lunedì 26 agosto 2019

Mindhunter (Stagione 2) - Teste di Serie

«Ogni notte, mentre voi dormite, io distruggo il mondo»
(Charles Manson)

Cacciatori e prede

Conclusa la visione della seconda stagione, la certezza è quantomai lapalissiana: Mindhunter è una serie destinata a entrare di diritto nella storia della serialità televisiva. Nove nuovi episodi per cementare le straripanti impressioni suscitate al termine della prima stagione che, non solo avvalorano il profondo e roccioso lavoro di scrittura su una sceneggiatura impostata per il “lungo termine”, nel tentativo di realizzare un colossale romanzo di formazione procedurale ed esistenziale/individuale dei protagonisti – buoni e cattivi -, ma confermano la natura estremamente teorica-analitica di un prodotto che non mira a sconvolgere attraverso elementi grandguignoleschi, ma ci riesce sfruttando alla perfezione l'aspetto più iconico ed empatico dei soggetti in gioco: le motivazioni che li spingono ad agire.

Lo showrunner Joe Penhall riprende per mano gli agenti Holden Ford (Jonathan Groff) e Bill Tench (Holt McCallany in un'interpretazione massiccia e tenera al contempo), a cui affianca Ted Gunn (Michael Cerveris) come nuovo capo dell'unita di investigazione, che si mostra molto interessato allo sviluppo del lavoro dei due agenti; al loro seguito, la dottoressa Wendy Carr (Anna Torv, sempre monolitica e magnetica di fronte la macchina da presa), più alle prese con problemi di natura amorosa, forse un tantino messa da parte in questa nuova trance di episodi, ma non per colpe di scrittura, anzi per necessità di trama. Perché, dopo un primo breve incipit di stagione in cui gli agenti imperversano nel lavoro di studio con interviste ai più feroci assassini catalogabili come serial killer – in questo senso, divina l'intera sequenza in cui sale in cattedra un allucinato e travolgente Charles Manson, interpretato selvaggiamente da Damon Herriman – la seconda stagione di Mindhunter si focalizza sull'estenuante indagine/studio/ricerca sui rapimenti e omicidi di Atlanta, in cui persero la vita più di venti ragazzini di colore: oltre le eccelse performance di un cast sugli scudi, oltre una fedele ricostruzione contestuale-scenografica, oltre gli intriganti risvolti delle vite private di Holden e compagni, questa seconda stagione travalica la semplice ricostruzione – seppur romanzata – dei fatti avvenuti, ispirati a eventi realmente passati alla cronaca, per sviluppare con dedizione esemplare le numerose difficoltà e le inadeguatezze quasi “anacronistiche” delle teorie comportamentali sviluppate dall'unità di investigazione.

Questo lento, ma graduale e accurato processo di stesura narrativa glorifica la natura stessa della serie, che non rientra nei classici canoni di intrattenimento crime o thriller, incentrati sulla semplice dualità bene/male, protagonista/serial killer, risolvibile attraverso l'esaurimento della detection e la vittoria del bene/protagonista sul male/serial killer: Mindhunter si spinge verso sentieri psicanalitici, tentando di avviluppare totalmente lo spettatore, come a renderlo quasi fisicamente partecipe delle indagini in corso. Sta “tutta” qui la grandiosità di una serie così attenta alla verosimile costruzione di ogni personaggio in gioco, da riuscire a tramutare in credibili – se non umani – gli stessi serial killer, da Kemper a BTK, e gli altri con loro.

Parallelamente alla complessa e snervante caccia al killer di Atlanta, prosegue la storia ancora oscura di quel personaggio misterioso e affascinante già nata nel corso della prima stagione e ora resa più sfaccettata e intrigante – almeno su basi teoriche e speculative -, a causa delle vicende legate alla tragedia in cui è immischiato il figlioletto dell'agente speciale Bill Tench: la sua presunta e ambigua natura da predestinato killer seriale non fa che gettare benzina sul fuoco, contribuendo sia a innalzare l'asticella della tensione drammatica di parecchio – come se ce ne fosse bisogno! -, ma ancor di più decuplica la curiosità dello spettatore, fagocitato a un doppio esercizio mentale di assimilazione e rielaborazione degli eventi mostrati. Cosa chiedere di più?

Mindhunter si conferma prodotto dall'infallibile aplomb, in grado di fondere alla perfezione intrattenimento e coinvolgimento emotivo e psicologico; serie tv dai connotati nostalgici è quella che, più di tutte dai tempi di The wire, le assomiglia per il coraggio di discostarsi dai plot di genere più abusati e per una sempre più radicata solidità di scrittura e di messa in scena.
Dopotutto, dietro il sipario c'è David Fincher. Non uno sprovveduto.

(Mindhunter); genere: crime, thriller, drammatico; showrunner: Joe Penhall; stagioni: 2 (rinnovata); episodi seconda stagione: 9; interpreti: Jonathan Groff, Holt McCallany, Anna Torv, Stacey Roca, Joe Tuttle, Michael Cerveris, Lauren Glazier, Cameron Britton, June Carryl, Nate Corddry, Dohn Norwood, Christopher Livingston, Damon Herriman, Sierra Aylina McClain; produzione: Denver and Delilah, Jen X Productions, Panic Pictures / No. 13; network: Netflix (U.S.A., 16 agosto 2019), Netflix (Italia, 16 agosto 2019); origine: U.S.A., 2019; durata: 60' per episodio; episodio cult seconda stagione: 2x05 - Episode 5 (2x05 - Episodio 5)



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