«Questa volta mi hanno lasciata entrare...»
(Hattie McDaniel)
DREAMLAND
Oh, Hollywood! Terra di sogni dorati, di promesse sussurrate, luminosa e così eterea, quasi irraggiungibile; ma anche incubatrice di illusioni, di futili speranze, spietata e narcisista fino alla nausea. In questo paesaggio in bilico tra sogno sfrenato e infernale realtà, Ryan Murphy e Ian Brennan danno forma a Hollywood, miniserie targata Netflix, che tenta di riscrivere la storia, fondendo senza mezzi termini passato e immaginazione, mettendo in scena uno sgargiante “what if?” decisamente in linea con gli scandali, le polemiche e le recenti controversie che, d'altro canto, hanno travolto il microcosmo delle star negli ultimi anni.
La strada verso il successo dell'affascinante e ingenuo Jack Castello (David Corenswet), costretto a partire dal basso, “sporcandosi le mani” alle dipendenze del disilluso Ernie West (un Dylan McDermott enigmatico e in grande spolvero, uno dei migliori dell'intero cast), si incrocia e si scontra con quella di altri giovani alla ricerca del loro personale El Dorado: Archie Coleman (eccezionale Jeremy Pope!) è un aspirante sceneggiatore nero e omosessuale, che si innamora di un bonaccione destinato a diventare il celebre – non qui – Rock Hudson (Jake Picking), per poi convergere nelle vite del regista neofita Raymond Ainsley (un Darren Criss non all'altezza della mastodontica performance in American crime story - L'assassinio di Gianni Versace), e riscrivere la storia che porterà una fetta di Hollywood a rivalutare se stessa e i propri princìpi, grazie alla forza trainante del Cinema e, soprattutto, del coraggio di chi il cinema lo fa con orgoglio e senza pregiudizi.
In una carrellata brillante lunga sette episodi, in cui primeggia un cast più che convincente, capitanato da un serpentesco Jim Parsons, nel ruolo del viscido talent-scout Henry Wilson e da una taumaturgica Holland Taylor/Ellen Kincaid, Murphy e Brennan non mostrano alcun timore nell'amalgamare alla loro storia di riscatto sociale diverse figure note dell'età dell'oro hollywoodiana – ai già citati Hudson e Wilson, si uniscono George Cukor, Vivien Leigh e Anna May Wong, per citarne alcuni; ma se Hollywood riesce a porre l'accento con assoluta franchezza sulla realtà-che-fu dietro lo sfarzo e lo spettacolo – realtà mai del tutto pienamente superata -, ciò che non convince è la facilità e l'immediatezza con le quali vengono intrecciati e poi sciolti molti passaggi della trama: la forza del racconto viene indebolita da un'eccessiva naturalezza nei raccordi, una sequela di cause ed effetti che avrebbero magari meritato più ampio respiro e un approfondimento mirato non solo a provocare meraviglia e sorpresa nello spettatore. La lotta per l'uguaglianza, sia per il colore della pelle, che per quella tra uomini e donne, che per il proprio orientamento sessuale, affronta qui diverse peripezie, infine superate con eccessiva disinvoltura o ellissi anestetizzanti, minacciando seriamente l'evoluzione caratteriale di molti dei protagonisti, lasciando quell'amaro in bocca per aver fatto la conoscenza di personaggi incompiuti o, per la caratura delle tematiche in cui sono costretti ad agire, con del potenziale ancora inespresso.
È il tono scanzonato e a tratti fanciullesco e zuccheroso, a minacciare la consistenza di Hollywood che, a ben vedere, si esalta nei momenti in cui emerge quella vena maggiormente drammatica; quella stessa leggerezza che rischia di sgonfiare la carica emotiva portata dalla fatica, dallo struggimento e dal coraggio di una grande lotta ideologica, prima che fisica o umorale.
La miniserie di Murphy e Brennan rischia spesso di scivolare nel banale, mostrando con poca forza immaginifica ed eccessivo didascalismo, tematiche dal forte impatto sociale e individuale, scivolando via come fossimo a nostra volta i protagonisti di un sogno vissuto a intermittenza. Più che un tentativo di revisionismo storico, Hollywood è un vezzo che si sgretola sotto l'impazienza di farci vedere quello che dovrebbe accadere e che, ancora oggi, resta per certi versi ancora un sogno. Ma la realtà è molto più amara e lontana di quella che sembra.
(Hollywood); genere: commedia, drammatico; showrunner: Ryan Murphy, Ian Brennan; stagioni: 1 (miniserie); episodi miniserie: 7; interpreti principali: David Corenswet, Darren Criss, Laura Harrier, Joe Mantello, Dylan McDermott, Jake Picking, Jeremy Pope, Holland Taylor, Samara Weaving, Jim Parsons, Patti LuPone; produzione: Ryan Murphy Productions; network: Netflix (U.S.A., 1 maggio 2020), Netflix (Italia, 1 maggio 2020); origine: U.S.A., 2020; durata: 45'-60' per episodio; episodio cult miniserie: 1x06 - Meg (1x06 - Meg)
from Close-Up.it - storie della visione https://ift.tt/2YqRArc
Nessun commento:
Posta un commento