Intrecciare temi duri alla leggerezza della commedia è quanto di più complesso possa esistere: fare ridere su cose che farebbero piangere è un successo ambito, non da tutti riuscito. Ram Nehari, regista di Don't forget me, questo ambizioso obiettivo lo raggiunge in pieno. Ambientare un film in larga parte in una clinica per disordini alimentari, obbligare l'occhio dello spettatore ad abituarsi all'obesità o alla scheletrica magrezza delle ragazze è di per sé un pugno nello stomaco: renderle comiche, ironiche, infelici ma amiche tra loro, solidali nel vomitare o nel nascondere il cibo durante i pasti, forse impresa ancora più ardua. Tom, una bellissima ragazza con una chioma castana fino alla schiena, il giorno della visita, riceve dai dottori una buona notizia: il ritorno del ciclo mestruale (che si interrompe quando non si mangia a sufficienza, durante la crescita, sballando i valori ormonali) è un segno di guarigione, da ora in poi tutto comincerà ad andare meglio. Agli occhi della ragazza però la notizia ha un rovescio: vuol dire che tornerà a ingrassare, a riprendere i chili perduti, che non è quello che vuole. Per lei mangiare vuol dire inserire dentro di sé un veleno malefico che la sporca: più è vuota più si sente pura. Neil è un suonatore di tuba con qualche problema psichico. Vaga per Tel Aviv, si ferma in un negozio di strumenti musicali, si dilunga in una conversazione surreale col venditore e lo convince a vendergli una tuba nuova pagando con la carta di credito del padre, citofona all'amico di liceo musicista affermato, sale a casa sua, gli scrocca una bibita e crede di aver ricevuto da lui un invito a partire l'indomani in turné a Berlino e in altre città d'Europa. Accompagna l'amico e la sua bella fidanzata modella nella clinica per problemi alimentari per una festicciola sulla gioia della nutrizione (anche se la modella, ossessionata anche lei dalla linea da mantenere, non ingerisce nemmeno una briciola, confessando sottovoce ai medici che la spronano: “non posso”). Tom e Neil si avvicinano naturalmente, attratti l'uni dall'altro spinti da una forza magnetica irresistibile. Fuggono insieme, vanno dai genitori di lei dove si fermano a cena. Scontenta dell'accoglienza familiare, insieme vivono la notte mondana giovanile raggiungendo le amiche di lei in un baretto losco pieno di ubriaconi. Le amiche comunicano a Tom della morte di Dana, la quarta amica del gruppo: “È andata il giorno prima con la madre a farsi un tatuaggio e il giorno dopo ha avuto un infarto”. L'anoressia contagia e uccide. Tom e Neil si baciano (“Non ti fa schifo baciare una che ha appena vomitato? A me farebbe schifo"). Ma non sono capaci di risolvere i problemi reciproci, sono fragili marionette nella difficoltà della vita di tutti i giorni. Un film sorprendente (che conquista, al Torino Film Festival, il premio miglior film), in cui i problemi mentali vengono trattati con coraggio e senza mezze misure, attraverso due personaggi affascinanti e problematici, profondi e bisognosi, recitati magnificamente da Moon Shavit (premio della migliore interpretazione femminile) e da Nitai Gvirtz (premio migliore interpretazione maschile) e una scrittura sapiente che non trascura i dettagli, definisce precisamente i personaggi di contorno, le scene, le ambientazioni. Una rarità estremamente godibile.
(Don't forget me); Regia: Ram Nehari; sceneggiatura: Nitai Gvirtz; fotografia: Shark de Mayo; montaggio: Ido Muchrik; musica: Steve Nieve; interpreti: Moon Shavit, Nitai Gvirtz, Carmel Bato, Ronna Lipaz; produzione: Yifat Films, Tabo Tabo Films, Film Five; origine: Israele-Francia-Germania, 2017; durata: 87'
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