Che Noah Baumbach sia o non sia “il nuovo Woody Allen” poco dovrebbe importare a chi ama il cinema ed è contento di poterne godere le infinite declinazioni provenienti da un'area geografica ben definita come New York, che, come sa bene chi ci è stato almeno una volta, riesce a improntare di sé, più di tante altre città nordamericane, una produzione culturale, letteraria e artistica, da sempre testimonianza della sua straordinaria energia e del vento di apertura e tolleranza che soffia tra i grattacieli della città che “non dorme mai”. Vero è che a Noah Baumbach, fiero della sua matrice ebraica newyorkese, piace fare cinema nella maniera giusta e sana in cui ogni cineasta americano dovrebbe amare la materia che gli dà da vivere, ovvero tenendo conto che per quanto ci si possa spingere, a proprio rischio, fin sull'orlo di una autoreferenzialità molto più tollerata, ad esempio, in letteratura, vanno sempre considerati certi imprescindibili criteri alla base dell'intrattenimento intelligente, possibilmente esportabile nel resto del mondo. The Meyerowitz Stories è il suo nuovo squarcio di tranches de vie, ammantato stavolta di una malinconia crepuscolare che non gli si conosceva: ferma restando la consueta grazia dei suoi ritratti dal vero di personaggi fra i venti e i cinquant'anni (l'età di Adam Sandler e di Ben Stiller, i due fratelli protagonisti del film Danny e Matthew), il raggio dell'attenzione si proietta stavolta verso una grandiosa figura di “vecchio”, quella del padre artista dal talento non riconosciuto, egoista e testardo come tutti gli artisti dal talento non riconosciuto, che in tarda età devono fare i conti con il fallimento di una vita interamente votata ad un'ambizione sfumata nel vuoto, e la gelosia per i colleghi più fortunati: un ruolo monumentale, pensato su misura per un altrettanto monumentale Dustin Hofmann. Ma i Meyerowitz del titolo sono una famiglia allargata, che comprende anche mamme, zie, ex mogli, e naturalmente rami più giovani, come la figlia di Danny, Eliza, che si affaccia alla vita raccogliendo la vena artistica del nonno (le cui frustrazioni sono ricadute, là dove più, là dove meno, su tutto il resto del parentado segnandone nel bene e nel male caratteri e attitudini) azzardando una carriera di filmaker forse improbabile, forse no. Baumbach è uno di quei pochi registi che possono vantare un “touch” inconfondibile, e nel maneggiare il suo “all stars cast” (oltre a Sandler, Stiller e Hoffman gli altri volti del film sono Emma Thompson, Candice Bergen e Adam Driver) concepisce una concertazione talmente perfetta da lasciare a tutti briglia sciolta e libera senza che mai nessuno primeggi o oscuri gli altri, in un flusso di parole, battute e discorsi di prodigiosa qualità teatrale e letteraria. Tutto servito – ed è questa la differenza più lampante con il cinema di Woody Allen, tirato in causa con corriva disinvoltura da chi ha accusato queste Meyerowitz Stories di ricalcarne il modello senza aggiungere niente a quanto già non si sappia degli ebrei newyorchesi – con un cinema di leggerezza cameristica, tratteggiato a mano libera e con la veloce incisività di un artista grafico alla Adolph Gottlieb o alla Philip Guston, quasi grezzo, ma efficace proprio per l'immediatezza del gesto (là dove invece Allen ha una ben diversa e lineare olimpicità “pop”). E poi c'è questa malinconia, appunto, nel confrontarsi con la saggezza che sfiorisce di fronte alla morte, perché è finito il tempo della speranza in qualcosa di nuovo, in un possibile recupero, in un riscatto tardivo. In conclusione, un Baumbach come sempre caustico e divertente, ma stavolta anche maturo e riflessivo, pronto per entrare in una fase tutta nuova di opere corali di umanissimo spessore, come questa portata in concorso a Cannes.
(The Meyerowitz Stories (New and Selected)); Regia: Noah Baumbach; sceneggiatura: Noah Baumbach; fotografia: Robbie Ryan; montaggio: Jennifer Lame; musica: Randy Newman; interpreti: Adam Sandler, Ben Stiller, Dustin Hoffman, Elizabeth Marvel, Grace Van Patten, Emma Thompson; produzione: IAC Films; origine: USA, 2017; durata: 110'
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