"La libertà ha un prezzo!"
Micheal Scofield
Lo scorso gennaio la FOX rilasciò un trailer tra lo stupore generale e la sorpresa di migliaia di fan, nel quale campeggiava una sorta di annuncio abbastanza esplicito che recitava “Micheal is alive!”. Basterebbe questo singolo episodio a lasciar trasparire il fine ultimo di un'operazione che, con il passare dei mesi e a visione ultimata, ha assunto inevitabilmente connotati commerciali, sacrificando all'altare del puro fan-service qualsiasi tentativo di approfondire il carattere di una serie già a suo tempo tirata troppo per le lunghe e resa fragile da una messa in scena priva di sentimento e d'introspezione (soprattutto per quanto riguarda la quarta stagione e lo speciale The final break).
Micheal è vivo, dunque. Lo showrunner Paul Scheuring ha deciso di farlo “resuscitare” all'interno del carcere di Ogygia, nello Yemen, epicentro di una sanguinosa guerra civile tra le forze di un'amministrazione ridotta a un colabrodo e i terroristi dell'Isil: il destino di questo pezzetto di mondo mediorentale è già segnato e Micheal (WentWorth Miller), assieme ad altri detenuti, deve trovare il modo di fuggire via, prima che l'apocalisse terroristica diventi irreversibile; ma Micheal non sembra più essere lui, dato che si fa chiamare Kaniel Outis e i database americani lo riconoscono come tale (un terrorista rinchiuso a Ogygia) e nemmeno il fratello Lincoln (Dominic Purcell), accorso per portarlo in salvo, sembra intaccare la decisione del redidivo Micheal/Outis. Ma, come in ogni storia connessa a Prison break, c'è dell'altro sotto, molto altro, un pantano segreto in cui sguazzano ex agenti della CIA, associazioni governative e sicari dal grilletto facile.
L'aspetto più accattivante e interessante di questo sequel-revival della serie risiede senza ombra di dubbio nel radicale cambio di location, che permette a Scheuring di tralsare la sua creazione in un contesto tanto terrificante, quanto attuale: drammaticamente esplicito il riferimento alla situazione in medio-oriente, una scelta logisticamente azzeccata, poichè contribuisce a ricreare un contesto infernale, da giorno del giudizio, dal quale Micheal e Lincoln dovranno fuggir via; tra strade polverose battute da terroristi, esplosioni fiammeggianti nel cielo terso della regione yemenita e violente rappresaglie tra diverse frange terroristiche all'interno della prigione, questa quinta stagione di Prison break mette in scena la fuga di Micheal dall'inferno nel quale era stato rinchiuso per poter difendere sua moglie Sara (Sarah Wayne Callies) e il figlioletto Mike dalle mire anarchiche e despote dell'ex agente della CIA che si fa chiamare Poseidon (Jacob Anton Ness). Una fuga quasi metafisica, dunque, per l'eroe che nessuna prigione può trattenere, una risalita dall'inferno per potersi riappropiare della vita e degli affetti sottratigli con meschinità.
Un nuovo inizio (solo parziale, in quanto i produttori hanno già fatto sapere che non verrà realizzata una sesta stagione nell'immediato, ma solo se dovessero presentarsi idee convincenti) che rapisce e convince per tutto lo svolgimento nel contesto mediorentale, in bilico tra vacue fragilità emotive, ambiguità e i classici misteri in merito alla vera identità del buon protagonista e del nuovo antagonista; ma anche stavolta, Prison break finisce con l'accartocciarsi su se stesso, ripetendo quegli stessi errori che guastarono il precedente finale: vero, non si può accusare Sheuring di aver abusato ancora del deus ex-machina sfruttato in maniera inappropriata al termine della quarta stagione (il nemico-amico agente Kellerman/Paul Adelstein che ricompare quasi per magia, salvando baracca e burattini con eccessiva facilità), ma l'esaurimento dell'intreccio narrativo pone all'attenzione dello spettatore eventi inscenati in maniera grossolana e in contrasto con il tempo del racconto (impensabile che Micheal fosse in grado di prevedere una situazione finale talmente scombussolata da poterla allineare meccanicamente al suo piano per incastrare definitivamente Poseidon, con la costruzione del finto set); da non trascurare il delicato gioco di coppie (Micheal/Mike, T-Bag/Asso) utilizzato per rafforzare il susseguirsi di eventi con un'analisi del rapporto salvifico padre/figlio, consumato però nell'ennesimo colpo di scena finale al solo scopo di suscitare stupore e simpatia verso uno dei personaggi più amati della serie (T-Bag, per l'appunto, interpretato dal sempre convincente Robert Knepper). Ecco, anche questa quinta stagione di Prison break esalta per metà l'ingegno di Paul Scheuring, sceneggiatore dotato di un ottimo intuito, ma incapace di infondere calore alla sua creatura quel tanto che basterebbe per trasformarla da asettica serie action a prodotto di ben diversa qualità e profondità.
Un vero peccato. E così, questa quinta stagione di Prison break farà felicissimi solo i fan più incalliti della serie, ma al di fuori delle buone intenzioni e una prima parte decisamente ottima, l'inutilità di questo sequel-revival la trascina giù nel purgatorio della serialità da dove era stata ripescata.
(Prison break); genere: action; sceneggiatura: Paul Scheuring; stagioni: 5 (terminata); episodi quinta stagione: 9; interpreti: Wentworth Miller, Dominic Purcell, Amaury Nolasco, Paul Adelstein, Robert Knepper, Rockmond Dunbar, Sarah Wayne Callies, Jacob Anton Ness, Augustus Prew, Inbar Lavi; produzione: Original Film, Adelstein/Parouse Productions, 20th Century Fox Television; network: FOX (U.S.A., 4 aprile-30 maggio 2017), FOX Italia (Italia, ottobre 2017); origine: U.S.A., 2017; durata: 60' per episodio; episodio cult quinta stagione: 5x06 - Phaecia
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