giovedì 27 ottobre 2016

Doctor Strange

Quattordicesimo titolo del Walhalla cinematografico dei Marvel Studios, Doctor Strange si inserisce a questo punto dell'interminabile saga supereroica per introdurre con un film tutto per sé l'ennesimo tassello della babele di personaggi che entrano ed escono da un capitolo all'altro per schierarsi a favore o contro gli Avengers secondo le esigenze delle intricatissime trame ideate per utilizzare a rotazione tanti muscoli, maschere e calzemaglie, fin dai gustosi “francobolli” che alla fine di ogni proiezione arrivano a interrompere lo scorrimento dei titoli di coda (stavolta ben due!). Motivo speciale di interesse, questo nuovissimo episodio può vantarlo grazie ai due mostri sacri presenti nel cast degli interpreti, Benedict Cumberbatch (che l'ha spuntata su Tom Hardy e Jared Leto), diviso ormai con eguale fortuna tra lo schermo e il palcoscenico, nel ruolo del neurochirurgo/stregone del titolo, e la mitica Tilda Swinton, qui totalmente rapata a zero, che presta il suo volto lisergico ad Antico, androgino maestro mistico di discipline spirituali orientali. E in effetti, vederli entrambi contestualizzati sullo sfondo di templi a pagoda e verzura nepalese a perdita d'occhio la dice lunga su quanto possano essersi divertiti su un set che tra un Hamlet e un Guadagnino sarà sembrata loro una piacevole vacanza nel resort di un sontuoso parco a tema. Effettivamente va riconosciuto che il film ostenta, nei primi dieci/quindici minuti, una sequela di effetti speciali sorprendenti di nolaniana memoria, di gran lunga più spettacolari dei palazzi ribaltati di Inception: ma quando nel finalone tornano le stesse caleidoscopiche moltiplicazioni e proiezioni ortogonali dell'inizio, si ha come una sensazione di averli già visti, e l'effetto si affloscia, sebbene riesca molto più gradito questo tipo di intervento illusionistico su metropoli e centri urbani che il catastrofico sfascismo baraccone della New York nel primo The Avengers… Momento visivamente, e concettualmente, piuttosto intrigante è invece quando, nel tentativo di sventare la distruzione di Hong Kong, Doctor Strange interviene con il suo Occhio di Agamotto (uno dei suoi potenti accessori insieme alla Cappa della lievitazione che gli permette di sollevarsi in volo a suo piacimento) e manipolando il Tempo riesce a rimandarlo all'indietro, come un filmato visionato in rewind, mentre l'azione dei personaggi coinvolti procede regolarmente in avanti. Per il resto, nonostante la presentazione del personaggio – un infallibile neurochirurgo che mentre opera i pazienti e armeggia col bisturi si fa sfidare a riconoscere titolo e anno di pubblicazione di un brano del repertorio pop – lascerebbe intendere una sua ulteriore e più complessa elaborazione, ci si accorge presto che ogni promessa viene sacrificata in nome di chiacchiere, discettazioni misticheggianti, entrate e uscite da cerchi di fuoco avanti e indietro nel tempo e nello spazio, scontri a botte di spostamenti d'aria, insomma un repertorio un po' abusato. Ma va visto, come vanno visti tutti i Marvel, testimoni di una mitologia contemporanea con cui è bello convivere, scegliendosi, in base alla simpatia e alle peculiartà caratteriali, il proprio personale superhero, intanto per continuare a sognare l'avventura e restare adolescenti ancora un altro po', poi per vincere certo fastidioso snobismo che fa storcere il naso ai noiosi e godersi, tra un Allen, un Apichatpong e un Dardenne, un po' di sano e catartico cinema pop.

(Doctor Strange); Regia: Scott Derrickson; sceneggiatura: Scott Derrickson, C. Robert Cargill; fotografia: Ben Davis; montaggio: Wyatt Smith, Sabrina Prisco; musica: Michael Giacchino; interpreti: Benedict Cumberbatch, Chiwetel Ejiofor, Rachel McAdams, Benedict Wing, Mads Mikkelsen, Tilda Swinton, ; produzione: Marvel Studios; distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures; origine: USA, 2016; durata: 115'



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