Il più famoso “vent'anni dopo” della storia della cultura è senz'altro quello di Alexandre Dumas padre, uscito nel 1845, che racconta il sequel della vicenda dei tre moschettieri, vent'anni dopo appunto, anche se poi fra il primo romanzo e il secondo di anni ne era passato uno soltanto, risalendo I tre moschettieri al 1844. Magia della differenza fra il tempo della storia e il tempo del racconto, magia della letteratura, che può fare invecchiare i personaggi di vent'anni, senza problemi, nell'arco di un solo anno. Il cinema, si sa, ha qualche problema in più, gli attori notoriamente invecchiano, si può ovviamente lavorare di make up o di postproduzione, ma più di tanto il passaggio del tempo non lo si può occultare, tant'è che nella gran parte dei casi non trascorre molto tempo fra il primo e il secondo e il terzo film di una serie, soprattutto laddove i personaggi e gli attori siano gli stessi. Ragion per cui, quando ben 13 anni dopo l'uscita di Trainspotting nel 2009 è cominciata a circolare la notizia che la compagnia – regista, sceneggiatore, produttore, attori - si sarebbe rimessa insieme per dar vita a un sequel - anche in grazia del fatto che Irvine Welsh, l'autore del romanzo dal quale era stato tratto il film del 1996, aveva a sua volta scritto un sequel, intitolato Porno, uscito già nel 2002 - in molti si sono esaltati all'idea di tornare ad assistere alla riedizione di quello che fu un miracolo produttivo ed estetico (che rivisto oggi, per l'occasione, a 21 anni appunto di distanza non ha perso, va detto, neanche un po' di quella freschezza), pur temendo che, anche per le ragioni suddette, quel miracolo potesse non ripetersi. E il fatto che da quando Danny Boyle per la prima volta ha parlato del progetto a quando materialmente lo ha realizzato siano trascorsi sette anni – d'accordo, non sette anni con le mani in mano: oscar a The Milionaire, nomination per 127 Hours con vittoria di James Franco e di recente il biopic su Steve Jobs – qualcosa vorrà pur dire in termini di oggettive complicanze del progetto, poi divenuto di tutt'altro spessore, visto che alle compagnie di produzione londinesi si è venuto ad aggiungere un colosso come la Sony, ad occuparsi della distribuzione del film in tutto il mondo.
Il passaggio del tempo T2: Trainspotting non solo lo tematizza, ma lo problematizza vistosamente lungo tutto l'arco del film: i personaggi (gli attori) sono chi più chi meno appesantiti, logorati da una vita di stra(vi)zi. Le citazioni dal film del 1996 sono numerose: nelle location, nelle costellazioni sistemiche, nelle abitudini dei personaggi. È vero che ad esempio Simon “Sick Boy” è passato dall'eroina alla cocaina (Jonny Lee Miller), è vero che Francis ‘Franco” Begbie (Robert Carlyle) ha avuto poche occasioni di dar sfogo alla sua delinquenziale irruenza per il semplice motivo che gli ultimi vent'anni li ha passati in galera, ma Spud (Ewen Bremner) è proprio rimasto identico, tossico come vent'anni fa e il protagonista Mark Renton (interpretato da Ewan Mc Gregor) era ed è rimasto, nella sua diversità, il più alieno dalla compagnia, prova ne sia che era stato l'unico ad andarsene con il malloppo da Edimburgo, piantando in asso i tre compari, solo desiderosi di vendicarsi. E in vent'anni la rabbia non è sbollita per nulla, perché, quando Mark se ne torna ad Edimburgo per la morte della madre, la prima cosa che rimedia è un bel fracco di botte, malgrado non arrivi a mani vuote e si porti dietro, seppur in largo ritardo, i soldi che aveva dovuto lasciare ai compari vent'anni prima.
Il film è pateticamente manierista, deludente perché si trascina stancamente fra numerosi omaggi estetici al film di 20 anni fa, sia in forma di riprese (memoria del regista, memoria dei personaggi), sia in forma di citazioni a mo' di re-enactement, sia in forma di colonna sonora e di effetti linguistici, dall'altro provando a portare avanti la trama che, dopo la riuscita fuga di Franco, il più incazzato di tutti, consiste, soprattutto per Mark nel NON pervenire proprio alla reunion. In mezzo a tutto questo, ben poco convincenti: l'impotenza dello stesso Franco, il tentativo di metter su, in linea col sequel di Welsh, una sauna-pornovideoteca con l'ausilio dell'unico personaggio nuovo di questo film, Veronika, l'amante bulgara di Sick Boy, la maturazione “letteraria” di Spud, la malinconia di Mark, che solo una volta, giusto per non dimenticare il ragazzino di vent'anni prima, si lascia andare a una invettiva non dissimile da quella famosissima di Trainspotting, aggiornata a Facebook e Twitter e a tutte le nuove forme di socialità disturbata. Il titolo? T2:Trainspotting è il frutto di una mediazione fra uno working title (T2, che però rischia di essere confuso con Terminator 2, da molti così chiamato e, come dice Boyle, con un terminal della British Airways) e il titolo di un classico sequel, Trainspotting 2, appunto.
(T2: Trainspotting). Regia: Danny Boylesceneggiatura:John Hodge; fotografia: Anthony Dod Mantle; montaggio: Jon Harris; interpreti:Ewan Mc Gregor (Renton), Ewen Bremner (Spud), Jonny Lee Miller (Sick Boy), Robert Carlyle (Franco), Kelly McDonald (Diane), Anjela Nedyalkova (Nikki); produzione: DNA, Londra, TS2, Londra, Decibel Films, Londra, Cloud Eight Films, Londra origine: Gran Bretagna 2016; durata: 118'.
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