giovedì 22 settembre 2016

L'esecuzione

Le labbra di Giovanni fumano nervosamente, una caramella gommosa masticata con gusto addolcisce il sapore del tabacco. Un primissimo piano nasconde la periferia di Napoli, per poi introdurla lontana, sullo sfondo, tra l'erba secca e la terra brulla. Comignoli industriali e palazzine del dopoguerra incorniciano il paesaggio, la luce del tramonto scalda l'esistenza e le conferisce un aspetto tollerabile. Giovanni è appoggiato alla sua moto nera, avvolto in un giacchetto di pelle, un trans si riveste, gli passa a fianco e lo saluta. Rientra a casa, l'appartamento in cui abita con la madre malata, l'intonaco ai muri è bianco ma vecchio, i mobili mai rinnovati sono addobbati con oggetti assemblati a caso. Giovanni apre una cassettiera e ci infila dentro la pistola che ha tolto dal giubbotto. Si affaccia alla stanza dove la madre riposa, una vicina di casa è andata a tenerle compagnia, ma lui la caccia via urlando. Giovanni è un killer su commissione. Il suo capo, il proprietario di un bar, gli dà un nuovo incarico, mentre ride divertito per un programma alla televisione su rete 4. In uno spazio stretto che non lascia vie di fuga, un bagno pubblico con maioliche bianche ai muri, Giovanni compie con freddezza la sua missione e uccide un uomo finendolo a calci con inaudita violenza e soddisfazione, sfogando la rabbia che gli appartiene. Quello che i conoscenti e il capo non gli perdonano, però, è il fatto di trascurare la madre: “un uomo del sistema pensa alla mamma anche mentre spara in faccia a qualcuno, perché la mamma è quella che ti ha dato la vita, quella che ti ha dato la carne. E tu la devi rispettare come fosse la Madonna”. La mamma di Giovanni riposa nel letto matrimoniale, immagini sacre la circondano, Papa Wojtyla, la Madonna, Gesù. Alla radio trasmettono la sacra messa, i suoi occhi esprimono totale devozione. Giovanni è nervoso, carico di rabbia, rientra a casa e va nella stanza della madre. Lei gli chiede di portarle un bicchiere d'acqua, Giovanni torna dopo pochi istanti, in mano tiene la pistola, la porta alla bocca e si spara un colpo davanti alla madre, il sangue si sparge ovunque. Partono i titoli di coda, il ticchettio della sveglia resta a scandire il tempo che passa.

Premiato nel 2013 al David di Donatello come “Miglior Cortometraggio”, Enrico Iannaccone ha scritto il soggetto del cortometraggio di getto, in venti minuti, a testimonianza di un'urgenza che pervade questo suo lavoro. Nonostante l'ambientazione e la tematica rimandino direttamente alla Napoli di Gomorra, il regista sembra interessato soprattutto ad affrontare l'amoralità e il deserto affettivo del piccolo mondo che descrive. Circondato dai simboli di una religiosità vuota, Giovanni sembra non provare sentimenti o sensi di colpa: condannato nella sua condizione sociale a comportarsi come una macchina criminale, non conosce alternative o vie di fuga. Giovanni si sente prigioniero delle imposizioni e non sa come gestire quel grumo di affetto e di dolore che dovrebbe provare, e che non prova, per la madre malata. Reagisce nell'unico modo che conosce: l'eliminazione fisica del problema, questa volta di se stesso.

Si uccide per una libertà impossibile, spinto da una carica di egoismo e insensibilità verso il prossimo.

(L'esecuzione); Regia e sceneggiatura: Enrico Iannaccone; fotografia: Umberto Manente; montaggio: Enrico Iannaccone; musica: Emanuele Cecere; interpreti: Pasquale Fernandez, Giorgia Palombi, Umberto Longobardi; produzione: Zazen Film; origine: Italia, 2012; durata: 15' 07”



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