giovedì 23 marzo 2017

Elle

"La vergogna non è un'emozione abbastanza forte da impedirci di fare tutto ciò che vogliamo. Credimi."
- Michèlle

Un tonfo sordo. Un grido lamentoso. Un gatto dal pelo grigio, quasi nero, osserva con grandi occhi increduli la sua padrona riversa in terra, mentre viene stuprata da un uomo con un passamontanga. Il gatto è immobile, come pietrificato e sembra chiedersi “Perchè?”. La donna combatte, ma l'uomo la sovrasta e la piega al suo morboso desiderio. Un'ultima reazione, questa volta accennata, poi la resa. L'uomo si rialza, soddisfatto e sparisce nel nulla. Ora anche la donna si alza e, lentamente, si ricompone. Silenzio. La donna sospira, un pò incredula, un pò appagata. Così, la vita va avanti. La scena d'apertura di Elle, nuova solida prova di Paul Verhoeven (regista di pellicole di culto quali Basic instinct, Robocop, Showgirl, Atto di forza, Strashiptroopers e Blackbook, sempre a cavallo tra più generi) è la perfetta, quanto annichilente messa in scena dell'anima del film tratto dal romanzo Oh..., di Philippe Djian: Michèlle è una donna sola, che vive in una casa vuota e priva di calore e affetto, sottomessa alla violenza di un mondo indiffirente e volgare, nelle quali pieghe si celano morbosità e violenza ingiustificata, capaci di eruttare anche in pieno giorno, in un quartiere borghese benvisto.

Michèlle (una straordinaria Isabelle Huppert, in bilico tra minimalismo espressivo e sfuriate di algida passionalità, vincitrice del Golden Globe come miglior attrice, di un César e, in più, candidata all'Oscar per la medesima categoria) lavora in un'azienda di sviluppo di giochi di ruolo per computer, indaffarata tra eroine alle prese con mostri stupratori e combattimenti violenti; si intrattiene spesso con l'ex marito e una coppia di migliori amici (non disdegnando un continuo rapporto sessuale con il marito di lei, si da il caso la sua migliore amica) in cene in locali lussuosi; corre dietro un figlio senza certezze sul futuro, abbindolato dalla compagna, nevrotica e possessiva; infine gestisce come può il rapporto con la madre libertina, senza mai spendere parole d'affetto per provare a comprendersi più a fondo. In realtà, Michèlle è una donna ferita nel profondo dall'inspiegabile e brutale serie di omicidi commessi da suo padre (un mite signore senza alcun precedente) quando era ancora una bambina: un'esperienza in grado di privarla della confortante figura del genitore fin dalla giovinezza, obbligandola a sviluppare un carattere schivo, indifferente e ambiguo.

Proprio questo è Elle. Un film ambiguo che sfrutta l'ambiguità della sua protagonista e dei comprimari per sradicare il marcio invisibile e inquitante di una certa borghesia europea che si oppone (almeno superficialmente) a ogni sorta di imperfezione etica ed estetica, ma che non rinuncia mai (in cuor suo) ad appagare ogni sorta di vizio o appetito: dalla madre di Michèlle (Irène Leblanc), donna di una certa età, che continua a divertirsi con ragazzi di gran lunga più giovani di lei, alla cinica e oscura personalità che si nasconde dietro l'immacolata facciata di una coppia di vicini in carriera, fino alle stucchevoli ammissioni (o mancanze d'ammisione) del figlio Vincent (Jonas Bloquet), sopraffatto dall'impossibilità di realizzarsi e dal tempestoso carattere della compagna incinta. Ma è proprio lei, Michèlle, il personaggio più indecifrabile e privo di autocontrollo: appare scioccata e al contempo appagata dal violento rapporto sessuale con lo stupratore (e a un certo punto riuscirà a instaurare con lo stesso un perverso rapporto di complicità), non si fa remore nel tradire la fiducia della sua migliore amica, mantenendo una relazione con il marito di lei, e stupisce la leggerezza con la quale rievoca gli omicidi perpetrati dal padre, sorridendo beffarda e divertita dalla reazione del vicino di casa (Laurent Lafitte); così come non ci pensa su due volte a sedurre lo stesso vicino durante la cena di Natale, o a mostrarsi volubile in merito al rapporto con l'ex marito, o nello svelare quasi con condiscendenza all'amica Anna (Anne Consigny) il tradimento con il marito, sicura e protetta da trascorsi di apparente legame sentimentale con la stessa.

Verhoeven diluisce un film esplicitamente orientato verso il thriller con una buona dose di humor nero, spesso irriverente. Una scelta azzeccata che rispecchia il valore ambiguo dell'opera anche nella sua messa in scena, poichè Elle non è un film di denuncia (i temi della violenza domestica o del femminicidio sono oggi più attuali che mai), ma una presa di coscienza di un certo modo di apparire tanto fasullo quanto fragile, destinato a mutare e sgretolarsi sotto il peso della nostra natura imperfetta e insicura, e imprevedibile come l'inspiegabile eccidio per mano di un uomo qualunque o la reiterata e masochistica attitudine a ferire se stessi e chi ci vuole bene. Così come ci è dato vivere. Tra luci e ombre. Inscindibili.

(Elle); Regia: Paul Verhoeven; sceneggiatura: David Birke, Philippe Djian, Harold Manning; fotografia: Stéphane Fontaine; montaggio: Job ter Burg; musica: Anne Dudley; interpreti: Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny, Charles Berling, Virginie Efira, Christian Berkel, Lucas Prisor, Raphaël Lenglet, Vimala Pons, Judith Magre; produzione: SBS Productions, SBS FILMS, Twenty Twenty Vision Filmproduktion, Entre Chien et Loup, France 2 Cinéma; distribuzione: Lucky Red; origine: Francia, Belgio, Germania, 2016; durata: (esempio) 130'



from Close-Up.it - storie della visione http://ift.tt/2n9UlIS

Nessun commento:

Posta un commento