Maud e Franck si arrampicano in un paesaggio mozzafiato della Patagonia: attrezzatura sportiva, zaino, cappellino copri-orecchie. Lui, mentre la donna fa pipì in un cespuglio, la sollecita di sbrigarsi, ha visto un puma. È uno scherzo. Ridono. Più tardi in un rifugio si scambiano racconti di montagna con altri climbers, Franck è allegro e socievole, Maud assai meno, sta sulle sue. Il sesso, più tardi in camera, non funziona, lei non è partecipativa. La sera successiva, durante una partita di biliardo, Maud si sente male, dice che se ne torna in albergo e così fa. Le è arrivato il ciclo mestruale. Non voluto. Ambasciatore di un messaggio unico: non è incinta. Al ritorno ha una lite con Franck, parlano due lingue diverse, non si capiscono più. Lei arrangia lo zaino con l'essenziale, lo mette sulle spalle e parte. L'uomo non le dà credito, è convinto che tornerà da lui. Inizia così Messi e Maud, pellicola olandese diretto da una regista donna (Marleen Jonkman), sceneggiato da un uomo (Daan Gielis). La protagonista femminile (interpretata con intensità da Rifka Lodeizen) è una donna in crisi, esplosiva, pericolosa per se stessa: un personaggio pieno di variabili, che non si sa mai dove andrà a finire, in preda a un turbinio emotivo pari a un tornado. Il tema in ballo è quasi abusato, la maternità. Eppure questa storia di pochissime parole e tantissimi scorci paesaggistici da urlo, di pancia viscere e sangue, trova una via desueta di raccontare una donna in pena perché non può avere figli. La sua sterilità trova pace (temporanea) nel sesso pericoloso con sconosciuti, trova soddisfazione nelle bugie che la portano ad attaccarsi al seno una neonata piangente (primo di una serie di eventi per i quali potrebbe essere arrestata dalla polizia locale), trova un succedaneo fattivo, vivo e vegeto e respirante in Messi, un bambino di sette anni che per varie peripezie si ritrova come compagno di viaggio spericolato. A mezz'ora dall'inizio del film Maude ha finalmente accanto Messi (Cristóbal Farias), il titolo è completo, la storia comincia a girare a pieno. La relazione altalenante col bambino, a cui non sa fare da madre -come lui la accusa una volta: “Si vede che non sei una madre, non capisci quando i bambini hanno fame” - è tenera ma discontinua: Maud, che madre biologica non è, continua a mettere se stessa al centro prima del bambino, come quando di notte in una pausa nel tragitto sul pullman va a consumare un fugace rapporto sessuale con un passeggero del bus e viene vista da Messi che la è andata a cercare. La presenza del bambino subisce la gradualità di una conoscenza velocizzata obbligatoria, stravolge il malessere ossessivo della donna e la trasforma in una Wonder Woman capace di tutto pur di proteggerlo. Nemmeno l'ex marito oramai ha qualcosa di meglio da offrirle. Maud e Messi non si dimenticheranno mai l'uno dell'altra. Questo è sicuro. Rifiutando in toto la retorica di famiglia classica il film viaggia su un registro rigoroso, mai sbavato, tra non detto e evocativo. Regia discreta, fotografia evocativa, location da urlo, due protagonisti perfetti.
(Messi and Maud); Regia: Marleen Jonkman; sceneggiatura: Daan Gielis; fotografia: Jeroen de Bruin; montaggio: Wouter van Luijn, Katarina Turler; musica: Daniel Sus; interpreti: Rifka Lodeizen, Cristóbal Farias, Guido Pollemans, Daniel Candia, Paola Lattus, Aldo Sandrino, Rodrigo Soto, Carolina Díaz, Octavio Navarette, Matias Burgos; produzione: Smarthouse Films, Fatt Productions; origine: Paesi Bassi/The Netherlands, 2017; durata: 92'
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