mercoledì 6 luglio 2016

Addii - Abbas Kiarostami

Sono passati ormai quasi trent'anni da Dov'è la casa del mio amico?, quella storia semplice ma esemplare del piccolo Ahmad che, dopo aver trovato il quaderno di scuola del compagno di classe Mohamed, cerca di restituirlo al proprietario percorrendo un viaggio nella Teheran di pieno regime. È passato invece moltissimo tempo in termini cinematografici dalla scoperta di quel cinema Nuovo Cinema Iraniano che aveva incantato la platea internazionale negli anni Ottanta (dai festival agli ancora inossidabili cineclub): i racconti dell'Iran sotto regime, attraverso la narrazione di quelle storie comuni che vivono quel territorio, erano diventati mito di un conflitto tra tradizione e modernità, tra divieto e libertà. Al tempo il regime di Khomeini censurava la produzione nazionale da temi occidentali ed era dunque difficile raccontare il paese in modo diretto. Kiarostami assieme a Makhmalbaf, Panahi (quest'ultimo subisce tutt'ora una pena per le sue posizioni artistiche) si fecero esponenti attraverso i festival internazionali di quel cinema iraniano che attraverso le "piccole" storie quotidiane era capace di raccontare il proprio paese, ma soprattutto l'uomo con le sue sfumature. Un cinema che dal punto di vista stilistico giocava tra finzione e realtà, con attori non professionisti, ma gente comune (come nel Neorealismo), mettendo lo spettatore in continua posizione attiva durante la fruizione. Un cinema, quello di Kiarostami, che venne definito pedagogico, anche e soprattutto per la sua attenzione all'infanzia; e con questa definizione in Italia vengono in mente sia parte del cinema di Rossellini, che l'impegno politico di Zavattini.

Kiarostami era nato da famiglia benestante a Teheran nel 1940 ma viveva da tempo in Francia. Era malato di cancro e questo negli ultimi anni l'aveva costretto lontano dal palcoscenico internazionale. Qualche presenza in giurie, tra cui recentemente nel 2014 per una selezione di corti presso la Cinefondation di Cannes. Il suo ultimo lungometraggio di finzione venne presentato proprio a Cannes nel 2012, Qualcuno da amare, storia d'amore ambientata a Tokyo. Nel Settantesimo anniversario della Mostra del Cinema di Venezia aveva invece partecipato all'opera collettiva Venice 70: Future Reloaded.
Artista poliedrico si era formato all'Accademia di Belle Arti di Teheran dove si era diplomato in pittura. Negli anni Settanta aveva lavorato in diverse pubblicità e aveva compiuto il suo esordio cinematografico nel 1974 con Mossafer, storia di un ragazzino di dieci anni che determinato fa di tutto per vedere la partita della nazionale, quasi un preludio a quello che sarebbe divenuta la poetica narrativa del suo cinema, poi riconosciuto a livello internazionale. Kiarostami dagli anni Ottanta divenne infatti una vera propria icona del cinema d'autore, del cinema d'essai, quel cinema piccolo quello fatto con pochi mezzi, quel cinema dagli incassi difficili, ma che con l'avvento del digitale è tra l'altro diventato sempre più presente e diffuso.
Lo stesso Moretti gli aveva dedicato nel 1996 un cortometraggio dal titolo Il giorno della prima di Close Up, raccontando da esercente del Nuovo Sacher le difficoltà a promuovere quel cinema piccolo, ma realizzato da grandi autori. Proprio Close Up (1990) rappresentò un punto di rottura capace di condizionare il cinema indipendente degli anni successivi, ma anche di riconfigurare un rapporto tra mezzo e racconto che fino a quel tempo era soltanto stato toccato dal Cinema Verità degli anni Sessanta. L'impatto di Close Up nel suo paese di origine non fu dei migliori, anzi fu aspramente criticato, ma allo stesso tempo divenne nella storia del cinema un vero e proprio manifesto di quel cinema libero che negli anni Novanta fino a giorni nostri avrebbe conquistato i festival internazionali. In quella storia metacinematografica del cinefilo Hossain Sabzian è in fondo racchiuso un profondo ritratto del fanatismo e dello scambio di identità che oggi, proprio con l'informatizzazione della società e la conseguente alienazione, sembra più semplice e evidente ma anche forse più frequente. Sensibile, grafico e sintetico, lo sguardo di Kiarostami continua in opere come E la vita continua (1992), presentato alla Certain Regard, in cui metacinematografico non è solo lo stile visivo ma anche la narrazione. Nel 1994 è tempo del poetico Sotto gli ulivi nominato alla Palma d'Oro, anche qui storia metacinematografica. Nel 1997 riceve la Palma d'Oro per l'intenso esistenzialismo de Il sapore di ciliegia ad ex-equo con L'anguilla di Shōhei Imamura (in quell'anno in concorso c'erano anche Haneke e Wong Kar-wai). Poi nel 1999 Il vento ci porterà via premiato della critica a Venezia (con presidente Kusturica), il documentario ABC Africa (2001), Dieci (2002) in concorso a Cannes, Tickets (2005), esperimento collettivo non proprio riuscito con Ken Loach e Ermanno Olmi, Shirin (2008) documentario sul poema persiano messo in scena da famose attrici iraniane e infine Copia Conforme (2010) con Juliet Binoche. Poi altri documentari e collaborazioni, tra cui nel 1995 quella con lo stesso Panahi ne Il palloncino bianco.

La Francia l'aveva ormai adottato da tempo, visto la sua opposizione al governo conservatore di Mahmoud Ahmadinejad, coronando così sempre più quel mito non solo cinematografico ma anche politico che lo ha da sempre caratterizzato nella lotta contro la censura, lasciando però negli ultimi anni in secondo piano la posizione militante che aveva invece caratterizzato la prima parte della sua carriera. Se lo stesso Godard, in una delle sue dichiarazioni, ha affermato che “il cinema inizia con Griffith e finisce con Kiarostami”, forse è proprio vedendo l'ultima opera del collega Panahi, Taxi Teheran (2015), che si ha la netta sensazione dell'eredità dell'autore e dell'idea di cinema, portatore di storie e informazioni, sempre in continuo conflitto dialettico con la realtà e lo specifico artistico.



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