Con Shining, del 1980, Stanley Kubrick aveva utilizzato un romanzo di Stephen King per il suo film 'horror' (virgolettato perché, come nel caso di tutti i suoi film, il genere era solo un pretesto per elaborare una ben più complessa visione del mondo che ne esulava abbondantemente), sul quale costruì un manifesto sulle nevrosi della Famiglia assente nella fonte letteraria, trascendendo la peculiarità di quella 'serie B' cui bene o male l'horror tradizionalmente appartiene, che è poi quella di raccontare storie venate di inquietudini escatologiche o metafisiche per parlare di tutt'altro, finendo col firmare il decimo dei suoi 12 monumenti all'arte cinematografica, interamente catalogati in quell'ambito di vette assolute e inclassificabili. Con The Killing of a sacred deer, in competizione a Cannes, il greco Yorgos Lanthimos compie un'operazione ancora più radicale. Il regista di The Lobster, che a Cannes vinse due anni fa il Premio della Giuria, capovolge stavolta l'impianto consueto dell'horror, sceglie anche lui di smascherare i danni provocati dalle complicanze psicologiche delle relazioni familiari, scarta l'idea di qualsiasi ambito 'altro' e metaforico (dunque niente boschi o case infestate di spiriti, né viaggi on the road nell'America rurale o in località del mondo ad alto tasso di inquietudine, e altri luoghi 'tipici' di quelli che quando capita di ritrovarcisi nella realtà, diciamo: 'pare di stare in un film horror') e, nuda e cruda, rappresenta una famiglia all'apparenza normalissima, che al contatto con il Male si scompone pezzo per pezzo e sconta quell'hybris (Lanthimos è greco: vi dice niente?) secondo la quale ogni colpa dei padri ricade sui figli. La sacra cerva del titolo è quella sacrificata alla dea Artemide da Agamennone in luogo di sua figlia Ifigenia (nella tragedia di Euripide), e ne fa cenno il Preside della scuola dove Stephen Murphy, stimato cardiologo, va ad informarsi sul rendimento scolastico dei due figli, colpiti entrambi da una misteriosa paralisi agli arti inferiori di natura, secondo i medici, psicosomatica. Tutto ha avuto inizio da quando Murphy ha invitato a un pranzo di famiglia uno strano e misterioso ragazzino che con frequenza quasi quotidiana incontra nelle pause o al termine dei turni in ospedale: la natura del loro legame non è chiara, e pur essendo marito e padre, si ha il sospetto che il cardiologo abbia con l'adolescente una relazione singolarmente morbosa. Si apprenderà in seguito che il padre del ragazzo è morto sotto i ferri nel corso di un intervento al cuore praticato da Murphy in stato di ubriachezza. È forse il senso di colpa a indurre il chirurgo a prendersi cura di lui e sostituirsi in qualche modo alla figura paterna?... Il ragazzo diventa amico dei suoi due figli, si mette con la figlia più grande, invita Murphy a cena perché sua madre, giovane vedova, possa tentare di sedurlo... l'intreccio, insomma, si infittisce, direbbe Snoopy, la famiglia si sgretola, si ammala, si decompone, e il repertorio di consuete eccentricità disturbanti tipiche di Lanthimos prende via via piede ad accumulare una tensione strisciante che stavolta, rispetto alle precedenti prove del regista, risulta invece più intrigante e scientemente calibrata, grazie a dialoghi di qualità pinteriana - una scena tra tutte, quella del confronto delle pelurie ascellari - e alle magnifiche prestazioni degli attori, che Lanthimos ha saputo impostare su un compassato understatement, insinuante come una pesante anaconda che man mano arriva a invadere l'intero schermo inghiottendolo nelle sue spire. La voce di Colin Farrell, che interpreta il ruolo di Murphy, pare scandita dall'ineluttabile consapevolezza di un fato che prima o poi dovrà compiersi; gli occhi di Nicole Kidman, la moglie che asseconda le sue bizzarrie erotiche, brillano vuoti e senza penetrabilità di sguardo; lo stupefacente, quasi fastidioso Barry Keoghan nel ruolo dello strano adolescente è l'insolita incarnazione di un demone che attira e respinge, in un mix inedito di simpatia e sospetto. La sorpresa felice è che stavolta Lanthimos, come se avesse deciso di fare finalmente sul serio, non azzarda, non provoca, non fa l'eccentrico a tutti i costi, anzi ordisce la trama della sua regia ‘horror' (virgolettato anche stavolta) partendo proprio dallo Shining di Kubrick - la prospettiva centrale del corridoio dell'ospedale e la carrellata all'indietro che accompagna la sequenza introduttiva è parente strettissima delle pedalate di Danny lungo i corridoi dell'Overlook Hotel - per progressivamente spingere addosso a tutti i personaggi la massa pesante dei loro rispettivi destini, culminanti in un sacrificio finale che forse lava la colpa, ma non ne cancella il fardello morale. In conclusione, una delle regie più fisiche e potenti viste in questo Festival, al servizio di un progetto finalmente di statura, spessore e impatto infinitamente superiori a quanto realizzato finora da un regista che ci si augura riesca d'ora in poi ad alzare sempre di più il tiro.
(The Killing of a Sacred Deer); Regia: Yorgos Lanthimos; sceneggiatura: Yorgos Lanthimos, Efthimis Filippou; fotografia: Thimios Bakatakis; montaggio: Yorgos Mavropsaridis; musica: AA. VV.; interpreti: Colin Farrel, Nicole Kidman, Barry Keoghan, Raffey Cassidy; produzione: Element Pictures; origine: USA, Gran Bretagna, Irlanda, 2017; durata: 109'
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