Ancora una volta il Tribeca Festival 2025 ha confermato la crescita degli ultimissimi anni per quanto riguarda la qualità media dei lungometraggi selezionati nelle varie sezioni. Adesso resta da vedere quanti dei lavori presentati al festival di cinema “indipendente” newyorkese riusciranno a trovare posizionamento nelle sale e riconoscimento da parte di critica e pubblico.
I migliori film visti al Tribeca Festival 2025 (ordine alfabetico)
- Dog of God
- Everything’s Going to Be Great
- In Cold Light
- Inside
- Pinch
- Re-Creation
- Rosemead
- Tow
Dog of God
Il cinema d’animazione lettone sembra vivere un momento artistico a dir poco di grazia. Dopo il successo di Flow di Gints Zilbalodis, con tanto di Oscar per il miglior film d’animazione, adesso nella sezione Escape from Tribeca è stato presentato il potente Dog of God, diretto da Lauris e Raitis Abele. Ambientato nel XVII Secolo in un piccolo villaggio di confine, il film è un arthouse horror che si poggia su uno stile di animazione tanto classico quanto sperimentale nelle soluzioni visive, arrivando a colpire lo spettatore con un turbine di immagini vibranti, talvolta violentissime, montate per suscitare un senso di spaesamento e oppressione senza dubbio efficaci. Dog of God gioca con gli archetipi del genere, mescolando Lovecraft e Poe, la caccia alle streghe e il bigottismo religioso, il peccato e la redenzione attraverso il libertinismo. Insomma c’è davvero di tutto nel film degli Abele, mescolato con un’audacia e una libertà ammirevoli, che arrivano a creare un labirinto narrativo non sempre comprensibile ma totalmente affascinante, anche nelle scene in cui si fa più estremo. Dog of God quasi sicuramente non raggiungerà i circuiti mainstream che invece Flow ha saputo conquistare, ma rimane un altro esempio fulgido e ammirevole di una cinematografia che sta evidenziando una notevole rivoluzione artistica.
Everything’s Going To Be Great
In Everything’s Going To Be Great lo sceneggiatore Steven Rogers dopo Tonya ha messo nuovamente a disposizione di Allison Janney una sceneggiatura che ne sapesse esaltare le doti di attrice già elevatissime. E lei lo ha ripagato con una prova dolceamara di qualità e solidità come sempre ammirevoli. Se poi al cast aggiungiamo un altro dei migliori caratteristi contemporanei, ovvero Bryan Cranton, e a supporto il sempre efficace Chris Cooper, ecco che il gioco è praticamente fatto. Al regista Jon S. Baird non restava che mettere in scena la storia e personaggi lavorando su quel ritmo particolare che permette di mixare commedia e dramma con coerenza. Grazie a tutti questi elementi Everything’s Going To Be Great, storia di una famiglia a dir poco anticonvenzionale che alla fine degli anni ‘80 si gioca tutto per poter vivere il sogno di produrre teatro, si rivela un lungometraggio delizioso, a tratti commovente, forse non originalissimo ma senza dubbio ottimamente orchestrato. Presentato nella sezione Spotlight Narrative, il film di Baird di ha finalmente regalato la possibilità di vedere recitare insieme per la prima volta due dei nostri interpreti preferiti in assoluto, quando parliamo di cinema (e soprattutto televisione) degli ultimi trent’anni. La Janney e Cranston ci regalano duetti che testimoniano in pieno la loro abilità di dare profondità e credibilità a esseri umani comunissimi, qualità che soltanto gli attori più raffinati hanno posseduto in passato, e sempre più raramente posseggono.
In Cold Light
A partire dal cult-movie It Follows (di cui aspettiamo con trepidazione l’imminente sequel) Maika Monroe è diventata una delle “Scream Queens” dei nostri tempi. In attesa di vederla ampliare il proprio repertorio verso altri generi, l’attrice californiana ha saputo sfruttare al meglio il suo stile di recitazione e la sua presenza scenica quasi arcigna scegliendo in questi anni ruoli a lei calzanti. E questo vale anche per il durissimo In Cold Light, crime-thriller di Maxime Giroux. Nel film la Monroe interpreta Ava, una spacciatrice e tossicodipendnete appena uscita di prigione che si ritrova immediatamente nei guai quando il fratello gemello viene assassinato davanti ai suoi occhi e lei diventa l’indiziata principale dell’omicidio. Ambientato in un'America di confine spaventosa e sempre pronta a sprigionare violenza, In Cold Light è un film di genere perfettamente calibrato, ricco di tensione a realizzato sfruttando al meglio il minimalismo disperato dell’ambientazione. Nel cast anche due premi Oscar, ovvero un poderoso Troy Kotsur ed Helen Hunt in un cameo di valore. In Cold Light è senza dubbio uno dei migliori film visti a questa edizione del Tribeca Festival.
Inside
Anche se non originalissimo, il film carcerario Inside diretto da Charles Williams e inserito nella sezione Spotlight Narrative possiede il dono della solidità e della precisione nella definizione delle psicologie dei protagonisti. La parte del leone nel film non poteva che farla un enorme Guy Pearce, che lavora sui sottotoni per dipingere una figura in chiaroscuro davvero preziosa. Il suo Warren Murfett, carcerato da decenni e ormai abituato a districarsi al meglio dentro i labirinti pericolosi della prigione, è una figura dalle mille sfumature, che l’attore esplora con una prova talmente realistica di risultare a tratti respingente. Ma Inside ci regala anche un potente Cosmo Jarvis (Shogun) in un ruolo davvero complesso e ambiguo, recitato con trasporto e discreta precisione. Il resto è cinema carcerario classico, sia nella trama che nelle atmosfere. Il che non significa necessariamente risaputo o peggio ancora noioso. Tutt’altro: Inside mantiene una tensione sommessa ma in crescendo, che culmina in maniera forse troppo scontata ma rimane tutto sommato efficace per la progressione narrativa che era stata precedentemente costruita. Rimangono comunque impresse nella memoria le prove di Pearce e Jarvis, a cui si accompagna il giovane protagonista Vincent Miller.
Pinch
La sezione International Narrative Competition del Tribeca Festival ha presentato il convincente Pinch, di nazionalità indiana. Al centro della vicenda si trova una giovane donna che vuole diventare una blogger e viaggiare il mondo nonostante la disapprovazione della madre. Quando però rimane vittima di un episodio di abuso da parte dello “zio” Rajesh, Maitri decide di non rimanere in silenzio pur rischiando di gettare nel disonore la sua intera famiglia. La ribellione all’omertà e alle leggi sociale scioviniste avverrà a modo suo, tra insicurezze e qualche errore di giudizio…Diretto, scritto (con Adam Linzey) e interpretato nel ruolo della protagonista, il film di Uttera Singh è alla base un melodramma di denuncia sociale che però in maniera sorprendente e fresca possiede in più di un momento i toni e il ritmo della commedia. L’inizio è lieve e spiritoso, e anche quando la vicenda si fa maggiormente complessa qua e là soltanto momenti di leggerezza che rendono Pinch un film interessante, se non addirittura gradevole. La Singh ha il coraggio di parlare di temi seri con disinvoltura, allontanandosi volutamente dal melodramma, al contrario cercando proprio l’effetto opposto per non vittimizzare eccessivamente il personaggio principale. Il risultato è senza dubbio riuscito, e il lungometraggio si fa seguire con attenzione regalando più di uno spunto degno di analisi.
Re-Creation
Jim Sheridan ha scritto pagine importanti, se non fondamentali, di cinema britannico a partire dalla fine degli anni ‘80, con film pluripremiati quali Il mio piede sinistro, In the Name of the Father - Nel nome del padre e The Boxer. Poi si è perso nel dimenticatoio di quella schiera di registi che non sono probabilmente riusciti a rimanere al passo coi tempi di un cinema in continua trasformazione. Ma è davvero un piacere vederlo ritornare grintoso e schierato grazie a Re-Creation, nella sezione Spotlight Narrative. Il regista riprende lo schema classico creato da Sidney Lumet ne La parola ai giurati e lo adopera per un film che mette in scena un processo mai esistito, quello al giornalista Ian Bailey, accusato di aver brutalmente assassinato al filmmaker francese Sophie Toscan du Plantier. Re-Creation è senza alcun dubbio un film a tema, schierato e realizzato con un’idea di cinema magari anche leggermente polverosa, ma senza dubbio ancora efficace. Anche perché Sheridan toglie la retorica di fondo e fa del confronto/scontro tra i giurati un momento di cinema acido, quasi spietato, in cui Vicky Krieps interpreta un ruolo tutt’altro che empatico pur essendo il centro catalizzatore della storia. Insomma, Re-Creation conferma la voglia di Sheridan di continuare imperterrito il suo discorso impegnato con un film che desta interesse. Nel cast anche un silenzioso ma sempre carismatico Colm Meaney.
Rosemead
Bel dramma familiare si è rivelato Rosemead, presentato nella sezione US Narrative Competition. Al centro della vicenda ambientata nella comunità cinese della San Gabriel Valley - a Nord-Est di Los Angeles, tanto per intenderci - si trova Irene (Lucy Liu), donna malata in maniera molto seria che dopo la morte improvvisa del marito deve gestire l’attività familiare ma soprattutto i problemi relativi al figlio adolescente Joe (Lawrence Shou), il quale soffre di schizofrenia. L’aggravarsi della situazione, sia legata alla propria salute che alle condizioni del figlio, getta Irene in un vortice di disperazione da cui appare quasi impossibile uscire. Ispirato da una vicenda realmente accaduta, il film diretto dall’esordiente Eric Lin possiede una progressione narrativa ben cadenzata, che evita sapientemente di scivolare nel melodramma accentuato. La sceneggiatura scritta dal regista insieme a Marilyn Fu propone la giusta tensione drammatica, e soprattutto personaggi di spessore, in particolar modo quello interpretato da una sorprendente Lucy Liu. In questo modo si partecipa alla condizione di dolore di Irene senza che si arrivi mai al pietismo gratuito, una qualità difficile da sviluppare in questo tipo di cinema volutamente minimalista. Se il buongiorno si vede dal mattino, Di Eric Lin e Marilyn Fu potremmo sentir parlare nuovamente nel prossimo futuro, la loro collaborazione in Rosemead ha funzionato senza riserve.
Tow
Poteva essere un dramma Tow (Spotlight Narrative) vista la vicenda realmente accaduta, ma la protagonista e co-produttrice Rose Byrne riesce a regalargli il dono piuttosto azzeccato della leggerezza, soprattutto perché parla di persone e fatti realmente seri. La storia è infatti quella di Amanda Ogle, che da qualche mese dorme nella sua automobile vecchia di oltre vent’anni. Quando la macchina le viene rubata e ritrovata, la donna inizia un calvario giudiziario per riaverla indietro senza dover pagare multe e tasse assurde. Nel frattempo inizia a vivere in un rifugio per senzatetto, circondata da altre donne che condividono con lei un’esistenza non certo agevole. Ma la forza di lottare per quello che ritiene giusto costituirà per Amanda la spina dorsale della sua affermazione come essere umano. Stephanie Laing dirige Tow con mano sicura, alternando con la dovuta grazia dramma umano e momenti di comicità principalmente di situazione. Il risultato finale è gradevole senza essere melenso, robusto nel messaggio senza diventare retorico. Accanto a una Byrne come sempre efficace troviamo anche uno spigliato Dominic Sessa, Octavia Spencer, Demi Lovato e Ariana DeBose, a completare un cast di spessore che impreziosisce senza alcun dubbio il risultato finale. Film realizzato con intelligenza e cuore, che merita di essere visto e apprezzato.
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