giovedì 28 marzo 2019

Dumbo

È nel rumore che fa quando vola. Non quello del corpo leggero e silenzioso di un uccello. Più simile invece a quello di ingranaggio - tra l'organico e l'inorganico - che potrebbe produrre uno pterodattilo e o un trabiccolo volante dei primi del '900 uscito dalla fantasia di Verne. O nel contrasto tra la massa compatta e pesante del corpo bestiale e la lunghezza slanciata di quello dell'acrobata Colette, la regale Eva Green, che lo cavalca ingobbendosi.
In questa eloquente fisicità del protagonista risiede la bellezza del Dumbo di Tim Burton.
Come se il regista, libero e scatenato poeta in Edward mani di forbice, abbia precipitato tutte le sue forme più strane, paurose e gentili nel mitico profilo tondeggiante, e incredibilmente volante, di uno dei personaggi più amati e tormentati della dinastia Disney.
Chiedete a qualsiasi bambino, e non agli adulti che accompagnano nella visione, cosa provano per il Dumbo del vecchio zio Walt.
La maggior parte di loro non lo metterà tra i preferiti. Per due motivi: in Dumbo si parla dell'amore ancestrale verso la figura genitoriale (molti i tratti comuni con Pinocchio), rapporto che, sin dalla notte dei tempi, si colora di toni sentimentali e teneri quanto di inquietudini a sfondo tragico.
Ma soprattutto, Dumbo è un film che parla del rifiuto dell'altro, di paura della diversità, di coercizione, prigionia. Un rifiuto feroce e tagliente che, attraverso la visione del film originario, dai chiari tratti espressionisti, arriva, eco vivido e disturbante della realtà, dritto sulla pelle dello spettatore, qualsiasi età abbia. Roba che, un tempo, avremmo definito pienamente "alla Burton".
Invece il nuovo Dumbo, che pure attinge a tratti felicemente alla consuetudine del regista con l'universo dei reietti, cosiddetti diversi, fisicamente e spiritualmente - come nella magistrale entrata in scena, a inizio film, di Colin Farrell alla stazione, e del suo "riconoscimento" agli occhi dei figli - stempera progressivamente i toni più burtoniani e acidi.
Il focus non è più sulla coppia a tratti claustrofobica Dumbo-Mamma Jumbo ma sul consesso sociale, poi traslato nel concetto politically correct di famiglia allargata.
Non ci sono riferimenti diretti a Orwell e all'antropomorfismo politico dei suoi animali, come nel razzismo virulento da parte degli altri pachidermi dell'originale.
In Burton gli animali sono esseri viventi più o meno crudelmente strumentalizzati dall'uomo in contesti di cui il circo è solo la massima espressione negativa. Ma anche qui: Danny De Vito è un direttore in fondo dal cuore d'oro pronto per la redenzione ambientalista, e il mega cattivone capitalista Michael Keaton o la new entry marypoppinsiana del banchiere Alan Arkin diluiscono e confondono i tratti dell'avidità con quelli della stupidità. Peccato.
Di strategica presa sul pubblico sarà l'entrata in scena di una diversa dimensione dell'infanzia (non più stupidotta, come appariva sullo sfondo nell'originale).
Ecco che Burton chiede aiuto, per trovare una sua chiave, alla giudiziosa piccola donna Milly, con la sua voglia di distaccarsi dalla fatuità del mondo circense dove è nata (anche qui, si pesca un po' troppo nel luogo comune) per diventare la nuova Marie Curie.
Resta immutato invece l'insegnamento della piuma, inutilmente sovraccaricato del simbolismo della chiave. Volere è potere. Quando il mondo ti sembra inaccessibile dietro porte chiuse, è dentro di te che devi cercare la forza per farle scomparire.
Ma pensando a queste parole e al povero Dumbo ubriaco che danza fra gli elefanti rosa dell'originale del '48 - in Burton ridotti a sterile divertissement di bolle di sapone - non mi passa dalla mente la canzone interpretata dalla giovane protagonista di un film tunisino di qualche anno fa, Appena apro gli occhi di Leyla Bouzid, ambientato prima della rivoluzione del 2011, sull'impossibilità di realizzare i propri sogni "Quando vedo questo mondo di porte chiuse, ebbro, chiudo gli occhi, e ogni volta mi appare una ragazza, qualche volta è la stessa, a volte sembra un'altra, e immagino cieli azzurri e occhi sorridenti. Ma quando poi apro gli occhi vedo un mondo di povertà, disprezzo e dolore"

(Dumbo); Regia: Tim Burton; interpreti: Colin Farrell, Michael Keaton, Danny De Vito, Eva Green, Roshan Seth, Elisa, Nico Parker, Deobia Oparei, Alan Arkin, Joseph Gatt, Douglas Reith, Finley Hobbins, Sandy Martin, Lars Eidinger, Michael Buffer, Bern Collaço; produzione: Walt Disney Italia; origine: USA, 2019; durata: 130'



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