lunedì 27 maggio 2019

Cannes 2019 - Parasite

Sin dal suo interessante film di debutto, realizzato nel 2000, Barking Dogs Never Bite, Bong Joon-ho si è imposto come uno dei registi di punta della New Wave coreana iniziata nella seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso e ormai morta e seppellita. E già da una dichiarazione programmatica di allora, dimostrava di avere le idee piuttosto chiare su quelli che erano in suoi obbiettivi di fondo: «uno scontro fra il quotidiano e la fantasia, elementi di genere e cose tipicamente coreane – questa è la caratteristica del cinema che vado cercando».
Molta acqua è passata sotto i ponti da quella lontana affermazione di poetica ma Bong, in fondo, non ha cambiato l'idea di partenza e il nucleo vitale di un cinema che vuole coniugare la qualità ad un appeal popolare. Certamente nella sua non fittissima filmografia – sette lungometraggi + alcuni short e episodi in vent'anni di carriera - ha alternato lavori all'apparenza piuttosto diversi: da polizieschi come Memories of Murder (2003, bellissimo) a horror di fantasy come The Host (2006); da film drammatici come Mother (2009) a opere di grande impegno produttivo internazionale tipo il fantasy Snowpiercer (2013) o alla meno interessante favoletta Netflix di Okja, anch'esso presentata sulla Croisette due anni fa. Tutti film, però, che a parte l'ultimo, forse il suo film più stereotipato e meno personale, contengono sempre in filigrana elementi sovversivi applicati ad un profondo sguardo satirico sulla società contemporanea.
In specifico, con questo Gisaengchung (Parasite) il nostro regista è tornato nella sua forma migliore per poter scandagliare beffardamente il proprio paese e i propri compatrioti. La formula adottata, quella della commedia familiare dai sottotoni politici, ci è sembrata, con tutte le differenze possibili e immaginabili, la stessa che aveva permesso anche al collega giapponese Kore'eda Hirokazu in Manbiki kazoku (Un affare di famiglia) di vincere la Palma d'oro nel 2018. Bong ha fatto il bis.
Qui però siamo a Seul e i nuclei familiari sono moltiplicati, sono due (anzi tre, e ci taciamo come mai) in rapporto simbiotico ma anche di lotta per la sopravvivenza tra di loro: mentre la prima famiglia dei Ki-taek è molto affiatata ma disoccupata, campa (se campa) malamente e alla giornata, l'altra, invece, quella dei Park è milionaria e si confronta con i futili problemi dell'alta società e del denaro. La svolta avviene quasi subito nel momento in cui il primogenito Ki-woo riesce, tramite un amico universitario e una certa astuzia truffaldina, a diventare il tutore della giovanissima, viziatina figlia dei ricconi. Il ragazzo riuscirà poi a far assumere in vari ruoli e con una serie di colpi d'ingegno tutto il resto della famiglia, permettendo così che si infilino da semi padroni in una reggia dorata e agognata, quella della affluente società dei consumi. Tuttavia dopo che l'obbiettivo dei “Parassiti” sembra riuscito, inizia una serie esilarante e inarrestabile di imprevisti e colpi di scena che non è giusto rivelare per non guastare allo spettatore il divertimento nato da questa paradossale e inconsueta lotta di classe dove i poveri si sbranano per poter conquistare il privilegio di poter restare all'ombra dei ricchi. Sino ad un finale ispirato alla surrealtà ma anche ad una nota di tragedia.
Facendo a meno di moralismi o di superflui incunaboli didattici, Bong, allora, tramite una sceneggiatura ottimamente oliata e calibrata in modo esemplare (se non in qualche piccolissimo momento di stasi), ci consegna una spiazzante, spregiudicata commedia sull'attuale società coreana innervata da momenti di grande ilarità e da colpi di scena piuttosto divertenti. Come seguendo l'insegnamento del grande Billy Wilder, la regia è votata al servizio ancillare dell'efficacia del risultato finale, al pari della fotografia e dell'eccellente cast degli interpreti. In attesa che si veda anche in Italia grazie a “Academy Two” (mio Dio, attenzione al doppiaggio), a Cannes il film ha ricevuto un accoglienza trionfale dal pubblico del Festival (che forse conta poco), oltre al non indifferente riconoscimento della Giuria che gli ha voluto tributare la Palma d'oro in un Concorso di grande livello, di certo trai migliori del passato recente.

(Gisaengchung); Regia: Bong Joon-ho; sceneggiatura: Bong Joon-h, Han Jin-won; fotografia: Kyung-pyo Hong; montaggio: Jinmo Yang; interpreti: Song Kang-ho, Lee Sun-kyun, Cho Yeo-jeong, Choi Woo-shik, Park So-dam; produzione: Bong Joon-ho, Kwak Sin-ae Jang, Young-hwan per Barunsun E� origine: Corea del Sud 2019; durata:132' .



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