Uno dei più brillanti thriller degli ultimi anni è la seconda regia dell'acclamato sceneggiatore Taylor Sheridan. È del creatore della serie Yellowstone che stiamo parlando, e dei suoi spin-off 1883 e 1923, oltre che della prima serie alla quale abbia partecipato Sylvester Stallone, Tulsa King. Ma Sheridan è anche l'autore degli script dei film Hell or High Water (che gli è valso una nomination all'Oscar per la migliore sceneggiatura) e dei due Sicario.
A questo punto dovrebbe esservi chiaro che l'ambiente naturale per lui sia il western, il genere che usa per raccontare la frontiera americana, attuale o del tempo passato. E, seppur I segreti di Wind River sia ambientato al giorno d'oggi tra le nevi del Wyoming, si tratta di un western a tutti gli effetti che vuole raccontare il fallimento delle riserve dei nativi americani.
Protagonista del film è cacciatore solitario Cory Lambert, probabilmente la migliore interprezione di Jeremy Renner. Durante un'escursione nelle foreste innevate, s'imbatte nel cadavere della figlia di un suo caro amico. Mentre dal suo passato personale riaffiorano tragici ricordi, decide di unirsi alla giovane agente dell'FBI Jane Banner, che ha il volto di Elizabeth Olsen, per trovare i responsabili dell'omicidio. Il freddo glaciale sembra che voglia conservare silenzi e segreti, ma i due non demordono e continuano ad inseguire la verità.
I segreti di Wind River: la scena più spettacolare del film
Per poter proseguire la lettura è importante aver visto il film. La scena di cui stiamo per parlare rappresenta un momento cruciale nella narrazione della storia, oltra alla spettacolarità visiva offerta dalla regia.
Le indagini conducono Banner e Lambert proprio in quel luogo dove noi spettatori sappiamo già cosa è successo, grazie a un flashback visto in precedenza. Così facendo, Sheridan ci mette in una posizione privilegiata rispetto ai protagonisti della storia, uno stratagemma che serve per aumentare la tensione, come insegnava il buon Alfred Hitchcock.
Al parcheggio dei camper degli operai, lo sceriffo, i suoi uomini e l'agente Banner stanno chiudendo il cerchio intorno al principale sospettato dell'omicidio. La situazione è più complicata di quello che loro credono e precipita in quello che è un istantaneo Mexican Standoff, detto anche stallo alla messicana, che coinvolge un totale di ben 11 persone. La scena funziona a meraviglia grazie alla regia di Sheridan e al modo in cui ha costruito la suspense fino a quel momento.
La locuzione viene fatta risalire a un racconto di un certo F. Harvey Smith scritto nel 1876, probabilmente originato dalle rapine dei banditi messicani. Con Mexican Standoff, oggi si intende un confronto tra due o più persone (ma c'è un dibattito sempre aperto sul fatto che debbano essere almeno tre) in cui nessuna delle parti abbia un chiaro vantaggio sull'altra e che gli unici possibili esiti sono opposti: ognuno indietreggia e se ne va oppure gravi ferite, se non la morte, sono garantite. La maggior parte degli stalli alla messicana che abbiamo visto al cinema includono armi da fuoco, ma vale anche con armi bianchi o, quando efficacemente costruito, con le parole.
Spesso sentirete dire che due persone una di fronte all'altra, nella più classica immagine del duello western, rappresentino semplicemente uno standoff, in cui il vantaggio di uno sia abilità e velocità con cui maneggia la pistola. Affinché si qualifichi come "messicano", è necessaria almeno un'altra persona che possa destabilizzare l'equilibrio della situazione aumentando l'incertezza dell'esito. In sostanza, lo stallo si crea perché il pericolo è talmente alto che nessuno ha il coraggio di prendere l'iniziativa.
È nei film di Quentin Tarantino e John Woo che vediamo spesso stalli con armi da fuoco.
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