Nel buio una voce concitata femminile lascia un messaggio in una segreteria telefonica, non si capisce bene neppure cosa dica ma si capisce che sta male: è una donna che si rivolge al suo ex un sos di aiuto. Il protagonista viaggia in treno per andare ad incontrare la donna: durante il percorso piange, preoccupato. All'arrivo Marie racconta brevemente i fatti: Mathys, loro figlio di sette anni, era in un campo scuola in montagna. fino all'una e mezza di notte ha dormito insieme ai suoi compagni in una tenda, visto dagli operatori vigilanti, poi è sparito insieme al suo sacco a pelo. La polizia ha iniziato le ricerche. Si teme un rapimento. Piano piano, dopo le prime scene, tramite un piccolo puzzle di informazioni arrivate allo spettatore (e al protagonista maschile) smozzicate, si capisce che i due sono separati da qualche tempo, che Marie vive con un altro compagno, di cui è incinta. Questo un motivo di risentimento da parte del bambino, incapace di razionalizzare l'arrivo di un altro figlio, non di suo padre, come un nuovo inizio positivo. Marie e Grégoire, il nuovo compagno, stanno mettendo su una nuova casa, un progetto di vita insieme, l'uomo dice all'ex marito “lei sarà la madre dei miei figli”. Julien è allibito, non capisce come si possa parlare in questa maniera in un momento di tale emergenza, in cui suo figlio non si sa dove sia. Julien corre a cercarlo senza ammettere con se stesso la possibilità di non trovarlo: si sente colpevole di averlo abbandonato solamente alla madre per privilegiare il suo lavoro di geologo in giro per il mondo. È totalmente sconquassato da questo evento. Non riesce a controllare i suoi pensieri, le sue reazioni. A casa di Maria sfoglia gli album, trova foto ricordo del figlio, vede e rivede ossessivamente le immagini dei video amatoriali che Marie fa quotidianamente al bambino. Compromette la sua posizione quando picchia violentemente Grégoire mandandolo in ospedale con fratture e ecchimosi. Il film vira totalmente verso la dimensione di tensione, ricalcando in parte il modello tipico di certo cinema americano, il filone della vendetta personale. La tensione è alta, si rimane aggrappati alle scene pur percependo, tra le sottili trame della storia, un'aura di lieto fine. Non svelando il finale né il tema che emerge da un certo punto in poi, possiamo dire che il film è riuscito in parte: il protagonista è abbastanza monolitico nelle espressioni, la sceneggiatura non sbanda dai binari prescelti e procede dritta alla meta. Il problema è come sta in piedi l'intera operazione, come se le fondamenta fossero fragili, come se tutto questo castello non fosse altro che di carte da gioco. Le ambizioni sono altissime, poiché coinvolgono i sensi primari dell'uomo: l'essere genitori, l'essere figli, l'essere fallibili come esseri umani. Volare più basso avrebbe giovato alla riuscita dell'operazione. Canet, attore dal viso irreprensibile, traccia una evoluzione del personaggio tra le righe di un padre dapprima disperato, poi furente, mai annichilito dall'impotenza, solo finalizzato a trovare il suo erede vivo al prezzo di fare fuori chiunque si frapponga tra lui e l'obiettivo.
(Mon garçon); Regia: Christian Carion; sceneggiatura: Christian Carion; fotografia: Eric Dumont; montaggio: Loic Lallemand; musica: Laurent Perez Del Mar; interpreti: Guillaume Canet, Mélanie Laurent, Olivier De Benoist, Antoine Hamel, Mohamed Brikat; produzione: Nord-ouest Productions, Une Hirondelle Productions, Caneo Films; distribuzione: No.mad Entertainment; origine: Francia, 2017; durata: 84'
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