai giurati ci pare davvero un'eresia.

(L'insulte). Regia: Ziad Doueiri sceneggiatura: Ziad Doueiri, Joelle Touma; fotografia: Tommaso Fiorilli; montaggio: Dominique Marcombe; interpreti: Adel Karam (Tony Hanna), Kamel El Basha (Yasser), Camille Salameh (Wajdi Wehbe), Diamand Bou Abboud(Nadine Wehbe), Rita Hayek (Shirine Hanna); produzione: Rouge International, Tessalit Productions, Ezekiel Films, Scope Pictures, Douri Filmsorigine: Francia, Belgio, Libano, Cipro Usa 2017; durata: 112'.



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