Thomas Lilti ha diretto piccoli gioielli come Ippocrate e Il medico di campagna e ora ha sentito di dover rispondere al richiamo forte della sua vocazione.
Thomas Lilti è un francese di poco più di quarant’anni che ha fatto del giuramento di Ippocrate una missione; non solo esercitando la professione di medico per anni, ma anche recitandolo di nuovo, quel giuramento, al cinema e in tv. Lo ha fatto analizzando gli ospedali pubblici, proprio con un film intitolato Ippocrate, che ha lanciato Vincent Lacoste, ma anche ne Il medico di campagna, sui dottori delle zone rurali, e infine in Première année, sull’estenuante test d’ingresso alla facoltà di Medicina in Francia. Quest’ultimo sarà distribuito da Movies Insipired, quando i cinema riapriranno. Tre film che hanno totalizzato nei cinema transalpini tre milioni e mezzo di spettatori. C’è poi anche una serie televisiva, Hippocrate, che riprende l’ambientazione e le dinamiche del film, ma non il cast, di cui Lilti è showrunner, le cui riprese della seconda stagione sono state da poco sospese.
“Magari non farò altro che parlare di medicina per tutta la mia carriera, ci sono molte altre professioni nella sanità che meritano di essere raccontate, come gli infermieri”, mi aveva risposto non più di un paio di mesi fa, quando l’avevo incontrato a Parigi per i Rendez-Vous del cinema francese, con il suo sguardo sornione. Nella prima stagione della serie Hippocrate, alcuni medici vengono costretti in quarantena a causa di un batterio. In molti, vedendolo, hanno pensato che stavolta si fossero spinti troppo avanti.
“Il rapporto con la sanità interessa molto in Francia”, ci ha poi detto, “cos’è un malato, cos’è un medico, qual è il rapporto fra chi cura e chi è curato? Siamo molto legati nel nostro paese al servizio pubblico, al fatto che lo stato sia sostenuto dallo sforzo collettivo di tutti per far sì che possa curare, aiutare e educare le persone in maniera ugualitaria. Ci rendiamo molto ben conto, però, come questo sistema sia sempre più fragile e in cattiva salute, in difficoltà. Non mi pongo personalmente troppo la domanda su cosa farò prossimamente, non so se farò il regista per molti anni ancora, il prossimo progetto sarà ancora autobiografico e, indovini un po’, ancora legato alla medicina.”
Lilti in questi giorni è tornato a fare il suo vecchio mestiere, da lui abbandonato definitivamente solo nel 2014, quello di medico. Non ha potuto resistere alla sua vocazione, a quell’Ippocrate che tanto gli ha portato fortuna al cinema, con sette candidature ai César e il consolidamento di una nuova carriera, una vocazione che l’ha colpito insieme a quella per la medicina. “I medici sono esausti, alcuni sono stati infettati”, ha dichiarato Lilti al Journal de Dimanche, “Mi sono offerto volontario al pronto soccorso, per cercare modestamente di essere d’aiuto, al fine di permettere ai medici più competenti, quelli che detengono davvero il sapere, di riposarsi anche solo qualche ora. È il minimo, ho prestato i giuramento di Ippocrate, la medicina ha fatto parte della mia vita per quindici anni. Quando mi chiedono quale sia la mia professione rispondo ‘medico’, nonostante tutti gli ultimi anni in cui non ho praticato”.
Quello che non avrebbe mai immaginato, e neanche noi, è che le corsie e i locali dell’ospedale Robert-Ballanger, nella Seine-Saint-Denis, periferia della grande Parigi, proprio quelli in cui si stava girando la serie Hippocrate, avrebbero riaccolto Lilti con càmice e targhetta al petto. Non come comparsa, ma come medico in servizio effettivo anti coronavirus.
Per quanto tempo ancora? “Non ne ho idea, non mi considero un salvatore, non sono un grande regista che sveglia le coscienze artisticamente. Ma, perché il mio cinema abbia un senso, ha bisogno di acquisirne dalla realtà. Non ne avrebbe più alcuno se non fossi ora accanto a chi sta curando i malati. Lo faccio anche per testimoniare il nostro affetto nei confronti del personale, che ci ha aiutato enormemente durante la serie. Ci sono pochi letti in rianimazione e molti dei pazienti si aggravano rapidamente. Se vediamo quello che succede in Italia e Spagna ci sono buone ragioni di essere inquieti sulla capacità degli ospedali francesi di prendere in carico l’afflusso di malati atteso per i prossimi giorni. L’ospedale sta scricchiolando, ma nessuno è sorpreso, non c’era bisogno di questa pandemia per constatare la penuria e precarietà del personale curante da anni a questa parte.”
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