sabato 1 giugno 2019

Rocketman

Tanto vale dirlo subito: chi scrive non ama né ha mai amato Elton John, pur essendo cresciuto negli anni in cui il musicista britannico (nato nel 1947) è salito vertiginosamente agli onori del successo planetario. Ricordiamo l'uscita di Crocodile Rock nel 1972, ma erano gli anni in cui ci stavamo avvicinando alla musica rock, glam-rock, progressive-rock, blues, ed Elton John ci pareva e tutt'ora ci sembra troppo pop, troppo eclettico, in qualche misura, troppo corrivo. D'altra parte il 1972 è l'anno di Ziggy Stardust, di Made in Japan, di Harvest, di Close to the Edge, di Transformer, di Foxtrot, di Exile on Main Street, solo per dirne alcuni. Uno dei meriti del buon film di Dexter Fletcher è che, almeno in parte, fa venire la voglia di dare una (ultima) chance a Elton John a chi non lo ha mai particolarmente amato. Assai più del – per molti versi ad esso apparentato – film sui Queen, Rocketman, presentato a Cannes fuori concorso e subito dopo uscito nelle sale di tutto il mondo, è un musical, nel senso classico del termine. Basti dire che la colonna sonora del film consta di ben 22 canzoni, una delle quali scritta appositamente per questo film, mentre le altre sono celebri o celeberrime canzoni tratte dalla fase giovanile e mediana dell'opera di John, frutto della coproduzione con il suo storico paroliere Bennie Taupin. Nella grandissima parte dei casi le canzoni vengono cantate nel bel mezzo di una scena recitata dall'attore Taron Egerton e dagli altri attori/cantanti nel film, con la scelta non infrequente di privilegiare la coralità che significa sottolineare una lettura sistemica dell'opera e della vita di Elton John. Perché proprio di questo si tratta: l'opera musicale del compositore britannico viene vista come una lunghissima, incessante autobiografia e l'elaborazione per lo più riuscita dei non pochi traumi, familiari, sociali e relazionali di Reginald Kenneth Dwight alias, appunto, Elton John. Siccome i traumi sono in larga parte provocati dai familiari (il padre, tremendo a quanto pare, anaffettivo se mai ve ne furono, ma anche la madre), dal produttore/amante John Reid, ecco che spesso le canzoni, corredate soprattutto nella prima parte di un'accurata coreografia, sono cantate dai vari personaggi, con il giovane Reginald (ovvero Elton) che attacca la prima strofa e gli altri che magari si uniscono alla seconda o alla terza. È proprio questo carattere sistemico (Elton e gli altri, ma anche Elton e il sé stesso bambino) che riesce a rendere abbastanza originale il film che presenta una struttura a cornice, a partire dal momento in cui il protagonista decide di mettersi in terapia per provare a guarire dalle sue molteplici dipendenze e iniziando un doloroso percorso anamnestico che scardina alle radici l'intera sua persona provando a rimontarla. La drammaturgia di quest'anamnesi è se vogliamo piuttosto tradizionale: il ragazzino talentuosissimo, frustrato dalla famiglia, dall'ambiente e dalle convenzioni, ascende non senza ostacoli a una carriera pazzesca (il culmine è l'esibizione al locale culto Troubadour nell'agosto del 1970 a Los Angeles, dove però, contrariamente a quel accade nel film Elton John non suonò Crocodile Rock che sarebbe nata due anni dopo, ma chissenefrega). Il culmine, come si conviene, segna al contempo l'inizio della fase discendente, fatta di iper-produttività, di rapporti affettivi falsati dal successo (il solo Bennie sembra restargli fedele) e poi il classico tunnel di farmaci, alcol, cocaina, tentativi di suicidio, fino appunto a ricongiungersi con l'inizio, con la cornice. Insomma l'arco narrativo tragico lo conosciamo a menadito ed è comune a tantissime star del rock. Quel che differenzia Elton John dagli altri è che questa parabola si conclude positivamente, appunto anche attraverso la terapia, anche se, giustamente, è stato deciso di concentrare il poi in una serie di informazioni fornite nei titoli di coda, dove il film compie anche un'operazione di autentificazione con lo splitscreeen che riporta stills del film che abbiamo appena finito di vedere nella parte sinistra e fotografia in bianco e nero e a colori di highlights della carriera di Elton John. Quel che colpisce positivamente è il fatto che, a differenza di quanto era stato fatto con Freddie Mercury il regista e il produttore hanno evitato il feticismo del re-enactement, soprattutto per quel riguarda le movenze: mentre Rami Malek imita alla perfezione Freddie Mercury, Taron Egerton lo reinterpreta. Il regista è Dexter Fletcher che aveva collaborato a – e a quanto pare aveva finito -Bohemian Rhapsody, soprattutto dopo che Bryan Singer se n'era andato, non risultando tuttavia accreditato. Il produttore, beh, il produttore è Elton John, talché questo film assomiglia molto a quelle che in tutti i campi (politica, musica, scienza, letteratura) si è soliti definire una biografia autorizzata, Elton John ha peraltro anche funto da coach per Egerton. Una biografia autorizzata che per così dire suggella la scelta di fare un lunghissimo tour di commiato che si concluderà nel 2021 e che ha visto solo pochi giorni fa Elton John fare tappa all'Arena di Verona. Fatto salvo, forse un eccesso di buonismo finale, il racconto appare sufficientemente onesto, francamente molto più onesto di quanto accadeva in Bohemian Rhapsody dove ad esempio l'esigenza di farne un film per famiglie in odore di Oscar aveva stancamente annacquato tutto il côté gay di Freddie Mercury. Un po' noiosa, forse, la seconda parte, quella del descensus ad inferos (con l'eccezione della bella scena, girata in fondo alla piscina in cui ha tentato di ammazzarsi, quando Elton canta Rocketman accompagnato al piano dal piccolo Reginald) con scene ripetitive e la sensazione che non ci fosse molto da raccontare, anche perché – paradossalmente – il destino di Elton John non è stato sufficientemente tragico. Nell'insieme tuttavia ci pare davvero un buon musical.

(Rocketman); Regia: Dexter Fletcher sceneggiatura: Lee Hall; fotografia: George Rochmond; montaggio: Chris Dickens; interpreti: Taron Egerton (Elton John), Jamie Bell (Bernie Taupin), Richard Madden (John Reid), Bryce Dallas Howard (Sheila), Stephen Graham (Dick); produzione: Marv Films, Marv Studios, New Republic Pitures, Paramount Pictures origine: Gran Bretagna- Usa; durata: 121'.



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