venerdì 2 settembre 2016

Venezia 73 - L'estate addosso

Per un film così “qualsiasi” come L'estate addosso non si dovrebbero spendere che poche righe, e liquidarlo con parole severe, secche, sbrigative. Tanto più se dietro la macchina da presa c'è un “autore” (il virgolettato non è casuale) non propriamente simpatico, anzi decisamente arrogante e presuntuoso come Gabriele Muccino, che nel suo andirivieni tra Italia e Stati Uniti pare non abbia ancora deciso che cinema fare da grande. Ma al netto del consueto trionfo italiano di luoghi comuni e di banalità stavolta messo in bocca a un giovanissimo rappresentante della più inutile ed esangue gioventù capitolina, tutto istinti e reazioni basiche da ineducato cavernicolo abbandonato a se stesso dai soliti genitori separati (sua è l'ennesima voce fuori campo dell'attuale cinema nostrano, che inizia a raccontarsi con l'ormai stantìo “Mi chiamo XYZ, ho 18 anni, eccetera”), e di un racconto cinematografico di qualità scolastica in linea con la banalità dell'assunto, tocca registrare un dato piuttosto inquietante: Muccino, da “giovane vecchio”, illustra, nel ventunesimo secolo che ha già doppiato la metà del secondo decennio, un mondo giovanile che pare riesumato dagli ultimi anni 90, gli anni cioè dei suoi primi clamorosi, e forse meritati, successi, come L'ultimo bacio, preceduto dallo spontaneo e contagioso risultato di Come te nessuno mai. Argomento centrale del film è l'iniziazione sessuale del protagonista e di una sua compagna di scuola per la quale non ha mai nutrito altro che irritata indifferenza per i suoi modi da suorina bigotta (“Il padre colleziona in vinile la raccolta completa dei discorsi di Mussolini”…) durante il loro primo viaggio all'estero dopo l'esame di maturità. A ospitarli nella loro linda casetta di San Francisco sono due ragazzi, maschi e un po' più grandicelli, che stanno insieme da qualche anno: due perfetti esempi di young gay men americani, con stampato in faccia quel sorriso da diritto inalienabile alla felicità che in quel paese è citato perfino nella prima pagina della Costituzione. Evitando – e di questo va dato atto a Muccino – l'ovvietà di far scoprire al troglodita romano una propria improbabile omosessualità e di tornare a casa trasformato in un ometto più maturo e consapevole, il film cade comunque nell'errore di non descrivercene la minima evoluzione, nonostante l'apprendistato di una vacanza lunga, variata e divertente, arricchita da un inatteso viaggio a Cuba: esperienze che, insieme al nulla di fatto con cui si conclude la sua prevedibile crescente attrazione fisica per la ragazzina bacchettona (lei sì, invece, si trasforma in una “fregna”, come senza mezzi termini la definisce l'amico newyorchese che li ospita nella sua fin troppo lussuosa casa a Manhattan) gli scivolano addosso senza lasciare traccia alcuna. E all'enfasi dei fastidiosi, prosaici interventi della voce narrante del protagonista, va aggiunta una fotografia un po' vecchiotta della situazione gay negli USA, che il cinema d'oltre oceano ha già a suo tempo raccontato e archiviato, e sulla quale può suonare ambiguo tornare nei termini con cui ha scelto di mostracela un regista che non sembra abbia più molto da dire.

(L'estate addosso); Regia: Gabriele Muccino; sceneggiatura: Gabriele Muccino, Dale Nall; fotografia: Paolo Caimi; montaggio: Alexandro Rodriguez, Valentina Brunetti; musica: Lorenzo Jovanotti Cherubini; interpreti: Brando Oacitto, Matilda Lutz, Taylor Frey, Joseph Haro; produzione: Indiana Production Company, Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2016; durata: 103'



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