martedì 5 aprile 2022

Vincent Lindon e il coraggio nella sua ambiguità: incontro con il protagonista di Un altro mondo

Un dirigente d’azienda, dopo un operaio disoccupato e un sindacalista. Vincent Lindon ormai incarna ogni punto di vista sul mondo del lavoro demoralizzato e precario di oggi, almeno in Francia. Il suo cantore è Stéphane Brizé, che conclude con Un altro mondo, in sala per Movies Inspired, dopo La legge del mercato e In guerra, la sua (non dichiarata) triologia sul tema.

Philippe Lemesle e sua moglie si separano, un amore danneggiato dalla pressione del lavoro. Dirigente di successo in un gruppo industriale, Philippe non sa più come rispondere agli ordini incoerenti dei suoi superiori. Ieri volevano che fosse un leader, oggi vogliono che sia un esecutore di licenziamenti ogni anno più numerosi.

Ne abbiamo parlato con Vincent Lindon nel corso di due incontri, uno a Venezia nel corso della Mostra, e uno da Parigi, in occasione dei Rendez-Vous di Unifrance.

Quando Brizé le propone un film, accetta a scatola chiusa?

No, non lo faccio mai nella vita. Se lo merita rispondo di sì, altrimenti no. Parto dal principio che devo dormire la notte, mi è capitato di dire no a dei cineasti illustri e a delle sceneggiature che tutti volevano facessi. Ogni volta una storia mi deve sconvolgere, raccontare un personaggio che voglio rappresentare. Philippe Lemesle arriva all’incarico della sua vita, con una domanda fondamentale a cu rispondere: sono io a non essere all’altezza di quello che mi chiedono, o quello che mi chiedono è folle? Il coraggio è fare qualcosa che non abbiamo più voglia di fare, cercando di fare nella maniera migliore possibile, o al contrario è abdicare e salvare la pelle rifiutando? Tutti interrogativi che lo tormentano con una famiglia che ha messo totalmente in secondo piano per dedicarsi al lavoro. Arriva un momento in cui il suo secondo amore, la sua professione, per cui ha sacrificato tutto rischia di deluderlo. Si domanda se ne sia valsa la pena. Non gli viene detto, come succede nelle aziende, in maniera subdola, che non è capace di farlo deve andarsene, ma che lo sa fare, visto che anno dopo anno il personale si è ridotto sempre un po’ sotto la sua gestione. Se l’hai fatto, puoi rifarlo. Se non lo fai metti in pericolo tutti i tuoi collaboratori, se non ne licenzi dieci o dodici. Vecchio mio, è un problema tuo, ma possiamo capirlo se non hai il coraggio o la forza in questo momento della tua vita di farlo. Non è un problema, lo farà qualcuno al posto tuo. Funziona così. Quindi è un uomo di fronte a una grande scelta nella vita, se continuare come se niente fosse, cosa che in tanti fanno. Questo era interessante e Stéphane Brizé non conduce lo spettatore per mano dandogli degli ordini su quello che deve considerare positivo o meno. Con i padroni cattivi e gli operai gentili o viceversa. È questa attitudine che mi interessa, sia umanamente che per il mio lavoro d’attore.

Tre film sul mondo del lavoro da tre punti di vista diversi.

Ma non voleva fare una trilogia. Ognuno è venuto dalle domande suscitate dal precedente. Tutti in giornalisti mi domandano della tematica, anche se non posso dire che non ci sia il tema del lavoro, tanto che alla fine raccontiamo tutte le frange della società, a parte le grandi professioni liberali come avvocati o medici. È molto interessante per un attore finire con questo film, indossando giacca e cravatta, un segno di ricchezza ma che mi stringe il collo, mi opprime. Nel film sono prigioniero del mio vestito. È stato interessante interpretare il personaggio contro il quale quelli dei primi due film si ribellavano. Chiaramente è appassionante. In Francia Brizé ha ottenuto un aura di autore come i Dardenne in Belgio o Ken Loach in Inghilterra, è diventato il portavoce della grande maggioranza dei francesi.

Ha parlato di coraggio, un termine evidentemente ambiguo nell’utilizzo che ne fa il padrone dell’azienda. È veramente coraggioso rendere operativi tutti questi licenziamenti o non lo è invece rifiutarsi?

È la domanda cruciale, ma non esiste risposta. Faccio spesso il paragone con un suicidio: è codardia o coraggio? Sei codardo perché vuoi abbandonare il mondo perché soffri troppo e coraggioso perché se vuoi saltare dalla finestra non è mica semplice. La vera domanda è: cosa devo fare, per me e per loro? Cosa succede se rifiuto: metto in pericolo i miei collaboratori? E se resto, li metto ancora più in pericolo, o garantisco chi rimane? Ma poi l’anno prossimo cosa accadrà? Quando si interromperà questa catena? Sono interrogativi angoscianti, nei confronti dei quali sei solo, nessuno può rispondere al posto tuo. È come l’amore, sopporti per anni pensando di finire una storia, poi una mattina ti svegli e non sai perché ma lo fai, come una diga che crolla. A essere interessante non è tanto la risposta, ma come viene presa la decisione. 

Leggi anche La recensione di Un altro mondo

Sta vivendo un grande momento della sua carriera.

Sì, è vero. Ho fatto nello stesso anno Titane, che ha vinto a Cannes, Un altro mondo  e sono stato alla Berlinale con Avec amour et acharnement di Claire Denis. Ho fatto il grande slam quest’anno, sono stato a Cannes, Venezia, Berlino e a San Sebastian con il film di Thierry de Peretti, Enquête sur un scandale d’Etat. Soprattutto sono i ruoli, non tanto i festival. Non hanno assolutamente niente a che fare uno con l’altro. Anche se ci si prepara nello stesso modo per Titane o Un altro mondo. Ovviamente, nel primo caso ho dovuto allenarmi fisicamente, ma la psicologia dei personaggi necessita dello stesso lavoro di preparazione, digerendo in pieno e con il tempo il personaggio. Per il film di Claire Denis ho lavorato per la prima volta con Juliette Binoche, nonostante facciamo gli attori da trentacinque anni più o meno allo stesso livello. Non saprei dire però come lavoro esattamente, ora che le parlo sto lavorando, imparo delle cose.



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