Eddington, New Mexico, 2.345 abitanti. Non esattamente il cuore pulsante dell’America. O forse sì. Perché che si tratti delle grandi aree metropolitane, o della provincia rurale più profonda, esistono oramai dei tratti comuni, universali, trasversali, propagati come un contagio non dai virioni del Covid ma dallo schermo dei telefonini su cui passano gli stessi reel, gli stessi messaggi, le stesse storie che ripetono tutte le stesse parole d’ordine. E da questo punto di vista, allora, dal punto di vista di un film che parla anche di battaglie e di guerre culturali, e che parla degli Stati Uniti di oggi, quello che ha fatto Ari Aster nel suo nuovo film non è poi tanto dissimile da quanto fatto da Luca Guadagnino in After the Hunt, ambientato in un luogo opposto alla Eddington del film, un’università della Ivy League che è chiaramente Yale. E nelle sue esplosioni più dirompenti, nell’allargare lo sguardo fino a comprendere scontri all’ultimo sangue e dinamiche cospiratorie, Eddington ha pure molto in comune con lo splendido Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson.
Ma andiamo per gradi.
A Eddington, 2.345 abitanti, si conoscono tutti, e tutti conoscono le due figure di spicco della comunità: lo sceriffo Joe Cross (Joaquin Phoenix) e il sindaco Ted Garcia (Pedro Pascal). Tra i due i rapporti non sono sono semplicissimi, per via di vecchie ruggini che riguardano Louise (Emma Stone), moglie di Joe e (forse) ex di Ted, e le tensioni si inaspriscono per via degli opposti atteggiamenti che i due hanno nei confronti delle regole riguardanti distanziamento e mascherine imposte dal Covid: tanto Joe è lasco e pragmatico, quanto Ted è rigido e prudente. Va a finire, insomma, che proprio alla vigilia delle nuove elezioni per il sindaco, dove Ted vorrebbe essere riconfermato e approvare l’edificazione di un nuovo, enorme data center alle porte della città, Joe decida di scendere in campo e di sfidarlo in una campagna elettorale che si combatterà inizialmente a colpi di bordate social per poi diventare qualcosa di ancora più violento. Nel mentre, messi sotto pressione dalla pandemia, e ancora di più aizzati dalle rispettive camere dell’eco provenienti dai loro telefoni, il resto dei cittadini di Eddington diventeranno sempre più polarizzati attorno a questioni che non riguardano solo l’elezione per il sindaco, ma una serie di proteste giovanili nel segno (scopiazzato malamente, sempre dai social) di quelle metropolitane del movimento Black Lives Matter, per esempio; e Louise, invece, si farà sedurre dall’ambiguo leader (Austin Butler) di una setta para-cristiana che pare aver preso tantissimo dalle chat di QAnon.
Eddington: il trailer
Raccontato inizialmente, e non senza ragioni, come un western contemporaneo nel quale al posto delle pistole ci sono i telefoni, Eddington è un film aperto e magmatico che non solo travalica ogni confine di genere, ma cerca di accogliere nel suo racconto tutte quelle tensioni e quelle spinte oppositive che hanno trasformato gli Stati Uniti (ma stanno trasformando anche tante, troppe società occidentali) in luoghi lacerati da conflitti che sembrano quasi portare sulla soglia di una guerra civile per ragioni che hanno a che vedere con una politica non più intesa solo in senso tradizionale e partitico, ma soprattutto con le guerre culturali dei nostri giorni e le opposizioni ideologiche che vengono estremizzate e imitate per via della loro esistenza primaria nel mondo virtuale. “Siamo intrappolati in un sistema basato sul feedback”, ha detto a questo proposito Ari Aster. “Il problema è che le persone non si ricordano di saperlo. Eddington parla di ciò che accade quando il feedback aumenta a dismisura e le bolle entrano in collisione”. Una dinamica di cui tutti noi abbiamo esperienza giorno dopo giorno, specie in un periodo così complesso e caldo come quello che stiamo vivendo, circondati da guerre e battaglie politiche.
Nelle mani di Aster, questa materia così densa e incandescente finisce per l’assume varie forme, tra le quali, inevitabilmente, quella della commedia satirica, poiché come ricorda il regista “la cosa insidiosa della nostra cultura è che è spaventosa, pericolosa e catastrofica, ma anche ridicola, stupida e impossibile da prendere sul serio”. Il punto fondamentale è che viviamo in un mondo dove non c’è più accordo da parte di nessuno sul concetto di “reale”, e dove il complottismo (un complottismo nel film e nella realtà che oggi è soprattutto di destra, ma che in qualche modo ha le sue radici in certe distorsioni paranoidi della sinistra degli anni Settanta), è la base del pensiero di troppi.
Ma Aster non vuole dare contro a nessuno. Il suo non è un film di parte. Con Eddington quello che gli interessa fare è raccontare, descrivere, rispecchiare. Farlo attraverso un film dinamico, sorprendente e avvincente dal punto di vista cinematografico ma che è anche in grado di mostrare al suo pubblico la fotografia inquietante di quello che siamo diventati, magari per riuscire a correggere la rotta. “Volevo realizzare un film che rispecchiasse il paese in cui viviamo, senza necessariamente demonizzare o esaltare nessuno,” ha dichiarato. “Spero che sia democratico, nel senso che dà lo stesso peso a tutti gli strumenti di questa cacofonia. E alla fine, qualunque siano le nostre differenze di opinione, dobbiamo trovare un modo per ricominciare a interagire gli uni con gli altri. Il potere della tecnologia e della finanza ci ha tenuti congelati e isolati nei nostri silos individuali, ma siamo tutti nella stessa situazione. Sappiamo tutti che c'è qualcosa di molto grave che non va”.
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