mercoledì 30 ottobre 2019

The Land of Dreams: sul set del musical italiano ambientato nella New York della Jazz Age

A Sofia, nei Nu Boyana Film Studios, abbiamo incontrato il regista Nicola Abbatangelo e gli interpreti Stefano Fresi, Caterina Shulha e George Blagden.

Per andare a New York e attraversare le strade della parte settentrionale di Manhattan o sedersi ai tavolini di un grazioso caffè del West Village, o entrare in un piccolo appartamento di Downtown, non bisogna necessariamente salire a bordo di un aereo e volare per nove ore. Si può fare un viaggio molto più breve alla volta di Sofia, dove, alle pendici di verdi montagne, sorgono i Nu Boyana Film Studios, trenta ettari che ospitano, oltre a una Grande Mela "praticabile", la cattedrale londinese di Saint Paul, un pezzo di Medio Oriente e un Colosseo. Dal lontano 1962 a oggi, questa celebre Cinecittà bulgara ha accolto numerose troupe e si è messa al servizio di film come Rambo V, Hellboy, I Mercenari, I Mercenari 2, I Mercenari 3, Black Dhalia, Conan il barbaro.

In una tersa mattinata di ottobre arriviamo anche noi, ed entrando in un teatro di posa ci troviamo catapultati negli anni '20, in un locale chiamato Choo Choo Train che somiglia a una stazione ferroviaria. Alla nostra destra una locomotiva, a sinistra una biglietteria e una decina di tavolini, e di fronte un palcoscenico con un pianoforte al centro. Come dicevamo prima, siamo a New York, e il club, che è indiscutibilmente un jazz club, è pronto a ospitare diverse sequenze di The Land of Dreams, un film di un regista esordiente che ha le idee molto chiare e il know how per destreggiarsi tra effetti speciali, complicati piani sequenza, scenografie elaborate e un cast che, incluse le comparse, arriva a oltre 300 persone.
Il regista si chiama Nicola Abbatangelo e ha deciso di cimentarsi in un musical in lingua inglese. "Adoro i musical" - ci spiega in un momento di pausa - "soprattutto Les Misérables. Lo guardo spesso e l’ultima scena ancora mi fa piangere. The Land of Dreams è musical dove parlato e musica sono uniti, non succede che improvvisamente i personaggi escono dal tombino con i coriandoli e parte il grande show. No, qui la musica è il modo più naturale per esprimere emozioni".

Le emozioni di cui parla Nicola Abbatangelo (anche autore del copione con Davide Orsini) sono molteplici e il sentimento che più viene celebrato è l'amore: "Raccontiamo una love story fra una ragazza, Eva, che non crede nei sogni - e credere nei sogni vuol dire anche rinunciare a lottare per essi - e un ragazzo di nome Armie, che fa il pianista e ha la capacità di mostrare alle persone il loro sogno più grande. Questa prodigiosa facoltà, che non lo avvicina né a un supereroe né a uno degli X-Men, diventa per lui un strumento di fuga, e quindi sognare significa alla fine anche soffrire, perché i sogni impiegano poco a trasformarsi in ossessioni da cui è impossibile liberarsi".

Armie, che abita in una casa che sembra uscita dal mondo di Harry Potter, è interpretato da George Blagden, attore britannico che Nicola Abbatangelo aveva ammirato proprio ne Les Misérables di Tom Hooper (dov'era Grantaire) e nelle serie Black Mirror e Versailles. Lo incontriamo sulla veranda di una villetta che fa tanto Gran Torino o The Prisoners e la prima cosa che ci dice, in un inglese alla Downton Abbey, è che adora cantare, perché attraverso il canto si connette con il suo io più profondo. "Danzare, invece, è molto difficile" - ci spiega. "Vorrei dirvi che sono un ballerino fantastico, ma non è vero. Ho solo un magnifico coreografo che mi fa sembrare un danzatore provetto". Poi ci presenta il suo personaggio: "E’ un uomo pieno di contraddizioni" - dice - "che ha subito un trauma e ha quindi paura della vita e dell'amore. Mi piace perché è tormentato, e io adoro impersonare uomini tormentati, fragili, introversi".
Sono solo due giorni che George ha iniziato a girare, ma gli chiediamo ugualmente se riesca ad avvertire, nel film, un tocco italiano: "Certo che sì" - risponde. "E’ come se Nicola, che è un ottimo storyteller, ci avesse riuniti per fare arte tutti insieme. Tutti credono in lui e sostengono la sua ‘visione’. Ci sono 300 persone che stanno lavorando duramente, ma lo fanno perché sentono una forte energia. Questo mi sembra molto italiano e The Land of Dreams potrebbe essere molto interessante per il vostro mercato, perché è in lingua inglese e si rivolge a un pubblico internazionale, pur non avendo coproduttori stranieri".

L'educatissimo George ha ragione: insieme al regista, il produttore Marco Belardi si sta davvero adoperando affinché The Land of Dreams assurga al rango, se non di mega produzione, comunque di film importante. Per questo ha voluto aumentare il numero delle comparse, che nel giorno della nostra set visit arrivano di buon mattino. Le incrociamo prima di pranzo, mentre fanno la fila per il cestino. Hanno indosso i costumi di scena, che sono prodigiosi: abiti eleganti per gli uomini, vestiti in stile Charleston e piume in testa per le donne. Del resto siamo nel bel mezzo dei roaring twenties, epoca di tubini e abiti senza punto vita ma di acconciature favolose e favolosi cappelli a cloche. Magari potessimo rubarne uno dal reparto costumi in cui ci riservano un divano in attesa del momento clou della giornata: quello in cui verrà girata la scena iniziale, che è un piano sequenza all’interno del Choo Choo Train. Ma prima ci spetta l'onore di ascoltare due dei dieci brani di The Land of Dreams che dobbiamo a Nicola Mancinelli. Il primo è "Give Up" e a cantare è Eva, che non ha il coraggio di esibirsi all’interno del jazz club ma viene spronata da un piccolo contingente di clochard. La seconda, "Do you undersand?", diventerà sicuramente un tormentone e ci piace moltissimo perché, oltre a Nathan Amzi, sentiamo cantare i nostri Edoardo Pesce e Paolo Calabresi. Pesce fa la parte del villain del film, che vorrebbe Eva tutta per sé, e nel brano che ci fanno sentire, e che è ritmato e molto jazz, chiede consigli di seduzione ai suoi scagnozzi. Ha una bella voce, ed è un peccato non poterlo incontrare. Meno male che a sventolare la nostra bandiera c'è Stefano Fresi, che è Karl. "Io sono il proprietario del Choo Choo Train" - ci racconta - "e mi esibisco. Nel mio locale suonano musicisti del calibro di Duke Ellington e George Gershwin. Sono un burattinaio con un piede dentro l'illegalità e ho gli amici giusti".

Fresi ha un bel costume verde e i capelli rossi, e la sua preoccupazione maggiore sono le cameriere dell'hotel in cui alloggia, che si ritrovano ogni mattina lenzuola e cuscini sporchi di tintura, e che magari pensano si tratti di sangue. L'attore è felice di cantare in inglese, e di cimentarsi in un genere cinematografico di cui ama quasi ogni esempio, anche se non saprebbe scegliere fra Gene Kelly e Fred Astaire (e nemmeno fra Miles Davis e John Coltrane, nonostante sia sposato con una sassofonista jazz). A fine giornata lavorativa arriva il suo momento, la famosa sequenza d'apertura di cui parlavamo prima. Assistiamo solo a un paio di take e restiamo piacevolmente colpiti dalla complessità della scena. Un dolly appeso a una gru si ferma su Stefano Fresi e il suo pianoforte, poi indugia sugli ospiti del locale, che ballano e cantano, quindi immortala Marina Rocco, che vestita da cameriera passa accanto ai tavolini ed entra in cucina. E’ una delle due attrici italiane di The Land of Dreams (l’altra è Carla Signoris), e "The Land of Dreams" è anche il titolo della canzone che abbiamo appena sentito cantare. E’ magnifica, e magnifico è anche Fresi. "Essere su un palco" - ci ha rivelato poco prima - "ti dà l’emozione di un salto senza rete. La paura che hai ti dà una concentrazione incredibile e, come un lanciatore di coltelli che non può uccidere il pubblico, devi fare una serie di centri per tutto lo show".

Durante la nostra set visit purtroppo non vediamo in azione né George Blagden (la sua dimora, opera dello scenografo Antonello Rubino) è ancora in costruzione), né la protagonista femminile del film, che è Caterina Shulha. La ritroveremo a fine novembre in Cetto c'è, senzadubbiamente ed è fra gli interpreti de L'uomo del Labirinto, però che bello sarebbe stato bearsi della sua voce, soprattutto dopo aver sentito dire al regista: "Riesce a iniziare il film come la piccola fiammiferaia e trasformarsi subito dopo in una grande diva". Per fortuna abbiamo modo di intervistarla accanto a un'auto d’epoca di un delizioso rosso bordò. Ci parla di Eva, naturalmente: "Eva è un’immigrata italiana che si è trasferita con il papà a New York, lavora nelle cucine del Choo Choo Train, è rassegnata alla vita che conduce e non immagina certo di poter diventare una cantante famosa. Il personaggio mi somiglia, perché anche io sono un'immigrata. Sono arrivata in Italia dalla Bielorussia felice di trovarmi in un posto migliore ma con la consapevolezza di aver rinunciato a molte cose. La scena in cui Armie porta Eva nel suo sogno, dove lei si esibisce circondata da 20 ballerine che ballano il tip tap, mi fa ripensare a Eva a 12 anni, che nella scuola di danza di Ostia stava sempre in ultima fila e non capiva il perché".
Caterina ama i musical e credeva che cantare sarebbe stato più facile. In molti ci hanno detto che si è esercitata ogni giorno per tre mesi, e lei stessa ammette, parlando al nostro registratore portatile, di temere di essere mandata via: "Dico: ‘aiuto!’ in ogni momento, però ancora non mi hanno cacciata, cantare è faticoso come andare in palestra. Vorrei tanto che alla fine tutto fosse perfetto, perché ho una grossa responsabilità nei confronti delle persone che lavorano a questo film e anche del pubblico".

Nel tardo pomeriggio, il nostro viaggio fra pupe, universi onirici, teatri di posa e sale trucco si conclude. Mentre un minivan ci conduce all'aeroporto, negli occhi abbiamo tante immagini e nella testa la consapevolezza di aver assistito alla realizzazione di qualcosa di unico, una favola per adulti più che per bambini e un tripudio di suoni. Balgden ha definito The Land of Dreams un "caos organizzato", proprio come il jazz. Noi andiamo matti per il jazz e, se George ha ragione, il film davvero ci sorprenderà.



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