Richard Wagner fu un pessimo esempio di essere umano: politicamente ambiguo, antisemita, ladro di mogli sposate, opportunista nella vita sia privata che artistica, forse perché consapevole dell'enorme valore della propria arte, che gli sarebbe sopravvissuta per l'eternità. Mel Gibson non gode, come uomo, di una gran bella reputazione presso tanto pubblico e tanta critica, pronti entrambi a criticare aspramente i suoi film pur di non avallare il suo oltranzismo cattolico e quel suo certo modo di far cinema che affonda le radici in un immaginario ancorato forse agli anni '90, ma certamente ispirato al respiro dei grandi classici del cinema epico americano del secondo dopoguerra. L'Arte, checché se ne dica, e comunque senza l'intenzione di aprire in questa sede inadeguata un dibattito su etica ed estetica, è la cosa più distante dalla vita reale che si possa immaginare, e applicare l'ideologia, una qualsiasi, all'approccio critico verso una qualunque opera dell'ingegno può dare origine a una cascata di equivoci pericolosi. È quindi con la mente sgombra da ogni pregiudizio, nel ricordo delle forti emozioni riscontrate nel corso della visione di titoli come Braveheart, La Passione di Cristo o Apocalypto, che va guardata la sua ultima opera, Hacksaw Ridge, ispirato alla vera storia del primo obiettore di coscienza della storia dell'esercito degli Stati Uniti, Desmond Doss. Arruolatosi per servire il proprio paese trascinato nel conflitto dopo l'attacco giapponese di Pearl Harbor, per motivi religiosi (era un avventista del Settimo Giorno) ottenne la concessione di non toccare nemmeno di striscio un'arma da fuoco e servire la patria esclusivamente come medico da campo. Opporre qualunque resistenza al ritratto che Gibson, insieme al suo protagonista Andrew Garfield, dal quale ha saputo ottenere la sua espressione più convintamente serafica e fanciullescamente testarda, dipinge del Soldato Doss vuol dire anteporre al cinema qualcosa che non ha niente a che vedere con l'emozione e il piacere di abbandonarsi al racconto fin dall'inizio onesto e trasparente di una fede sincera, profonda, motivata, e raccontata senza la pretesa di convertire nessuno. Doss che nelle mani stringe non il fucile, come i suoi commilitoni, ma una Bibbia regalatagli dalla giovanissima moglie sposata in extremis prima di partire per il fronte nipponico, ha sullo schermo la stessa solida, carnosa, luminosa presenza di un Gary Cooper, un Gregory Peck o un Henry Fonda in quei film sublimi che negli anni '50 diffondevano nel mondo l'immagine di un'America buona, autenticamente libera e democratica. Fingere di non lasciarsi coinvolgere e sconvolgere dalle sequenze di battaglia di terra tra le più vivide, impressionanti e apocalittiche delle ultime annate di un cinema sempre più truccato dalla computer grafica e travestito da supereroe, è antipatico indizio di una malasanità di sguardo fintamente cinefilo, in realtà corrotto e compromesso dall'incapacità di riconoscere il passo, l'afflato, il volo del grande cinema. E scambiare per retorica (che scorre, come ha scritto qualcuno, naturalmente “a fiumi”…) il vigoroso inno pacifista di chi sa benissimo quanto siano state purtroppo “necessarie” certe guerre, significa chiudere gli occhi davanti alla realtà della Storia. Ma se è possibile, per quanto insano, chiudere gli occhi davanti alla realtà, chiuderli al cinema è peccato mortale.
(Hacksaw Ridge); Regia: nome del o dei registi (separati da virgola); sceneggiatura: Andrew Knight, Randall Wallace, Robert Schenkkan; fotografia: Simon Duggan; montaggio: John Gilbert; musica: John Debny, Rupert Gregson-Williams; interpreti: Andrew Garfield, Sam Worthington, Teresa Palmer, Vince Vaughn; produzione: Pandemonium, Permut Presentations, Demarest, Cross Creek Pictures; origine: USA/Australia, 2016; durata: 133'
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