venerdì 31 marzo 2017

Ghost in the shell

"Soltanto considerando la nostra eccezionalità come virtù possiamo trovare la pace."
- Daisuke Aramaki

Prima di affrontare qualsiasi discorso, è lecito e doveroso porsi una semplice domanda: che bisogno c'era di un live-action di Ghost in the shell? Nessuno: il film diretto da Rupert Sanders è un prodotto asettico, impossibilitato a riprodurre anima e sentimento di non una, ma bensì due opere d'arte, ossia il manga Ghost in the shell di Masamune Shirow e l'omonimo adattamento animato di Mamoru Oshii. Questa elementare considerazione serve unicamente per delineare il film di Sanders come prodotto meramente commerciale, una macchina da botteghino, con l'unico pregio possibile di poter suscitare così tanta curiosità nelle nuove generazioni, da spingerle a riscoprire i veri capolavori appena citati.

Non sempre è possibile e cosa buona e giusta riprodurre un'opera riuscita e compiuta come lo è Ghost in the shell di Shirow. Tuttavia Oshii è riuscito nell'intento di realizzare un lungometraggio animato non solo conservando l'anima dell'opera prima sullo schermo, ma riadattandola in un contesto storico produttivo e sociale differente, modellandola secondo il suo personale gusto estetico e narrativo: in questo modo il film di Oshii non solo osava con successo rileggere il mito di Blade Runner, ma si poneva come pietra angolare per la fantascienza cyber-punk negli anni a venire (e non è affatto un caso se gli allora fratelli Wackowski furono i primi a dichiarare di aver presto spunto dal film di Oshii per realizzare il loro Matrix). Nel rispetto delle regole, Sanders aveva due possibili strade da percorrere per realizzare il suo live-action: ripetere quanto realizzato da Oshii rispetto al manga, ovvero riadattare il lungometraggio animato in un live-action in grado di evolversi seguendo le linee guida di un'autorialità personale e, spingersi verso nuovi confini, con coraggio, correndo perfino il rischio di realizzare un film a tratti sconnesso da quanto ammirato (e amato fin'ora), ma pur sempre originale, oppure copiare passo dopo passo l'opera cardine di Oshii.

Sanders ha deliberatamente optato per la seconda opzione, trasformando il suo Ghost in the shell in una copia smunta e per molti tratti priva di vigore, concettualemte più incline ai film fantascientifici d'azione, relegando l'introspezione e l'ambiguità individuale dei personaggi a sprazzi di reminescenze o a battute a effetto. Proprio come i glitch che assillano il Maggiore Mira (una Scarlett Johansson a suo agio in un ruolo non facile), l'emotività e la genuinità del capolavoro di Oshii si avvertono a sprazzi, come echi di una visione passata, ricordi tanto lontani, quanto ancora vividi e consapevolmente impossibili da replicare.

Un ulteriore difetto emerge quando è necessario inserire personaggi dai caratteri somatici occidentali (unica eccezione Takeshi Kitano, vero colpo al cuore, che quasi commuove) in un contesto per necessità orientale, operazione che nasce come presupposto per l'occidentalizzazione del prodotto voluta dalla produzione, che in questo modo cannibalizza non uno, ma due capolavori, per sputare fuori solo la confezione, decorata con effetti digitali brillanti e fluorescenti, perfetti per un film di fantascienza che vuole lasciarsi ammirare solo come puro intrattenimento. E, paradossalmente, se si possiede il coraggio e la sfrontatezza di sedersi e incollare lo sguardo accantonando per due ore scarse la consapevolezza di conoscere “l'origine” del film di Sanders, questo Ghost in the shell adempie il compito di intrattenere. Intrattenimento ben confezionato. Un guscio. Tanto sgargiante, quanto vuoto.

(Ghost in the shell); Regia: Rupert Sanders; sceneggiatura: Jamie Moss, William Wheeler, Masamune Shirow (soggetto); fotografia: Jess Hall; montaggio: Neil Smith, Billy Rich; musica: Clint Mansell, Lorne Balfe; interpreti: Scarlett Johansson, Takeshi Kitano, Pilou Asbæk, Michael Pitt, Juliette Binoche, Chin Han, Danusia Samal, Lasarus Ratuere, Rila Fukushima, Joe Naufahu; produzione: DreamWorks SKG, Grosvenor Park Productions,Paramount Pictures, Seaside Entertainment; distribuzione: Universal Pictures; origine: U.S.A., 2017; durata: 120'



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