sabato 24 febbraio 2018

Twarz

L'ultima giornata della Berlinale 2018 è stata aperta dal dignitoso film polacco Twarz ossia Faccia della regista polacca Małgorzata Szumowska, habituée di Berlino, due volte nella sezione Panorama e - con questa - tre volte in concorso (l'ultima volta con Body ottenne, seppur ex aequo, l'Orso d'Argento per la sceneggiatura). In linea con molti film di quest'anno anche Twarz si svolge in un posto tristanzuolo, piuttosto periferico e sperduto, ma vicino a una delle maggiori attrazioni della cattolicissima Polonia, la cittadina di Sviebodzin che ospita la statua di Cristo Re più alta del mondo, inaugurata nel 2010 e che ha superato quella di Rio de Janeiro. Nella finzione il protagonista Jacek, un metallaro coi capelli lunghi e la faccia vistosamente cristologica, lavora proprio alla costruzione della statua e lavorando perde l'equilibrio precipitando nel vuoto. Si salverà ma resterà sfigurato in volto, tanto che, nella finzione, verrà sottoposto a un pionieristico trapianto maxillo-facciale che non ha precedenti in Europa – e si vede alla luce dei risultati alquanto rivedibili. Per come si veste, per come si comporta (i ragazzini addirittura lo apostrofano con l'appellativo “Satanista!”) Jacek è fin dall'inizio un diverso in un paese in cui è la chiesa, come spesso in Polonia (o quanto meno nei film polacchi) a costituire l'unico luogo di aggregazione, ma dove tutti o quasi non perdono occasione di sparare a zero contro zingari, neri, omosessuali, musulmani, secondo una logica di esclusione prevalentemente verbale ma all'occorrenza anche fattuale, di cui lo stesso Jacek è fin dall'inizio vittima. A queste dinamiche molto molto primitive, continuamente accompagnate da un pesante consumo alcolico, sono in pochi a sottrarsi, la sorella di Jacek che invita il fratello fin dall'inizio a scappare da quel luogo infame, il padre ormai anziano ed emarginato, rappresentante di una bontà di cuore che non a caso a un certo punto morirà, e, almeno in apparenza, la ragazza con cui Jacek, sul principio, condivide momenti di divertimento e di affetto, a cavallo o a bordo di una Fiat 126 Polska, salvo, dopo l'incidente, voltargli brutalmente le spalle.
Il film è diviso in tre parti: prima dell'incidente, durante l'incidente (la lunga degenza e la faticosa convalescenza) e il dopo, con molti, troppi elementi ricorrenti, come per l'appunto l'oppressiva incidenza della chiesa, in particolare con il ricorso alla confessione: non c'è bisogno di fare confessare ben tre persone per segnalare che l'ipocrisia regna sovrana, non c'è bisogno di sentire il prete predicare la domenica e le feste comandate invitando all'ascolto e alla solidarietà e non ricevendo praticamente nessun ascolto e nessuna solidarietà. Dunque la sceneggiatura non può certo essere definita il punto forte del film che ha invece in inquadrature fortemente straniate sul piano del fuoco la propria maggior originalità; senonché la mancata messa a fuoco non avviene come succede spesso (a Berlino in realtà troppo spesso) fra primo piano e sfondo, fra primo piano e piano medio, bensì all'interno dello stesso piano, tipicamente nel piano medio, dove a fuoco è soltanto la parte centrale e il resto no, a mimare il ridotto campo visivo non tanto del protagonista sfigurato dall'incidente, ma soprattutto degli altri, insomma l'equivalente visivo/filmico di ciò che si è soliti definire: persona di vedute ristrette.

(Twarz). Regia:Małgorzata Szumowska ; sceneggiatura: Małgorzata Szumowska, Michał Englertfotografia:Michał Englert; montaggio: Jacek Drosiointerpreti: Mateusz Kościukiewicz (Jacek), Agnieszka Podsiadlik (la sorella), Małgorzata Gorol (Dagmara) produzione: Nowhere, Varsavia origine: Polonia 2018; durata: 91'.



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