Thór e Kristján sono amici per la pelle.
Condividono l'ultima estate della loro infanzia in mezzo a giochi in cui già si mischiano, pastosi, i primi stupori sessuali e la scoperta di un corpo che cambia o che cambia meno in fretta di quanto si vorrebbe.
Soprattutto sperimentano le ansie della loro età, le incertezze nella definizione della propria identità, di quando l'immagine che risponde al nostro sguardo dall'altro lato dello specchio è diversa da quella che vorremmo eppure ci chiama alla consapevolezza con strana insistenza.
Thór, da parte sua, più piccolino e più imbronciato nella fatica a venir fuori dal bozzolo, è attratto da Beta, una ragazzina che sta tutto il tempo appiccicata ad Hanna, come sempre accade alle migliori amiche a quell'età. Del resto lui vive in una casa tutta al femminile, con una madre che stenta a tener dentro i dolori di una famiglia disgregata, e le sorelle, più grandi, che non hanno ancora imparato i limiti del suo nuovo bisogno di privacy. Il padre ha lasciato il nido da tempo, perso dietro alle gonnelle di una ragazzina che avrà l'età della figlia maggiore e non costituisce per nessuno, tanto più per Thór, l'esempio di un valore maschile cui fare riferimento.
Kristján, invece, è venuto su alto troppo in fretta e ancora non si capacita del suo fisico già maturo, già grande. Lui anche sente, oscuro, a grattargli la pelle ancora calda dell'adolescenza, un indistinto bisogno di sesso, ma si sente attratto da Thór, con cui è amico da quando a stento camminava. Un'attrazione difficile da accettare nel contesto di un paesino di pescatori, una mostruosità, come il pesce orribile che cattura a inizio film mentre tutti gli altri suoi compagni tirano dalle lenze splendidi esemplari.
Le reciproche pulsioni sessuali si mettono così in mezzo ai giochi dell'infanzia e intorbidano le acque del loro stare insieme, allontanandoli, dolorosamente, contraddittoriamente.
Perché i due ragazzi si vogliono bene davvero. Di quell'affetto scontroso che finisce spesso nel fare a botte, nell'urtarsi, nel farsi male ma non troppo, mentre il grosso resta nel non detto perché non dicibile, perché la paura mangia troppo le poche parole che non bastano a dire le emozioni. E davvero quasi niente ha un nome a quell'età.
Hjartasteinn (Heartstone è il titolo originale) è un film che respira allo stesso ritmo dei suoi personaggi. Un'opera in cui la narrazione lineare del bildungsroman si sposa a una sincerità assoluta nel dire e a un'onestà totale nel mettere in immagine.
Senza falsi pudori, senza tirare indietro lo sguardo dalle contraddizioni, il regista, alla sua sorprendente opera prima, Guðmundur Arnar Guðmundsson trova lo spirito di una sonata a due lucidamente contrastata, capace di restituire la rabbia frustrata e l'incredibile bisogno di affetto di due ragazzi che suonano veri dalla prima all'ultima inquadratura malgrado alcune esemplificazioni di sceneggiatura corressero il rischio di apparire troppo didascaliche (la specularità insistita tra l'universo femminile di Thór e quello più maschile di Kristján ossessionato da un padre manesco, il simbolismo del pesce diviso tra quello orribile tirato su da quest'ultimo e quello portato dall'amico a casa e lasciato fuori la porta a decomporsi).
Costruito con stile essenziale, dominato dal paesaggio islandese capace di farsi correlativo oggettivo dello stato d'animo dei personaggi, Heartstone è decisamente una sorpresa felice nel panorama di questa appena cominciata edizione del Festival di Venezia. Un film che meriterebbe distribuzione perché colpisce al cuore e lascia un segno profondo per davvero.
(Hjartasteinn); Regia e sceneggiatura: Guðmundur Arnar Guðmundsson; fotografia: Sturla Brandth Grøvlen; montaggio: Janus Billeskov Jansen, Anders Skov, Andri Steinn, Anne Østerud; musica: Kristian Eidnes Andersen; interpreti: Baldur Einarsson (Thór), Blær Hinriksson (Kristján), Diljá Valsdóttir (Beta), Katla Njálsdóttir (Hanna), Sören Malling (Sven); produzione: SF Studios Production, Join Motion Pictures; origine: Islanda, Danimarca, 2016; durata: 129'
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