giovedì 28 dicembre 2017

Napoli velata

A soli 10 mesi di distanza da Rosso Istanbul, il suo film che ha lasciato meno tracce nel pubblico dei suoi aficionados italiani (storia turca, attori turchi, e il consueto intreccio costruito e pretestuoso tipico del suo cinema), Ferzan Ozpetek sforna per fine anno un titolo nuovo di zecca, accompagnato dalla consueta mediatica pompa magna che sostiene l'uscita di ogni opera nuova del tutto italico castello in aria del ‘mainstream d'autore', cioè un cinema che a margine di cinepanettoni e sgangheratezze in veste di commedia smaccatamente pensate e realizzate per quella singolare e nutrita torma di spettatori che frequenta le sale solo una volta l'anno in occasione delle feste natalizie, si picca di ostentare un marchio di presunta qualità autoriale mascherata da drammone sentimentale destinato a far riflettere e fornire spunto di discussione nei salotti delle signore bene della borghesia romana, che da sempre coccolano come un pupillo il quasi sessantenne regista turco ormai naturalizzato italiano, cui concedono – con generosità altrimenti regolata e gestita con ben diversa cautela e accorta parsimonia – di stupirle e scioccarle con storie audaci e pruriginose capaci, sì, di scandalizzarle quel che basta per tuttavia mostrarsi, con piccolo sforzo, comprensive e 'moderne'. Grazie a questo criterio reiterato in ormai di vent'anni di onorata carriera, Ozpetek è riuscito dunque a sdoganare presso il pubblico estraneo alle fasce più culturalmente evolute e open minded della società italiana (perché il suo resta, come la buona parte del cinema italiano contemporaneo, ravanatore in patria di grandi numeri e consensi ma pressoché sconosciuto nelle piazze estere che contano) temi ‘scottanti' come l'omosessualità, suo pallino fisso di cui è ormai abbondantemente quintessenziato il suo stesso occhio di regista e narratore: impossibile pensare al risveglio della società italiana giunta solo poco più di un anno fa all'approvazione della legge sulle unioni civili senza considerare l'indubbio scompiglio creato ai tempi dell'uscita di uno dei suoi film più fortunati, Le fate ignoranti, del 2001, cosa per cui senz'altro gli va riconosciuto qualche merito. L'enorme successo di quel film ha purtroppo autorizzato il suo autore a considerarsi l'unico efficace cantore possibile di un'omosessualità assimilata come fenomeno sociale inquadrato nella società italiana del riflusso berlusconiano, totalmente estranea ai tormenti pasoliniani, e comunque priva dello spessore tragico e della densità intellettuale che per secoli hanno animato il dibattito culturale sulla sessualità in Occidente. In Napoli velata, scritto dallo stesso Ozpetek insieme a Gianni Romoli, che con Tilde Corsi ne è anche produttore, pur presente marginalmente in alcune figure di contorno, l'omosessualità non è il tema centrale, come nel caso di Saturno contro, Mine vaganti o Magnifica presenza (per citare solo alcuni titoli), né si può dire che costituisca uno degli ingredienti determinanti di questa storia bagnata di mistero e di quella mistica confusione che intorbida i sensi secondo quella letteratura di scarso valore che vuole ancora Napoli come città o luogo di emotività indefinite e turbamenti divinatori e stregoneschi da maga con la sfera di cristallo in diretta televisiva. L'omosessualità è qui presente, e magari lo fosse ‘velatamente', come suggerisce il titolo del film (che allude al celebre Cristo Velato scolpito nel marmo nella cappella di Sansevero, espressamente citato verso il finale), nello sguardo stesso del regista-autore, che osserva i suoi personaggi scrutandone i corpi spesso senza veli con occhio fastidiosamente ‘affamato', arrivando a imporre anche ai ruoli femminili del cast modalità comportamentali molto più tipiche di un maschio interessato ai maschi che di un eros declinato con sensibilità femminile. Le sequenze erotiche, o di nudo, sono imbarazzanti per questa loro qualità di rappresentazione eccessivamente ‘gay', che induce una donna pur giovane e piacente (la Adriana interpretata da Giovanna Mezzogiorno) che si suppone non abbia mai avuto prima d'ora un rapporto sessuale - per motivi che non vanno rivelati senza cadere nel rischio di spoilerare il ridicolo colpo di scena del film - a frequentare oralmente con insospettato entusiasmo zone del corpo maschile solitamente escluse dall'immaginario di una ‘ragazza per bene', e assai di più oggetto delle fantasie sessuali di un maschio votato al culto del… lato B!. Così come il nudo maschile, nella fattispecie quello rasato e fresco di palestra di Alessandro Borghi, risulta esposto e contemplato con cupidigia gratuita, spesso e volentieri assolutamente non necessaria all'economia narrativa del film. La complessità dell'intreccio ha spinto i critici più fantasiosi a chiamare in causa addirittura l'Hitchcock di La donna che visse due volte, a parere di chi scrive del tutto a sproposito, come da sempre è pretestuoso e fuori luogo ogni fallimentare tentativo di Ozpetek di chiamare in causa la propria personale cinefilia che mai riesce ad elevarsi oltre il livello di una rubrica di recensioni cinematografiche da rotocalco. Ma a subire il danno più grave è Napoli: irreale, scamuffa, interamente ricreata nella fantasia di un autore fermo a una letteratura scadente che la vuole teatro di individui bizzarri, coloriti, esageratamente teatrali e artificiosi, la Napoli filmata e restituita sullo schermo da Ozpetek (che pure, evidentemente ben consigliato, ha girato nelle nuovissime e smaglianti fermate della metropolitana, o sulle terrazze affacciate sui vicoli o sullo splendore del Golfo) resta sempre sullo sfondo come palcoscenico ingombrante, casuale, mai utilizzata, nonostante le intenzioni, come parte integrante e pulsante di sangue e vita di questa storiaccia che mescola omicidi di camorra con suggestioni fantasmatiche e complicanze edipiche scollate dal tessuto cittadino, e da uno dei genius loci più esuberanti e sfuggenti del mondo. Ma finché le signore nei salotti bene avranno di che argomentare sulle nuove pratiche erotiche suggerite dal loro apripista favorito, e sui tatuaggi pericolosamente vicini alle zone corporali raramente baciate dal sole dell'attor giovane di turno, il cinema italiano è salvo e potrà attendere serenamente il prossimo inutile, chiassoso e conturbante melodramma a colori di chi pure fu capace di ben altre altezze, come il mai dimenticato Il bagno turco, dell'ormai lontano 1997.

(Napoli velata); Regia: Ferzan Ozpetek; sceneggiatura: Gianni Romoli, Valia Santella, Ferzan Ozpetek; fotografia: Gian Filippo Corticelli; montaggio: Leonardo Alberto Moschetta; musica: Pasquale Catalano; interpreti: Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Anna Bonaiuto, Peppe Barra, Luisa Ranieri, Lina Sastri, Isabella Ferrari; produzione: Tilde Corsi, Gianni Romoli; distribuzione: Warner Bros. Entertainment Italia; origine: Italia, 2017; durata: 113'



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