venerdì 24 marzo 2017

Perché Il Conformista non può non parlare del Disprezzo

Il conformista- ovvero questo blog- non può non parlare del Disprezzo. Perché sono, insieme a La Ciociara, i tre film più importanti tratti dalla pagina di Moravia. Non se la prenda chi ama l'opera di Soldati (per La Provinciale), di Maselli (per Gli Indifferenti), di Bolognini (per Agostino) o di Damiani (per La Noia). Il Conformista di Bertolucci, Il Disprezzo di Godard e La Ciociara di De Sica sono tre film legati da forti e curiosi legami metacinematografici che amplificano e valorizzano le già pregevoli scelte di messa in scena dei tre autori nella loro trasposizione delle opere di Moravia.
Andiamo con ordine, e diamo il giusto peso a Il Disprezzo e alla sua vicenda “filologica”, almeno per l'edizione italiana. Proprio perché adesso, dopo più di mezzo secolo, si potrà finalmente vedere la lettura di Godard del romanzo di Moravia, senza le manipolazioni del produttore Carlo Ponti che curò una addomesticata versione italiana del film per l'uscita nelle nostre sale.
Sfatiamo subito un mito: Ponti amava Godard, a tal punto da sponsorizzare a De Sica il giovane Belmondo, in tempi non sospetti, per il ruolo di coprotagonista de La Ciociara. Quel Belmondo che il produttore italiano aveva visto in anteprima al Festival di Berlino, protagonista della celeberrima opera prima di Godard Fino all'ultimo respiro che lì aveva vinto l'Orso d'argento per la migliore regia. Era il 1960 e La Ciociara, tratto dall'omonimo best-seller di Moravia ebbe una fortuna ed una eco internazionale. Che culminò con l'Oscar come migliore attrice protagonista per la signora Ponti, alias Sophia Loren. Il gotha del cinema internazionale si innamora di Moravia, allora perché non affidare al giovane enfant prodige della Nouvelle Vague carta bianca per portare sullo schermo Il Disprezzo?
Il romanzo ha fortissime connotazioni metacinematografiche, è specchio dei tempi e racconta l'industria culturale europea che si sta americanizzando. La vicenda, che ha echi faustiani, è semplice e lineare. Un ricco produttore mefistofelico concupisce la moglie al giovane sceneggiatore chiamato a scrivere il film che produrrà. E su questo plot un talentuoso e ambizioso cineasta di avanguardia può far esplodere tutti i luoghi comuni del linguaggio cinematografico e del mondo dal cinema, al punto da viverne lui stesso un curioso contrappasso.
La versione che darà Godard di Moravia (quella che adesso è tornata in sala grazie alla Cineteca di Bologna: http://ift.tt/2n5T1t8...) è ufficialmente sconveniente per le nudità della protagonista B. Bardot, in realtà il film che propone musica colta e che si presenta con un montaggio fuori dal comune mescolando poi nell'intreccio dialoghi in italiano, francese, inglese e tedesco è troppo anche per la giovane e rampante cinefilia che sta nascendo anche in Italia in quegli anni. Ponti tradisce l'opera di Godard operando dei tagli (vittima ne sono anche l'inizio ed il finale), appoggiando alle scene una colonna sonora più orecchiabile e facendo parlare tutti in italiano, creando nella versione italiana del 1963 delle vere e proprie situazioni non sense. Una licenza del produttore che imponendo così il suo final cut ci presenta paradossalmente l'opera di Ponti- Godard ancora più fedele allo spunto metacinematografico che si trovava alla base dell'opera letteraria di Moravia.
Già, Moravia. Quasi dieci anni dopo Bertolucci decide di realizzare un film dal romanzo Il Conformista. E il regista di Parma, enfant terrible della nuova generazione del sessantotto non può non nutrire un rapporto di amore e di “odio” verso chi ha spalancato anni prima al cinema le porte della modernità. Il protagonista del film è a Parigi in viaggio di nozze. In realtà è in missione, sotto copertura della polizia segreta fascista, per uccidere il suo vecchio professore che ha scelto l'esilio in Francia per evitare il conformismo del regime fascista. Ad un certo punto vediamo il dettaglio di un'agenda che riporta il numero telefonico della vittima. Bertolucci qui vi inserì proprio il numero telefonico dell'appartamento parigino di Godard dell'epoca…
Ma lo stesso Bertolucci all'inizio degli anni ottanta, una dozzina di anni dopo, presidente della giuria alla mostra di Venezia si adoperò per dare al maestro Godard il leone d'oro per il suo Prenom Carmen. Amore e Odio quindi, in nome di Moravia e del Metacinema. È corretto parlare di disprezzo? O di conformismo?



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