Chi ama il cinema, ma non è esperto di storia dell'arte, conosce Salvador Dalì per Un chien andalou e L'âge d'or, entrambi realizzati insieme a Luis Buñuel. A queste opere bisogna aggiungere la collaborazione con Alfred Hitchcock, che si rivolse al pittore per la scena del sogno di Io ti salverò.
Senza chiederci se sia più famoso Hitchcock o Dalí, vogliamo parlarvi del secondo, che con la sua espressione stupita, i suoi baffi all'insù e i suoi orologi che si sciolgono come Camembert al sole è entrato di prepotenza nell'immaginario collettivo. Ciò che quasi certamente molti non sanno di lui è che aveva un lato oscuro, una irrequietezza di fondo che in giovane età fu sinonimo di ribellione e anticonformismo, mentre nell'ultima parte della sua vita si trasformò in angoscia esistenziale e in una vulnerabilità nutrita dall'ipocondria e dalla paura dell'abbandono.
Proprio la dolorosa vecchiaia di Salvador Dalí è al centro di Dalìland, un originale biopic diretto da Mary Harron e con protagonista Ben Kingsley. La cosa interessante del film è che il punto di vista del racconto è quello di un giovane assistente di Dalí, un ragazzo di nome James che, nella New York del 1974, aiuta l'artista ad allestire una mostra. Improvvisamente James si trova catapultato nello stravagante "circo" di Dalí: belle donne, intellettuali, amici di lunga data e gli amanti di sua moglie Gala (Barbara Sukowa). Dalíland arriva in sala, oggi, 25 maggio, e vi invitiamo ad andare a vederlo per comprendere in pieno la figura di Dalí e conoscerne aspetti che forse ignoravate.
Salvador Dalì: una biografia
L'esistenza di Salvador Dalí è stata davvero singolare e rocambolesca, innanzitutto perché il pittore ebbe la fortuna di iniziare a dipingere in una delle epoche più belle di sempre artisticamente parlando, e cioè il tempo delle avanguardie primonovecentesche, che rifiutavano l'accademia e il naturalismo e consideravano l'arte uno strumento pacifico di protesta. I vari "ismi" miravano inoltre alla destrutturazione di ogni forma di linguaggio e a una rappresentazione personale ed "emotiva" della realtà.
Nato a Figueres nel 1984, Salvador Dalí ebbe la fortuna di frequentare prima la scuola d'arte locale e poi, a Madrid, l'Academia de San Fernando, dalla quale fu cacciato dopo aver sentenziato che nessun insegnante aveva gli strumenti per valutare i suoi lavori. Dalí fu influenzato dal Cubismo e dal Dadaismo, ma nelle sue opere esposte a Barcellona i critici riconobbero anche l'amore per Raffaello, Vermeer e Diego Velasquez. A Parigi, poi, Dalí fece amicizia con Pablo Picasso, che considerò sempre un modello a cui ispirarsi. Dopodiché l'artista si dedicò al cinema, battendo bandiera surrealista. Conobbe Gala e nel 1931 realizzò il suo quadro più famoso: La persistenza della memoria. Dal 1936 partecipò all'Esposizione internazionale surrealista di Londra, conobbe fama e fortuna a New York e poi ruppe con i surrealisti, che lo accusavano di criptofascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Dalí si trasferì negli Stati Uniti e scrisse un film, Ondata d'amore, che avrebbe voluto far interpretare a Jean Gabin. Sempre più devoto al cattolicesimo, trascorse l'ultima parte dei suoi anni nell'amata Catalogna, interessandosi alle illusioni ottiche e alla scienza. Non disdegnò la pubblicità e si deve a lui il celeberrimo logo dei Chupa Chups. Nel 1980 la sua salute subì un colpo durissimo quando Gala, affetta da demenza senile, gli somministrò un cocktail di farmaci che ebbe su di lui un effetto devastante. Nel 1988 Dalí fu ricoverato in ospedale per un attacco di cuore e nell'89 morì, per un altro infarto, mentre ascoltava la sua opera preferita: Tristano e Isotta di Richard Wagner.
Dalì e Gala
Se è vero che dietro a ogni grande uomo c'è una grande donna, allora dobbiamo ascrivere una parte del merito delle magnifiche opere di Dalí a Gala, al secolo Elena Ivanovna Diakonova. I due si conobbero nel 1929, quando il pittore invitò a trascorrere l'estate in Spagna, nella sua casa di Cadaqués, una serie di personaggi illustri. Dell'allegra brigata faceva parte anche il poeta Paul Eluard, che era il marito di Gala e che, ignaro di cosa sarebbe avvenuto di lì a poco, decise di portarla con sé. Fra Gala e Salvador fu subito amore, nonostante i dieci anni di differenza, e lei lasciò il marito e la figlia, per poi sposare civilmente il pittore nel 1934. Gala seguì il marito nei suoi viaggi, influenzò la sua arte e divenne la sua manager. Dalí non poteva fare a meno di lei e diceva spesso: "Amo Gala più di mia madre, più di mio padre, più di Picasso e perfino più del denaro". Negli anni Cinquanta la coppia conobbe un momento di crisi, ma poi, nel 1958, si sposò in chiesa nel 1958. Dieci anni più tardi, Gala ricevette in dono dal consorte il castello di Púbol. Nel 1982 Gala morì. Qualche mese prima, consapevole che presto avrebbe perso l'amata, Salvador chiese che venissero realizzate due tombe adiacenti separate da un piccolo spazio, in modo da permettere a lui e Gala di tenersi per mano oltre la morte.
Dalíland: ritratto di uomo imperfetto
In Dalíland Mary Harron si sofferma, com'è naturale, sul rapporto tra Salvador Dalí e Gala, che però sembrano lontanissimi dai due innamorati di un tempo. La regista non ha paura di accennare alla sessualità del pittore, che provava piacere soprattutto nel guardare. Gala, invece, appare come una cacciatrice. Sappiamo che la sua libido era piuttosto alta e nel film la vediamo adescare giovani artisti a cui fare sia da amante che da mentore. Daliland indugia inoltre sulle paure di Salvador Dalì, che per un invisibile taglio al dito teme il tetano. Salvador è anziano e malandato, e preda di un terribile horror vacui. L'unica maniera che ha di esorcizzare il terrore della morte è vivere sopra le righe.
Senza togliere spazio a Sir Ben Kingsley, Mary Harron lascia che il film si soffermi su coloro che popolano la "corte dei miracoli" di Dalí, da Amanda Lear ad Alice Cooper. Il giovane assistente del pittore inizialmente si appassiona alla vita bohemienne che il maestro gli permette di condurre, ma poi si rende conto che Dalí somiglia a un ragazzino capriccioso e che dietro l'egocentrismo che lo porta ad affermare: "Qualche volta è molto difficile essere Dalì", c'è una fragilità estrema, unita alla consapevolezza che, senza Gala e gli amici più cari, si aprirebbero per lui le porte del manicomio. È coraggiosa la regista a mostrare il Dalí più smarrito, il vecchio leone che non ruggisce più come una volta. Alla Harron interessa ciò che la teatralità selvaggia del pittore nasconde, oltre al dietro le quinte dei suoi lussuosi party all’Hotel St. Regis. Dalí, che pure aveva un'altissima opinione di sé, vacilla, diventa imperfetto, e in questa imperfezione si coglie il lato umano dell'artista.
>Dalìland vi aspetta al cinema da oggi 25 maggio.
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