Se il leggere è azione “attiva”, il guardare è azione “passiva” che dovrebbe comportare l'attività della riflessione su quanto si sta guardando. Scrivere, come fare cinema, sono entrambe azioni attive, ma la spropositata differenza tra leggere e guardare ha decretato la maggior fortuna del cinema rispetto alla lettura, specialmente in anni come questi nostri, che pare abbiano cancellato la riflessione dalle attività dei viventi. Il nuovo film di Roman Polanski, inserito come evento conclusivo del Festival di Cannes numero 70, dove avrebbe, se inserito in concorso, fatto incetta di premi, è un gioco sublime, forse ormai fuori moda (ma è qui che sta il bello), proprio sull'attività e sulla passività dell'azione creativa e dell'azione fruitiva, ricordando allo spettatore che, al fine di formulare giudizi corretti su quanto riesce a “vedere”, farebbe molto meglio anche a “leggere”, ovvero compiere volontariamente un'azione “attiva”, per mantenere una sovranità di giudizio altrimenti priva di qualunque autorevolezza. Naturalmente anche l'azione di scrivere comporta quella di “inventare”, che è forse quella più attiva di tutte. Lo scrittore, infatti, usa la propria arte dissimulatrice e affabulatoria per inventare e ridar vita e logica a ciò che spesso, nella realtà, ha vita, sì, ma non ha logica alcuna, in un gioco di sdoppiamento spesso e volentieri narcisistico, autocelebrativo, e stabilire con il pubblico una relazione fondata su una fiducia cieca e unilaterale. Nel trasporre sullo schermo il bestseller di Delphine de Vigan D'après une histoire vraie, il grande, grandissimo Roman Polanski ne ha mantenuto il titolo e la struttura a edera che avvince le due protagoniste femminili in sempre più torbide e strette volute. E ha rispolverato la lezione più hitchcockiana del proprio cinema (da Frantic a The Ghostwriter) per spettacolarizzare in chiave di thriller teso e serrato il romanzo originale. L'insinuarsi di Eva Green, lucida e aguzza come una lucertola, nella vita privata di Emmanuelle Seigner, scrittirice di successo psicologicamente provata dopo l'uscita di un libro dedicato a sua madre ed ora nel pieno di una pesante crisi creativa, dà l'avvio fin dalle primissime battute del film ad un hitchcockiano gioco cinematografico di dettagli su oggetti di uso comune: al posto del bicchiere con la lampadina de Il sospetto, o le chiavi di Notorius, D'après une histoire vraie esibisce una carrellata di frontespizi di libri, schermi di computer e richieste di password, display di cellulari, specchietti retrovisori, pompe di rifornimento, mattarelli, frullatori, mazzi di chiavi, tazzine del caffè, bicchieri di vino, aragoste, stampelle, sigarette… in un turbine di iperrealismo che confonde la percezione degli eventi appositamente per rendere più autentica la finzione cinematografica, ma allo stesso tempo rivelandone come con una lente d'ingrandimento l'ingannevole natura indiziaria per sviare lo spettatore e trascinarlo il più lontano possibile dal colpo di scena finale e raddoppiargli la sorpresa. Storia vera, finzione, invenzione, tranello, sono le piste dove Polanski e il suo lussuoso collaboratore alla sceneggiatura, Olivier Assayas, fanno danzare letteratura e cinema, in un mutuo e proficuo scambio di attività e passività, con l'effetto garantito di tirare dentro il gioco anche il lettore-spettatore, continuamente sollecitato ad intuire dove finisce la realtà e inizia l'invenzione, oppure semplicemente incantato dal puro piacere di perdersi e lasciarsi ingannare da questa histoire de vraie Cinéma: che si conclude su un'eloquente panoramica sul totale di una grande fiera del libro, paradiso di migliaia e migliaia di storie vere, finte, autentiche o inventate, scritte per un pubblico passivamente affamato di storie, che non si chiede quanto possa costare, in termini di salute fisica e logorio psicologico, l'invenzione di una storia finta che sembri vera, o di una storia vera che sembri… più finta del vero. E crede perciò a qualunque storia gli venga raccontata, perché è forse l'autore che l'ha inventata colui che per primo ha dovuto crederci per mettere in moto il gioco e l'incanto dell'illusione.
(D'après une histoire vraie); Regia: Roman Polanski; sceneggiatura: Roman Polanski, Olivier Assayas; fotografia: Pawel Edelman; montaggio: Margot Meynier; musica: Alexandre Desplat; interpreti: Emmanuelle Seigner, Eva Green, Vincent Perez; produzione: Belga Films Fund, Belga Productions, Wy Productions; origine: Francia, Belgio, 2017; durata: 110'
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