Antonio Banderas e Elena Anaya nel 2011 sono i protagonisti di La pelle che abito, un thriller raffinato e a più strati di Pedro Almodòvar, vincitore di 4 premi Goya.
Nel 2011 il grande regista spagnolo Pedro Almodòvar firma La pelle che abito, un film particolare nella sua carriera, raffinato e denso, che viene presentato in concorso al festival di Cannes. La storia è tratta da un romanzo scritto nel 1984 (ma tradotto in inglese nel 2003) di Thierry Jonquet, scrittore francese e autore di noir, scomparso nel 2009 a soli 55 anni, intitolato Mygale, ovvero Tarantola, il ragno velenoso la cui femmina mangia il maschio dopo la riproduzione. Almodòvar legge il libro dieci anni prima della realizzazione del film e scopre delle affinità con la sua visione del cinema e della vita. Come protagonisti il regista richiama il "suo" Antonio Banderas (con cui all'epoca non lavora da vent'anni) ed Elena Anaya, che aveva un piccolo ruolo in Parla con lei, oltre a una delle sue muse, Marisa Paredes. La pelle che abito è stato apprezzato dalla critica, soprattutto da quella estera: viene candidato al Golden Globe e vince 4 premi Goya: per la bravissima protagonista Elena Anaya e il suo giovane contraltare maschile, Jan Cornet, il trucco e la colonna sonora.
I temi e le ispirazioni di La pelle che abito
La storia della misteriosa donna che un chirurgo, ossessionato dalla morte della moglie e della figlia, tiene prigioniera nella sua lussuosa villa, e su cui sperimenta tecniche chirurgiche, trasformandola con la creazione di una pelle sintetica, richiama molte storie di scienziati pazzi e operazioni. Uno dei modelli riconosciuti dall'autore, che si è distaccato sempre più dalla trama del libro di Jonquet, è il francese Occhi senza volto di Georges Franju, un film del 1959 con Pierre Brasseur e Alida Valli, in cui un chirurgo trapianta il volto di giovani donne su quello della figlia gravemente sfigurata da un incidente. Ma il tema della doppia pelle e di cosa costituisce l'identità è stato affrontato anche in tempi più moderni - sia pure con un'altra ottica - da John Woo in Face/Off. Le atmosfere cercate da Almodòvar, che inizialmente proprio per questo avrebbe voluto girare il film in bianco e nero, sono quelle dei thriller di Fritz Lang. Sono molti i temi affrontati nel film (al cui interno sono presenti diversi e non casuali riferimenti letterari, come il libro di Janet Frame “Un angelo alla mia tavola”): l'identità di genere, la sessualità, la definizione del sé, tutti argomenti che il grande autore madrileno non ha mai affrontato prima in un'opera tra thriller e fantascienza, di grande intensità ed eleganza formale. Così Banderas ci parlò quando venne in Italia a presentarlo, dei tanti strati de La pelle che abito:
Non si trasforma una persona. Fisicamente puoi fare un essere umano completamente diverso partendo dagli aspetti superficiali, ma non puoi cambiare la sua anima. Questo è uno dei messaggi del film, tra tanti altri. È anche una riflessione sulla creazione, perché il mio personaggio è un mostro ma al tempo stesso potrebbe essere la metafora di un artista, di un regista: ci sono riferimenti a questo nella sua camera da letto, dove ha questo enorme schermo da cui guarda la donna come se fosse un film, e alla fine passa dall'altra parte con quella donna e diventa un attore nel suo stesso film. Pedro gioca in questo modo per tutto il film, che è pieno di dettagli del genere. Quando lo vedi più di una volta inizi a renderti conto delle connessioni tra un elemento e l'altro, e per via del gioco temporale all'inizio e dei flashback, che in termini narrativi sono così diversi da quelli a cui siamo abituati, puoi scoprire che contiene davvero un sacco di cose.
Il lavoro di Antonio Banderas in La pelle che abito
Antonio Banderas deve la sua carriera a Pedro Almodòvar, a cui lo lega un rapporto di profonda amicizia. È il regista che lo ha scoperto e lanciato nel 1982, quando aveva solo 22 anni, con Labirinto di passioni. A questo sono seguiti altri quattro film memorabili: Matador, La legge del desiderio, Donne sull'orlo di una crisi di nervi e Legami!, del 1989, che è la loro ultima collaborazione, prima che l'attore inizi la sua carriera americana. Quando gira La pelle che abito non lavorano insieme da 20 anni, tanto che, come ci raccontò all'epoca, non fu immediato ritrovare la sintonia di un tempo:
All'inizio abbiamo dovuto trovarci di nuovo. Abbiamo dovuto passare del tempo insieme. Ed è per questo, credo, che in modo molto intelligente ci ha proposto di fare delle prove un mese e mezzo prima delle riprese. Ed è stato molto difficile. Non solo il ritrovarci, ma anche perché durante quel tempo trascorso a Madrid abbiamo dovuto capire cosa volevamo fare col personaggio che avevamo di fronte. È stato un periodo di scelte quel momento particolare prima di trasferirci a Toledo dove abbiamo girato il film, a volte il confronto è stato anche forte, ma sempre in modo creativo. Non è successo mai niente che potesse mettere in pericolo la nostra amicizia, ma abbiamo davvero lavorato sodo.
Tra le indicazioni che Banderas riceve da Almodòvar sul personaggio c'è quella di ispirarsi alla recitazione di Alain Delon, Jean-Louis Trintignant e gli altri protagonisti de I senza nome di Jean-Pierre Melville, perché in generale desidera da lui “un modo di lavorare che si usava molto negli anni Quaranta e Cinquanta, quando gli attori non "commentavano" troppo il personaggio, ma erano più piatti e trasparenti. Per questo personaggio in particolare lui pensava che fosse molto importante che fosse quasi come una tela bianca, o uno schermo bianco, su cui fosse il pubblico a proiettare le proprie paure. Tutto quello che il pubblico proietta sullo schermo, o sulla tela, sarà sempre più grande di quello che avremmo potuto mostrare”. Dopo La pelle che abito, Banderas tornerà a lavorare con Almodòvar per la settima volta quasi 10 anni dopo, chiudendo il cerchio e interpretando l'alter ego del regista nel bellissimo Dolor Y Gloria, per cui è stato giustamente candidato all'Oscar.
from ComingSoon.it - Le notizie sui film e le star https://ift.tt/2KMMnlP
via Cinema Studi - Lo studio del cinema è sul web
Nessun commento:
Posta un commento