sabato 2 luglio 2016

Game of thrones (Stagione 6) - Teste di Serie

"La mia guardia è finita!"
- Jon Snow

Tutti i nodi vengono al pettine. O, nel nastro caso, manca davvero poco. Giunta alla sesta stagione, la serie tv più popolare, seguita, amata, discussa e spoilerata degli ultimi dieci anni almeno, ha regalato ai suoi milioni di fan incalliti dieci episodi memorabili, di una potenza espressiva e testuale al di là di ogni ipotetico pronostico. Game of thrones (Il trono di spade per i non amanti della lingua originale) è tornata grande, anzi grandissima, dopo almeno un paio di stagioni al di sotto delle aspettative.

Sono trascorse poche ore dalla messa in onda dell'ultimo episodio di questa sesta stagione e la notizia diramata dagli showrunners David Benioff e D. B. Weiss in merito a ciò che vedremo dal 2017 ha avuto lo stesso impatto di un fulmine a ciel sereno: mancano soltanto tredici episodi totali al termine della serie. Una conferma ufficiale, che segue le recenti indiscrezioni che avrebbero voluto i due deus ex machina confezionare una settima e un'ottava mini-stagione per un gran finale magniloquente, che avrebbe consegnato la loro creatura (loro e di quel volpone di George R. R. Martin) ai posteri come un cult generazionale da vedere e rivedere, fastoso e spettacolare come nessun'altra serie mai prodotta fin'ora. Resta solo da scoprire in che modo questi restanti tredici episodi verranno distribuiti: un'attesa che corrode già, non tanto per tali questioni organizzative, quanto in merito ai contenuti. Perchè quanto visto in questa sesta stagione fa sognare a occhi aperti e immaginare un finale glorioso è solo il primo passo dettato da un senso di vuoto che brama di essere colmato.

Dieci episodi al di là di ogni pronostico, si è scritto. Si, perchè quanto visto negli ultimi due mesi e poco più di trasmissione ci ha riportato alla mente alcuni tratti distintivi che avevano costretto lo spettatore a sgranare gli occhi per lo stupore già dalla prima stagione: una solidità e sicurezza di scrittura forse mai raggiunte prima d'ora, grazie alle quali si è riuscito a dedicare il giusto spazio (anche in riferimento al minutaggio) ai numerosi personaggi protagonisti della serie, non solo spedendo in avanti il plot principale, operando per sottrazione, evitando così di restare invischiati nel pericoloso pantano della scrittura narcisistica fine a se stessa, ma regalando a ciauscuno di loro doverose incursioni intime nel passato o nell'esplorazione del loro registro comportamentale/espressivo individuale, senza mai rinunciare alla gloriosa spettacolarizzazione che il genere e il format dello show, più in generale, richiedono (un esempio su tutti, il tragico finale dell'episodio “The door”, che ha finalmente reso giustizia al personaggio di Hodor, interpretato da Kristian Nairn, lasciato ai margini prima di tal momento); parallelamente a data accuratezza di scrittura, gli autori si sono distinti per una ricerca quasi ossessiva, ma ponderata, di una perenne magniloquenza in fase di direzione, tornando a utilizzare una camera sempre più fissa nelle sequenze di maggiore introspezione, scegliendo con risultati eccellenti un registro musicale degno della tragicità de Il signore degli anelli Jacksoniano, rinunciando a un uso pacchiano della CGI per concentrarsi e infondere maggior risalto nei personaggi stessi, sui loro volti, sui dettagli, sul sangue a imbrattare la neve, e sulle cromature del ghiaccio che spazza via il tepore, sull'oscurità della notte che incombe come uno spettro silenzioso, portatrice di infausti presagi, sul rosso vermiglio del vino, i bruni manti di pelliccia dell'esercito del nord e delle lucenti placche d'oro sulle armature dei soldati della casata Lannister.

Mandare avanti la trama con risolutezza e coraggio non solo hanno condotto gli sviluppatori verso un successo imprevisto (ma da tutti anelato), ma tale scelta si è rivelata vincente non solo per aver impedito alle numerose sottotrame di aggrovigliarsi ulteriormente, col rischio di allentare la tensione drammatica, ma soprattutto per aver originato degli eventi vergini, perfino per i voluminosi capitoli cartecei da cui la serie è tratta: Martin sembra essersi deciso a dar sfogo a tutte le sue risorse immaginifiche, scrollandosi di dosso le preoccupazioni dovute a un assurdo parallelismo in merito alla narrazione originale, quella dei romanzi, per modellare un piccolo universo alternativo, costruito su reminescenze, scelte ispirate ma postume, anche ingenui capricci, che conducono la narrazione di Game of thrones lungo binari paralleli a quella originale, consegnando all'attenzione dello spettatore un prodotto autonomo di cui godere senza correre il rischio di guastare la lettura o viceversa.

Soffermandoci nel dettaglio su alcuni dei momenti più riusciti e di maggior impatto di questa sesta stagione, oltre al già citato tragico finale in cui Hodor giunge al termine del proprio percorso, restano marchiati a fuoco nell'immaginario collettivo le nefandezze dei due migliori personaggi antagonisti della serie, Lord Ramsey Bolton (un indemoniato e spietato Iwan Rheon, miglior attore di questa sesta) e Cersei Lannister, assetata di vendetta come mai prima d'ora e disposta a tutto pur di ottenerla (Lena Headey, gelida e furiosa come sempre); la dipartita del culto religioso capeggiato dall'Alto Passero (Jonathan Pryce); e ciò che si è ammirato in quello che è stato glorificato all'unanimità come il miglior episodio dell'intera serie, ossia la battaglia dei bastardi, trenta minuti di convulsi piani sequenze, campi totali, lotte nel fango, un tripudio di grida e carne da macello, accompagnati da una colonna sonora straziante, altisonante, compassata, frenetica, soverchiante e romantica. In questi dieci episodi Game of thrones ha raggiunto un livello di spettacolarizzazione che mai, con ogni probabilità, si era potuto ammirare in un serial televisivo: un livello forse ineguagliabile, ma sperare non costa nulla. Comporta solo molta pazienza.

Tredici episodi. A oggi è quanto rimane prima della fine. Prima di scoprire chi riuscirà a vincere e a portare a casa la pelle. Perchè tutti gli uomini devono morire. Ma che muoiano come piace a noi fan accaniti e mai sazi di partecipare a questa festa.

(Game of thrones); genere: fantasy; sceneggiatura: David Benioff D.B. Weiss, George R. R. Martin; stagioni: 6 (in corso); episodi sesta stagione: 10; interpreti: Peter Dinklage, Lena Headey, Emilia Clarke, Kit Harington, Sophie Turner, Natalie Dormer, Maisie Williams, Nikolaj Coster-Waldau, Iain Glen, Alfie Allen, John Bradley, Conleth Hill, Aidan Gillen, Gwendoline Christie, Isaac Hempstead Wright, Jerome Flynn, Liam Cunningham, Rory McCann, Carice van Houten, Kristian Nairn, Iwan Rheon; produzione: Bighead, Littlehead. Management 360 Television, Grok! Television, Generator Entertainment, Startling Television, HBO; network: HBO (U.S.A., 24 aprile-26 giugno 2016), Sky Atlantic (Italia, 2 maggio-4 luglio 2016); origine: U.S.A., 2016; durata: 60' per episodio; episodio cult sesta stagione: 9x06 – Battle of the bastards (9x06 - La battaglia dei bastardi)



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