mercoledì 29 agosto 2018

Venezia 75 - Pearl - Giornate degli autori

Cosa lega l'anima alla carne? E in che modo l'una può influenzare o addirittura modellare l'altra?
A queste domande prova a dare una risposta non scontata Pearl, opera prima di Elsa Amiel, una regista di origini francesi che si avvale di una coproduzione franco-svizzera per un film curiosamente ma significativamente diviso, a livello linguistico, tra inglese e francese.
Ambizione non da poco, se ci si pensa su un momento, perché anche a non voler scomodare il nume di un Cronenberg, da tempo orientato verso altre ossessioni, questo è un tema sul quale il cinema ha acceso non poche luci.

Elsa Amiel, da parte sua, sceglie un contesto, quello del bodybuilding femminile, che meglio si presta a grattare sotto la superficie in cerca di risposte meno scontate.
Protagonista del film è Léa Pearl, una giovane atleta tutta concentrata nel suo sogno di diventare la futura Miss Heaven. La incontriamo a inizio proiezione, mentre porta avanti la sua preparazione atletica filmata da una telecamera significativamente epidermica, costretta quasi a dettagli strettissimi di parti del corpo nell'intenzione utopica di filmare la stessa traspirazione dei pori della pelle.
In poche inquadrature ecco chiariti i poli nord e sud della messa in scena: il lavoro della costruzione del corpo e dei muscoli, attraverso una fatica che sottende l'annientamento della personalità dell'atleta e, al tempo stesso, la trasformazione del corpo in una prigione che chiude e sigilla al suo interno l'anima.
Man mano che la proiezione avanza, infatti, lo spettatore viene gradualmente messo a conoscenza del passato di Léa che, tanto per cominciare, fino a qualche anno prima, non era nemmeno Léa, ma Julia. L'azione di ridefinizione del proprio fisico, rappresenta quindi, per il personaggio, un tentativo di sovrascrivere una nuova identità sulla vecchia percepita come inadeguata.

Un percorso di riscrittura assai simile a quello dei comic book movies con i quali il mondo del bodybuilding ha non pochi punti di contatto (a partire dai costumi degli atleti) e che la sceneggiatura porta a un livello di consapevolezza nel momento in cui il piccolo figlio di Julia, riemerso improvvisamente nella vita di Léa, comincia a raccontare quello che capisce del mondo che lo circonda attraverso le figure di Spiderman (col quale attiva un processo di immedesimazione) e di Hulk (che, invece associa alla madre nell'identica propensione alla riscrittura del corpo in chiave muscolare).

Il riavvicinamento della donna con il figlio, che avviene in misura traumatica, è il centro gravitante di una riflessione ancora centrata sul tema della carne. Léa ritrova un contatto con il piccolo nella misura in cui il corpo dell'atleta entra in contrasto con quello della madre in una dimensione che più che animale sembra essere addirittura ancestrale.
Appena incontrato il piccolo Léa ha, infatti, una mestruazione, cosa che, il suo corpo, ormai abituato all'abuso di ormoni, non sperimentava da anni. Il suo riavvicinamento al piccolo, poi, ha i caratteri di un'istintività spesso bestiale come quando finisce per strappare a morsi una fettina di carne per darne i pezzi al figlio quasi lo stesse imbeccando come un uccello.
Una frattura, quella tra anima e corpo che solo nel finale sembra cominciare a ricomporsi nel momento in cui lo sforzo dell'atleta a disegnare il proprio corpo comincia a scendere a patti con quello di una donna che ricompone una propria identità anche materna. Ricomposizione, questa, che trova il suo spazio ideale tra le pareti dell'hotel coperte da teli di plastica leggera che danno allo scenario la dimensione in divenire di un luogo in perenne ricostruzione o ristrutturazione.

Elsa Amiel costruisce su queste basi un film non semplice, ma efficace. Notevole dal punto di vista attoriale e pieno di spunti di interesse anche se qualche dettaglio in più sui personaggi secondari avrebbe giovato all'armonia complessiva.

(Pearl); Regia: Elsa Amiel; sceneggiatura: Elsa Amiel, Laurent Larivière; fotografia: Colin Levêque; montaggio: Sylvie Lager, Caroline Detournay; musica: Fred Avril; interpreti: Julia Föry (Léa Pearl), Peter Mullan (Al), Vidal Arzoni (Joseph), Arieh Worthalter (Ben), Agata Buzek (Serena); produzione: Unité de Production, Bande à Part Films; origine: Svizzera, Francia, 2018; durata: 82'



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