Dopo la poesia, la delicatezza e l'intensità dei suoi ultimi due film: Father and son e Little Sister, con la sua nuova pellicola Ritratto di famiglia con tempesta (interessante traduzione italiana del titolo originario After the storm), Hirokazu Kore'eda, conferma di essere uno dei maggiori autori del cinema orientale contemporaneo. Un talento che da molti è stato accostato a quello di Ozu per raffinatezza e sensibilità.
Il suo è un cinema in grado di lasciare impronte profonde nel ricordo e nella mente della spettatore, narrando scene di vita quotidiana con una naturalezza che lascia davvero “incantati”. “Un cinema delle origini”, che va alla radice, indagando la natura delle sensazioni umane, analizzandole con sguardo acuto, ma incredibilmente “nascosto”, che si focalizza sulla dimensione più familiare e intima degli affetti.
Non è un cinema viscerale il suo, a differenza di quello di molti altri talentuosi registi orientali che pure raccontano queste tematiche. Il dramma e la commedia si fondono con un' armonia inscindibile. La macchina da presa diventa assolutamente impercettibile, tanto che il film e la vita dei suoi protagonisti “scorrono” con un'autenticità che conquista e rende profondamente vulnerabili, non con sequenze improvvise o colpi di scena, ma con una gradualità che si traduce in complessità. Ed è questa una delle caratteristiche fondamentali del cinema di quest'autore: la capacità di immortalare la complessità, i dubbi, le contraddizioni degli affetti e delle relazioni, con un tocco poetico e magnetico allo stesso tempo, che è in realtà estremamente tecnico, nonostante appaia lieve, dolce, piacevole come una brezza, di quelle quasi impercettibili, un vento apparentemente neutro, capace in realtà di amplificare le emozioni.
È chiara dunque la dimensione emotiva dei suoi film, che non si regge però su suggestioni, ma sul contenuto, sulla sostanza ed infatti la colonna sonora è ridotta al minimo, così come i virtuosismi registici. L'occhio cinematografico di Kore'eda c'è sempre e ha il pieno controllo delle scene, anche se agisce nell'ombra. Agli attori è affidato il compito più importante e Kore'eda è un maestro nello sceglierli e dirigerli: ha l'equilibrio, i tempi, il distacco giusto per farlo. La fotografia dei suoi film non ha mai colori particolarmente caldi o accesi, né ombre di particolare intensità. La luce è tenue e neutra. I paesaggi nelle scene in campo lungo, di semplice ma suggestiva bellezza. Si tratta quindi di uno stile unico. Riconoscibile e permeante.
Ritratto di famiglia con tempesta si inserisce perfettamente in questo quadro. È un altro tassello della sensibilità di Kore'eda. Racconta la storia di un uomo, un aspirante scrittore interpretato da un carismatico Hiroshi Abe (già visto nella commedia demenziale storico-fantastica Thermae Romae), il quale si ritrova a dover fare i conti col proprio divorzio dalla moglie (Yoko Maki), a cui è ancora legato affettivamente, soprattutto per il fatto di aver avuto con lei un figlio, che purtroppo, però, può vedere raramente. In difficoltà economiche, si fa assumere come agente investigativo per pagare gli alimenti alla moglie. Inaffidabile, disordinato, con la passione per le scommesse, trova a volte rifugio da sua madre (interpretata da Kirin Kiki, già vista in Le ricette della signora Toku). All'apparenza di carattere volitivo e ottimista, l'uomo vive in realtà nel ripianto della vita perduta con la moglie. Approfitta della sua professione di detective privato per seguire lei, che ha già un altro compagno, e il proprio figlio. All'ombra di questo “fallimento” c'è la sua speranza di recuperare e ricominciare ed un confronto sempre più inevitabile con il proprio padre, anche lui scommettitore, spesso criticato per la sua inaffidabilità e la tendenza ad accumulare debiti. Sullo sfondo un tifone che si avvicina. La tempesta non è affatto temuta, ma diviene invece una scusa per riunire la famiglia “disgregata” sotto uno stesso tetto, quello della nonna. E' un ritratto di famiglia malinconico, che fotografa forse un rimpianto, ma non è per questo privo di speranza. “La tempesta mi piace perché è capace di spazzare via ogni cosa” dice la nonna in una scena del film, anticipando l'accettazione che ognuno dei protagonisti sarà costretto a fare. Una tabula rasa che è anche un nuovo inizio.
Ancora una volta la paternità è al centro della riflessione di Kore'eda, come in Father and son, (film premiato a Cannes nel 2013) in cui un erroneo scambio di neonati causa l'accostamento e il confronto tra due famiglie molto diverse tra loro: una più povera, con molti figli ed un padre amorevole e giocherellone, l'altra più ricca, con un padre più rigido(Masaharu Fukuyama), che pretende molto, quasi la perfezione dal proprio figlio, in una società estremamente competitiva come quella giapponese. Le due famiglie tenteranno di scambiarsi nuovamente i figli, con tutti i disagi che ciò puo' comportare. L'interrogativo posto dalla pellicola è forte e spiazzante: è il legame di sangue a qualificare la paternità e a condizionarla? O forse questa dipende da altri elementi, emozioni che ogni “padre” deve trovare dentro di se? Il finale commuovente e speranzoso crea un'empatia rara nello spettatore, difficile da dimenticare.
Anche in Ritratto di famiglia con tempesta il proprio figlio diventa uno specchio “puro” per valutare se stessi. Un “uomo in potenza” con cui confrontarsi, per dare un senso alle proprie scelte e alle proprie azioni. Qui il tema è forse affrontato in maniera meno diretta che in Father and Son, ma è comunque presente, riguarda un adulto, che fa fatica a trovare l'eredità lasciatagli dal padre. La cerca negli oggetti "sopravvissuti" ai debiti e alla “pulizia” radicale della nonna che per dimenticare ha buttato ogni cosa lo riguardasse. La ritrova nel disordine, nel suo essere un outsider come era in fondo suo padre, rispetto ad una società “inquadrata”, prestabilita ed economicamente sicura qual è quella in cui vuole vivere sua moglie, che anche per questi motivi lo ha lasciato.
È così che i biglietti della lotteria che l'uomo aveva comprato al figlio, asciugati al sole dopo essere stati bagnati dal tifone, che l'ex moglie vede prima come un segno di dipendenza dal gioco, sono in realtà la metafora della speranza e del sogno, che nonostante le avversità, gli errori, le incomprensioni, “le tempeste” appunto, sono comunque motori irrinunciabili per costruire la propria identità, o comunque per provare a costruirla, anche se si dovesse fallire nel farlo. “Non sono ancora l'uomo che desideravo essere” dice il padre al figlio in una delle scene culmine del film. Il constatare che anche suo figlio è a suo modo diverso dagli altri, incline ad uscire fuori dal coro, come lui che a suo tempo si era battuto contro tutti per fare lo scrittore, è il biglietto della lotteria finale del protagonista, che accetta la tempesta ed è pronto a ricominciare, custodendo nella memoria un ritratto di famiglia che è rimpianto, ma è anche testimonianza di emozioni realmente vissute.
(Umi yori mo mada fukaku); Regia e sceneggiatura: Hirokazu Kore-Eda; fotografia: Yutaka Yamazaki; montaggio: Hirokazu Kore-Eda; interpreti: Hiroshi Abe, Yoko Maki, Yoshizawa Taiyo, Kirin Kiki, Rirî Furankî, Isao Hashizume; produzione: Aoi Promotion; distribuzione: Tucker Film; origine: Giappone, 2017; durata: 117'
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