sabato 31 ottobre 2020

Sean Connery

Oggi 31 ottobre 2020, a Nassau alle Bahamas, quasi agli antipodi dell'universo che contraddistingue il nostro immaginario cinematografico, si è spento Sean Connery. Gentiluomo, profeta, eroe e outsider al tempo stesso, patriota scozzese per nascita e per scelta, elegante incarnazione di un mondo giunto al proprio definitivo tramonto: quest'uomo dai mille volti e dalla figura così nettamente delineata segna, nell'arco dei suoi 90 anni di vita, una parabola storica che con lui giunge al suo epilogo.

Figlio di un cosmo suburbano tutt'altro che patinato (quello della selvaggia Edimburgo del 1930 dove è nato), Connery possiede quel placido fascino di chi sa come improvvisare, arrabattandosi negli innumerevoli scenari della quotidianità. Giovane recluta, lavapiatti, guardia del corpo, modello: questi i primi ruoli che l'esistenza gli assegna, ad un istante dal varcare il palcoscenico come attore. Dopo il concorso di Mister Universo (1953), in rappresentanza della Scozia, dove si classifica al terzo posto, inizia il suo ingresso nel mondo dello spettacolo in parti sempre maggiori, televisive e cinematografiche, che gli procurarono una discreta notorietà: ad esempio Il bandito dell'Epiro (1957) di Terence Young, Estasi d'amore - Operazione Love (1958) di Lewis Allen, o il film, prodotto da Walt Disney, di Robert Stevenson, il quale lo trasferisce nel verde universo di Darby O'Gill. Ma la grazia moderata e l'impagabile astuzia di quest'uomo così apparentemente enigmatico sono destinate a ben altro – per esempio, a plasmare l'agente segreto più celebre del pianeta: così Connery si trasforma in Bond, James Bond, forse la spia meno discreta che sia mai esistita sulla faccia della terra (ma di sicuro la più salace e geniale). Fra atmosfere caliginose e specchietti per allodole, Agente 007 - Licenza di uccidere (1962) per la regia di Terence Young rivoluziona un intero genere, dissacrandolo bonariamente. Il capolavoro della serie, divenuto ormai un cult del cult, sarà probabilmente Agente 007 - Missione Goldfinger (1964 diretto da Guy Hamilton), in cui una volta per tutte viene trascesa quella logica della probabilità che rilega la detective story nell'anonimato. Attraverso l'allucinata commedia umana di Ian Fleming, Connery diventa il volto della Guerra Fredda e di un'umanità familiarmente tipizzata: chi non si ricorda in A 007, dalla Russia con amore (1963, di Terence Young) della strana lotta fra l'agente segreto e Rosa Klebb (niente meno che Lotte Lenya!) in una camera d'albergo veneziana? Chi non ha mai sognato di accendersi una sigaretta e, con sapiente nonchalance, pronunciare il cognome e il nome più iconici della storia del cinema? Ma non basta: con lo stesso irriducibile aplomb, il giovane Sean riesce a svincolarsi ben presto dal pericolo di diventare il cartonato del suo stesso personaggio. E quale migliore occasione di una collaborazione con Alfred Hitchcock? In Marnie (1964) vediamo l'attore alle prese con gli incubi atroci di una scacchiera femminile ormai corrotta e disturbante, nella quale il protagonista dovrà rimettere ordine.

Da qui in avanti, l'ex agente segreto al servizio (ironia della sorte!) di sua Maestà spiccherà il volo verso i più svariati lidi: così lo ritroviamo nel Far West messicano, al fianco di un'inedita Brigitte Bardot in Shalako (regia di Edward Dmytryk, 1968), ma anche nel caos allegorico delle distopie messe in scena da John Boorman in Zardoz (1974). Abbandonato l'anno 2293, Connery ritorna (quasi) in patria, ma con un certo stile, vale a dire sempre e rigorosamente a bordo di un treno a vapore – che si tratti dell'Orient Express (regia di Sidney Lumet 1974) da Agatha Christie o della locomotiva di Michael Chrichton in 1855 - La prima grande rapina al treno (1979) che strizza l'occhio ad una tradizione cinematografica ben più antica e inaugurata da Edwin S. Porter. Prossimo capolinea, la Scozia feroce e favolistica di Russell Mulcahy, in cui Connery vestirà gli inquietanti panni del protagonista di Highlander - L'ultimo immortale (1986). Ma alla stazione successiva, questo Highlander sotto copertura finirà per rinchiudersi nei tortuosi androni concepiti da Umberto Eco nel suo romanzo forse più celebre, Nel nome della rosa portato sul grande schermo da Jean-Jacques Annaud (1986) in una versione tutta luci e ombre.

L'oscar giunge ad un anno di distanza, nella Chicago sanguinaria di Al Capone: braccio destro antitetico di Eliot Ness (Kevin Costner), l'anziano e disincantato poliziotto Jimmy Malone (non a caso, Sean Connery) riuscirà a minare le fondamenta dell'incrollabile dimora in cui gli Intoccabili di Brian De Palma muovono le proprie fila. Dopo una breve tappa nella giungla di Indiana Jones e di Steven Spielberg, nel 1990 il nostro eroe deciderà di attraversare i resti del muro e di indossare la maschera del capitano sovietico Marko Ramius – corrispettivo serioso e decisamente più realistico del vecchio Bond: nella sua Caccia a ottobre rosso (1990, per la regia di John McTiernan), l'attore donerà una fisionomia allo spionaggio disincantato e tecnologicamente abbacinante dello scrittore Tom Clancy.

Intorno al nuovo millennio, il treno rallenta, fermandosi nella Nottingham medievale di Robin Hood - Principe dei ladri , nel Mato Grosso (1992) del taumaturgo Dott. Robert Campbell, nel Bronx di William Forrester (Gus Van Sant, 2000), fino ad incespicare nelle fantasie fumettistiche di Stephen Norrington e della sua Leggenda degli uomini straordinari (2003). Connery scende dal proprio vagone prima che la corsa si sia arenata del tutto, rifiutando con l'abituale disinvoltura il canto delle sirene pronunciato da maschere tutto sommato scomode, come quella di Gandalf nella trilogia di Peter Jackson o di Albus Silente nel fin troppo saturo calderone griffato Harry Potter. Grazie all'ironico buonsenso e alla proverbiale furbizia che contraddistinguono tanto il mito quanto l'uomo, Sean Connery sa perfettamente quando è il momento di tornare con i piedi per terra e magari accendersi, con sapiente nonchalance, una sigaretta.



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The Comey rule (Miniserie) - Teste di Serie

L'UOMO PIÙ ODIATO D'AMERICA

Quale nazione merita un presidente come Donald Trump? O forse sarebbe meglio chiedersi: quale popolo merita come presidente un uomo tanto narcisista, bugiardo e nocivo come Donald Trump?

James Comey – che nella miniserie targata Showtime ha il viso buono e il corpo roccioso di Jeff Daniels, sempre strepitoso da anni a questa parte – è il primo a non credere nella vittoria di “The Don” e non sa letteralmente darsi pace. Ma James Comey, ormai ex-capo dell'FBI, sa bene con che tipo di personaggio è stato costretto a trattare, seppur per breve tempo, e tutte le sue attenzioni e iniziative sono alla base della politica di difesa-attacco dello stesso Bureau, nei confronti di un presidente che non condivide nessun valore costituente della democrazia americana.

Dietro l'operazione The Comey rule c'è Billy Ray, che si basa su e riadatta per il piccolo schermo A higher loyalty: truth, lies and leadership, romanzo-inchiesta bestseller nelle classifiche del New York Times, scritto dallo stesso Comey.

La miniserie in due episodi si presenta come un dramma-politico che poggia a piè pari sulla ricostruzione storica dell'elezione di Trump nel 2016, concentrandosi su tre perni narrativi: la sfida tra Trump e Hillay Clinton, traviata dallo scandalo delle mail della democratica e dalle interferenze comprovate della Russia di Putin sull'esito finale delle elezioni; l'incredulità e lo spaesamento dovuti alla vittoria inattesa del miliardario dal ciuffo biondo; il rapporto nient'affatto idilliaco tra Comey e Trump.

L'appeal della serie – e la sua evidente riuscita – sono dovute alla bravura di Ray nel riuscire a proporre due episodi che si presentano come due entità distinte concettualmente, ma perfettamente legate da un sentimento di straniamento generale.
Il primo episodio racconta con dinamicità e crescente interesse il lavoro dell'FBI e di Comey, indaffarati in operazioni di sicurezza nazionale, risucchiate nel vortice delle campagne elettorali dei due candidati e così The Comey rule si apre come un sottilissimo thriller d'inchiesta, nel quale la figura già tossica di Trump non compare mai fisicamente – se non di spalle per un solo istante -, ma aleggia in ogni stanza e corridoio, come una maledizione incombente e ineluttabile, saturando completamente l'atmosfera e rendendola così pesante da consegnare già alla storia il profilo del futuro 45esimo presidente degli Stati Uniti d'America.
Una volta vinte le elezioni, il tycoon corpulento, quasi goffo e dal ciuffo biondo (imitato e caricato da un Brendan Gleeson tra comicità e dramma) si palesa in tutta la sua arroganza e divora letteralmente lo schermo, minacciando sia la vita professionale di Comey e del Bureau, sia lo sguardo dello spettatore, costretto per forza di cose a indugiare su un personaggio tanto “squilibrato” nel pensiero e nell'apparire, da sembrare un villan scappato da un fumetto per adolescenti.

The Comey rule è, per questo, un “falso biopic” o, ancora un “mezzo biopic”, perchè sceglie con coraggio e lungimiranza di non focalizzarsi sulle sensazionalità degli eventi, ma di sfruttarli per permettere elle emozioni dei protagonisti di emergere: così vediamo un Comey combattivo, uomo di polso, ma garbato e docile nel costruire i rapporti con tutti coloro che lo circondano, araldo istituzionale di valori come la bontà e il rispetto, tempestivamente calpestato, deriso e cancellato via dalle manìe quasi psicotiche di un presidente più attaccato e interessato ai feedback sui social e al gradimento del pubblico, pronto a manipolare la realtà come fosse un gioco a “chi è migliore di chi”. Tempestivamente calpestato, deriso e cancellato via dal giudizio popolare, solo per aver rispettato i suoi saldi ideali e aver svolto il suo lavoro quasi in maniera impeccabile.

In alcune sequenze Ray si lascia prendere la mano dall'enfasi con la quale tenta di elevare Comey a uomo-status-symbol – ne risentono spesso i dilatati primi piani, a volte incentivati da rallenty che rendono il tutto troppo patinato -, ma The Comey rule riesce nel suo intento di tratteggiare Trump come un presidente incapace e distruttivo, uomo-personaggio furbo e malizioso, disturbatore di quel tentativo di ripresa sociale-economica pensata per il lungo periodo e iniziata dalla presidenza Obama - gli imprevedibili ripensamenti sulla “questione Russia”, gli accordi nucleari con l'Iran e i nebulosi trascorsi scabrosi la dicono lunga sul suo modus operandi -, che non solo continua a minacciare la politica nazionale e internazionale degli USA, ma ribadisce ancora una volta la concreta possibilità di ritrovarsi con un Donald Trump qualunque nella stanza ovale, pronto e indifferente nel minare la democrazia sulla quale si fonda uno stato liberale.
Senza alcuna distinzione tra repubblicani o democratici. E questo è ciò che più spaventa. Questo e la possibilità di altri quattro anni di bugie, teatrini e vanagloria.

(The Comey rule); genere: drammatico; showrunner: Billy Ray; stagioni: 1 (miniserie); episodi miniserie: 2; interpreti principali: Jeff Daniels, Holly Hunter, Michael Kelly, Jennifer Ehle, Scoot McNairy, Jonathan Banks, Oona Chaplin, Amy Seimetz, Steven Pasquale, Brendan Gleeson; produzione: Home Run Productions, Secret Hideout, The Story Factory; network: Showtime (USA, 27 settembre - 28 settembre 2020), Sky Atlantic (Italia, 12 ottobre - 13 ottobre 2020); origine: U.S.A., 2020; durata: 90', 120'; episodio cult: Episode 1 - Night one (Episodio 1 - Prima notte)



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Daniel Craig rende omaggio a Sean Connery: "Ha definito un'epoca e uno stile"

La notizia della morte di Sean Connery sta correndo sui media e sui social network e ha raggiunto anche colui che dal 2006 ha rilevato il ruolo dell'agente 007. Daniel Craig ha voluto diramare una dichiarazione ufficiale sulla scomparsa del primo vero James Bond:

È con immensa tristezza che ho appreso della scomparsa di uno dei veri grandi del cinema. Sir Sean Connery sarà ricordato per Bond e per molto altro. Ha definito un'epoca e uno stile. L'arguzia e il fascino che ha ritratto sullo schermo potevano essere misurati in mega watt. Ha contribuito a creare il blockbuster moderno. Continuerà a influenzare attori e registi allo stesso modo negli anni a venire. Il mio pensiero va alla sua famiglia e i suoi cari. Ovunque sia, spero che possa trovare un campo da golf.

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In un'intervista dopo l'uscita di Casino Royale (2006), il primo film con Daniel Craig nel ruolo di Bond, Sean Connery disse di essere lunsingato dal fatto che il biondo attore si ispirasse direttamente al suo Bond piuttosto che a quelli di Roger Moore, George Lazenby, Timothy Dalton o Pierce Brosnan. "Credo che il senso di pericolo del personaggio" spiegava Connery, Daniel Craig "lo centra in pieno". Allo stesso modo Craig diceva che "Connery è l'attore che ha definito il personaggio ed è stato lui a influenzarmi maggiormente, d'altra parte Agente 007 - Licenza di uccidere e Agente 007 - Dalla Russia con amore sono due dei miei film preferiti in assoluto".

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Siamo sempre in attesa di vedere l'ultima prova di Daniel Craig nel ruolo di James Bond in No Time to Die, in uscita nei cinema il 2 aprile 2021, emergenza sanitaria permettendo. Qui sotto il trailer del film.



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Sean Connery, Indiana Jones e l'ultima crociata e il vero grande cinema d'intrattenimento

La morte di Sean Connery a 90 anni spinge a riflettere sul ruolo che ha avuto per chi scrive, e per molti coetanei del sottoscritto nato nel 1976, uno dei suoi personaggi più famosi, l'Henry Jones sr. padre di Indy in Indiana Jones e l'ultima crociata (1989) di Steven Spielberg. Quando la nostra generazione ha raggiunto l'età della ragione, Connery era entrato già in una fase diversa della sua carriera, più iconica e autocelebrativa: basti pensare a Gli intoccabili (1987) e a Il nome della rosa (1986), ma l'incontro con il cinema spielberghiano generò in me una consapevolezza del mezzo particolare, forse spingendomi senza neanche che lo realizzassi, insieme ad altre opere di analoga importanza, a scrivere di audiovisivi. Questa è una riflessione che spero possa valere come omaggio.

Sean Connery, padre di Indiana Jones, il divo nel cinema davvero per tutti

Tra Sean Connery e Harrison Ford, padre e figlio in Indiana Jones e l'ultima crociata, c'erano solo 12 anni di differenza, eppure tutti giudicammo all'epoca e ancora oggi perfettamente plausibile il rapporto tra i due attori e tra i due personaggi. Avevo 12 anni io stesso quando vidi il film appena uscito in sala, non potevo riflettere su una cosa del genere, ma da adulto la realtà dei fatti continua a non disturbarmi. Perché? Solo perché Sean era invecchiato ad arte e Harrison giovanile? C'è qualcosa di più sottile.
Se tra Connery e Ford ci sono solo 12 anni, tra Indiana Jones e l'ultima crociata e Licenza di uccidere ce ne sono 27, ed è quella la distanza che si misura in questo irresistibile gioco: da ragazzino non potevo capirlo, ma stavo assistendo a un raffronto tra divi, non tra persone reali. Sean Connery è stato uno dei divi per eccellenza, in grado di segnare talmente tanto l'immaginario collettivo, da inquadrare un'epoca e perciò riconfigurare la concezione del tempo. E' una delle ragioni per cui ci si sente disorientati davanti alla perdita di un'icona, perché è una magica stella polare, che trascende le regole della vita quotidiana e il suo inesorabille trascorrere.
La presenza di Sean Connery in Indiana Jones e l'ultima crociata mi ha fatto toccare con mano come in pochi altri casi, nelle mie riflessioni sul mezzo, il concetto profondo di divismo, ma allo stesso tempo mi ha fatto realizzare qualcosa di più semplice ma di altrettanto prezioso: il suo Henry Jones Sr., essendo anche un personaggio ben scritto e perfettamente recitato, è un valore aggiunto del film anche al di là di queste riflessioni critiche e linguistiche. E forse la sfida attoriale di Connery in questo caso fu proprio nel cercare un personaggio reale, pur nel coinvolgimento "metacinematografico" voluto da Spielberg, che non a caso avrebbe sempre voluto girare un James Bond.
E allora il magistrale Henry Jones sr. di Sean Connery in Indiana Jones e l'ultima crociata mi ha dimostrato due cose: che col cinema si poteva essere divertenti, immediati e simpatici, e allo stesso tempo sofisticati e sottili, coniugando la professionalità dell'intrattenimento con livelli di lettura più complessi, sposando pop-corn e intelligenza, reazioni di cuore e storia del cinema. Ecco, per questo ringrazio Sean Connery, per essere stato un grande attore e per esserlo stato giocosamente all'interno del suo divismo, unendo in una sola emozione ogni approccio alla settima arte, dall'immediato al meditato. E in quest'impresa non poteva che essere diretto da Steven Spielberg, che dietro alla macchina da presa incarna lo stesso prezioso equilibrismo. Leggi anche Oltre James Bond: semplicemente Sean Connery



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Oltre James Bond: semplicemente Sean Connery

Lei si aspetta che io parli?
No, mi aspetto che lei muoia!

Questo scambio tra James Bond e Auric Goldfinger, il primo legato a un tavolo con un raggio laser che si avvia a tagliarlo in due a partire dall’inguine, il secondo beffardamente piazzato a osservare la scena, è uno dei più celebri nella storia dei film di 007.
Goldfinger si aspettava Bond morisse, e non accadde.
Noi, nonostante i 90 anni di età, non ci aspettavamo che Sean Connery - il miglior Bond mai esistito, con buona pace di tutti gli altri - sarebbe morto davvero.

Con Sean Connery se va un pezzo della formazione cinefila di milioni di persone.
Se ne va un James Bond magnifico, ironico ma con misura, ruvido e seducente al tempo stesso. Un Bond che, nel mondo carico delle troppe ipocrisie che il politicamente corretto ha portato con sé, non avrebbe mai avuto spazio né successo, e che per questo è andato reinventandosi per poter stare al passo coi tempi.
Eppure, per colonialista e maschilista che fosse, quel Bond lì, quello di Connery, è ancora inimitabile.
Inimitabil grazie a lui: lui, che ha avuto il la voglia e il coraggio di tirarsi indietro e cedere la licenza di uccidere a qualcun’altro, per potersi dedicare ad altri ruoli, per non diventare schiavo di Bond ma facendo sì che Bond rimasse sempre schiavo del suo imprinting e della sua interpretazione.

Voleva liberarsi da una maschera, da un personaggio che gli stava stretto e lo limitava. Voleva essere Sean, non James. E ha dimostrato, film dopo film, che era Sean, e non James, quello che comandava tra i due.
Ancora prima dell’addio definitivo (o quasi) a 007, gira Marnie con Hitchcock, La collina del disonore e Rapina record a New York con Lumet, Una splendida canaglia con Kershner.
Ma è dopo Una cascata di diamanti, il suo ultimo Bond-movie del canone ufficiale, che Connery si libera completamente e da il meglio di sé.
Arrivano allora film come Zardoz di John Boorman, Riflessi uno specchio scuro e Assassinio sull'Oriente Express ancora con Lumet, e soprattutto Il vento e il leone di John Milius e L'uomo che volle farsi re di John Huston, in cui mette tutto il suo carisma al servizio dell'epica grandiosa di quei film e quei registi, per poi diventare protagonista del bellissimo thriller spaziale Atmosfera zero di Peter Hyams

Tornato nei panni di Bond in Mai dire mai, dove fa mangiare la polvere allo 007 ufficiale dell'epoca, Roger Moore, Connery inaugura negli anni Ottanta una nuova fase ancora della sua carriera: quella in cui, ostentando una barba via via sempre più candida, e giocando esplicitamente con i parrucchini di cui faceva uso già dai primo film di Bond, spinge forte sul suo essere sornione, vecchia volpe, inguaribile spavaldo e seduttore, interprete consumato.
Sono gli anni di Highlander, del Nome della rosa, degli Intoccabili, di Indiana Jones e l'ultima crociata, dove interpreta il ruolo di Henry Jones Sr., il papà di Indiana.

Come molti uomini, e come il whisky proveniente dalla terra che amava, e per cui indipendenza ha sempre lottato, la Scozia, Connery sembrava migliorare con gli anni. Invecchiava, ma invecchiava bene. Benissimo.
Poteva essere il comandante russo disertore di un sottomarino come in Caccia a Ottobre Rosso, il Re d'Inghilterra come in Robin Hood - Principe dei ladri, un medico rifugiatosi nella giungla come in Mato Grosso o un detective impegnato in complesse indagini tra i grattacieli del potere economico di Los Angeles come in Sol Levante, ed era sempre impeccabile.
A quasi settant'anni, poteva tranquillamente permettersi di essere credibile come eroe d'azione in The Rock di Michael Bay, e ladro capace di sedurre Catherine Zeta-Jones in Entrapment.

Ma, ancora una volta, Connery seppe quando e dove fermarsi.
Certo, c'è stato La leggenda degli uomini straordinari (dove ebbe a che ridire lungamente col regista Steven Norrington), ma il suo vero film d'addio al set va considerato Scoprendo Forrester di Gus Van Sant, dove interpreta uno scrittore scozzese ruvido, burbero e introverso sparito dalle scene dopo la vittoria del Pulitzer.
Lui, Connery, l'Oscar lo aveva vinto nel 1988 per Gli Intoccabili, e anche un Golden Globe, ma in fondo i premi gli interessavano poco.
Riservato ma senza peli sulla lingua, e senza timore di far sentire la propria voce, qualunque reazione questa potesse avere, Connery ha potuto permettersi di dire di aver abbandonato la recitazione perché “stufo degli idioti” e perché “la pensione è così dannatamente piacevole”.
Ha trascorso gli ultimi anni impegnandosi per l’indipendenza scozzese, per la salvaguardia dei mari e della vita marina, e godendosi i soldi guadagnati nel corso di una lunga e gloriosa carriera, alle faccia delle polemiche su vere e presunte evasioni fiscali di qualche anno fa. D’altronde lui, che veniva da una famiglia proletaria, il valore del denaro lo conosceva bene.

Ora Sean Connery è morto. Il nuovo film di James Bond - chissà cosa ne avrebbe pensato - è rinviato a chissà quando per la pandemia.
Non ci rimane altro che indossare uno smoking, correre in un bar - prima che scattino le 18 - e ordinare un vodka martini agitato e non mescolato; accenderci una sigaretta e illuderci per l’ultima volta di poter avvicinare in qualche modo quel fascino assoluto che, con lui, è sparito per sempre.



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Addio Sean Connery, il leggendario attore è morto all'età di 90 anni

News Cinema

Addio Sean Connery, il leggendario attore è morto all'età di 90 anni

Sean Connery, noto per essere stato il primo e, per molti, il miglior James Bond sul grande schermo, è morto oggi all'età di 90 anni. Nel 1988 aveva vinto il suo primo e unico Oscar, nonché un Golden Globe, per la sua interpretazione dell'incorruttibile poliziotto Jim Malone nel film Gli Intoccabili di Brian De Palma.

Addio Sean Connery, il leggendario attore è morto all'età di 90 anni

Sean Connery è morto. Ad annunciare la scomparsa all'età di 90 anni del leggendario attore scozzese è stata la famiglia che lo ha comunicato alla BBC.
Noto soprattutto per essere stato il primo (e per molti il migliore) James Bond sul grande schermo, Sean Connery non è stato solo l'agente 007. Tra i suoi tanti memorabili ruoli, ricordiamo il suo colonnello Arbuthnot in Assassinio sull'Orient Express del 1974, e la sua interpretazione di un attempato Robin Hood accanto a Audrey Hepburn in Robin e Marian del 1976.

Nel 1988 arriva finalmente l'Oscar, quello come miglior attore non protagonista per il suo ruolo dell'incorruttibile poliziotto Jim Malone nel film Gli Intoccabili di Brian De Palma.
Nel 1996 la carriera di Sean Connery viene consacrata definitivamente con il Cecil B De Mille Award, consegnato durante la cerimonia dei Golden Globe, premio al quale era stato candidato nel 1990 per il ruolo di Henry Jones senior in Indiana Jones e l'ultima crociata. Prima di ritirarsi definitivamente dal mondo del cinema, nel 2003, Sean Connery prende parte ad altri 5 o 6 film, l'ultimo dei quali è stato La leggenda degli uomini straordinari in cui interpretava il ruolo di Allan Quattermain.



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COSA SARA'

Dopo aver chiuso La Festa del Cinema di Roma, da oggi 31 ottobre disponibile sulla piattaforma di Miocinema (https://www.miocinema.it/).

Narrare in termini credibili la parabola discendente di chi si scopre in bilico fra la vita e la morte, è quasi sempre un'impresa ardua: nella maggior parte dei casi, bisogna ammetterlo, il rischio è quello di sfociare in un pietismo ipocrita e, a tratti, persino troppo intransigente. Fin dalla prima inquadratura di Cosa sarà , tuttavia, ci si accorge subito di quanto la voce di Francesco Bruni (reduce dai malinconici equilibri già messi in scena in Tutto quello che vuoi) risulti sincera e piacevolmente onesta, scardinando alcuni fastidiosi cliché di genere. Il regista, qui nei panni del proprio alter-ego dal nome fin troppo parlante, Bruno Salvati, (un bravissimo Kim Rossi Stuart) ci dona un autoritratto schietto e tutto sommato inaspettato, ripercorrendo le difficili fasi di un cammino doloroso e solitario. Quando al protagonista viene diagnosticata una forma di leucemia, la sua già di per sé instabile routine – di regista e artista incompreso, di padre separato, di figlio abbandonato, di eterno fanciullo – comincia ad incespicare e a muoversi su binari paralleli. Solo la scoperta di una sorellastra segreta (Barbara Ronchi) gli indicherà la strada da percorrere per raggiungere la luce in fondo al tunnel, letteralmente trasfondendogli una nuova esistenza e curando le ferite umane accumulate nel corso degli anni.

Cosa sarà rifiuta qualsiasi dispotica categorizzazione: non si tratta di una commedia, ma nemmeno di una tragedia dalle tinte oltremodo melodrammatiche. Sorrisi amari e attimi di smarrimento si alternano con una moderazione e una leggerezza che solo uno sceneggiatore sapientemente versatile si dimostra in grado di ricreare. Attraverso la via crucis del personaggio, Francesco Bruni ci fa rivivere l'esperienza della malattia, del viaggio interiore e sofferto all'interno dei ricordi d'infanzia, del confronto con i propri cari. Il racconto si struttura su vari piani e oscilla dal presente al passato, mettendo in comunicazione il tempo senza tempo del ricovero e quello cronologicamente organizzato della quotidianità: l'espediente del flashback, spesso e volentieri abusato, acquista qui un valore narrativo ben preciso e contribuisce a rinvigorire l'intensità con cui gli eventi si sprigionano dal grande schermo.

Dietro e davanti la cinepresa, l'autore intesse realtà dei fatti e romanzo con una consapevolezza schiva e destinata a rimanere in sordina: non c'è un solo momento in cui l'attenzione dell'obbiettivo si distolga dalla concretezza che caratterizza le vicende dei personaggi, così come non emerge nessuna vera digressione sul rapporto fra l'uomo e il suo lavoro nel cinema – e questo è, da un lato, un peccato, dall'altro un'enorme fortuna perché rende il tutto molto più scorrevole e molto meno autoreferenziale. La malattia non è mai, neanche per un istante, trattata alla stregua di un banale espediente narrativo, ma traina l'intero arco spaziotemporale su cui s'innestano gli eventi: vediamo il piccolo Bruno giocare con le macchinine, per poi ritrovarlo disteso su un letto d'ospedale. L'attimo dopo, lo scorgiamo a cena con i figli, al ristorante con il suo produttore, ma non appena ci siamo abituati all'ironica normalità di queste giornate da trentenne in salute, ripiombiamo nell'allucinata angoscia delle visite, della terapia, delle percentuali mediche con cui i referti separano la vita dalla morte. Eppure, la pellicola mantiene una sua delicata stabilità, introducendo nei punti giusti quell'inquieta levità tanto introvabile nel mondo reale quanto facilmente reperibile su negativo. Se allo spettatore non è concesso conoscere nei dettagli il lavoro di Bruno, egli è tuttavia posto davanti a quello di Francesco, all'elasticità tutta cinematografica con cui battuta e tragedia s'alternano come se nulla fosse.

Riuscitissima anche l'istantanea che il film ci lascia del protagonista, qui ritratto nel puerile egoismo e nelle innumerevoli fragilità che contraddistinguono l'uomo, non certo l'eroe di una commovente favola con morale annessa. La diffidenza nei confronti del padre (Giuseppe Pambieri), l'imbarazzo provato osservandosi nel ruolo del genitore, l'attaccamento morboso alla sfera femminile e materna della sua esistenza fanno di Bruno un individuo in carne e ossa. Non si sa se, al termine del proprio percorso di guarigione, egli sarà pronto a cambiare: probabilmente no. Probabilmente non è necessario. Ed è qui che la malattia lascia spazio alla persona, senza giudicarne la natura e soprattutto senza condannarla ad un'espiazione immeritata o, come ripete la figlia di Bruno (Fotinì Peluso) fumando nervosamente una mezza sigaretta, priva di un vero e proprio motivo.

(Cosa sarà); Regia e sceneggiatura: Francesco Bruni; fotografia: Carlo Rinaldi; montaggio: Alessandro Heffler; interpreti: Kim Rossi Stuart (Bruno), Lorenza Indovina (Anna), Barbara Ronchi (Fiorella), Giuseppe Pambieri (Umberto), Raffaella Lebboroni (Paola Bonetti), Fotinì Peluso (Adele), Tancredi Galli (Tito), Elettra Mallaby (madre di Bruno); produzione: Palomar e Vision Distribution; origine: Italia 2020; durata: 101'.



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Rupert Grint: dopo Harry Potter, cosa ha fatto l'ex-Ron Weasley?

Se siete cresciuti con la saga di Harry Potter al cinema e in tv, siete cresciuti con Harry, Hermione e Ron, cioè Daniel Radcliffe, Emma Watson e Rupert Grint. Se i primi due tuttavia sono riusciti a rimanere nello star sytem, lo stesso non si può dire di Rupert Grint, ora trentaduenne, che non ha mai smesso di lavorare ma non è proprio riuscito a "sfondare". Curiosiamo dietro le quinte della sua vita privata e dei suoi impegni sul fronte della recitazione, che proseguono tuttora.

All'anagrafe Rupert Alexander Lloyd Grint, il futuro Ron Weasley della saga di Harry Potter, nasce nel 1988 a Harlow, nell'Essex. Figlio di un rivenditore di gadget automobilistici, ha una famiglia prolifica come quella dei Weasley: è infatti il più vecchio di ben cinque fratelli. La sua non è una storia di figlio d'arte, ma inizia ad appassionarsi alla recitazione sin dalle medie, proseguendo a calcare i palcoscenici scolastici anche alle superiori, quando nel frattempo il suo nome (immaginiamo) avrà portato un certo lustro alle recite di fine anno. E' il 2000 infatti quando, da fan dei libri di Harry Potter di J. K. Rowling da poco esplosi, si propone con un video per i casting aperti di Harry Potter e la pietra filosofale: ha appena letto che la Warner Bros vuole puntare su un cast davvero inglese e spedisce un suo rap improvvisato.
Rupert Grint non è una star, è un ragazzino col pallino della recitazione e diventerà un uomo medio col pallino della recitazione, lontano dal glamour dei suoi colleghi: d'altronde, nel primo film non harrypotteriano in cui venga coinvolto, Pantaloncini a tutto gas (2002), è un bambino prodigio che non può sentire odori e diventa amico di un altro ragazzino afflitto da flatulenze incontrollabili. Non parliamo di hit (anche se il regista Peter Hewitt non è l'ultimo arrivato).

Rupert Grint, la sua fama durante la saga di Harry Potter

Nel periodo che va dal 2004 al 2009, in cui diventa adolescente e smette peraltro di studiare a 16 anni ("Non mi piaceva tanto la scuola", si limiterà a dichiarare), oltre ai film della saga di Harry Potter nei quali migliora via via come attore, si mette alla prova in opere minori, commedie indipendenti: In viaggio con Evie (2006), Cherrybomb (2009, roba forte vietata ai minori) ed è poi nel corale Wild Target (2010) di un veterano come Jonathan Lynn. Si tratta però in quest'ultimo caso di una partecipazione da comprimario, in una pellicola peraltro nemmeno troppo nota in giro per il mondo.
Dal 2011, anno in cui il suo Ron Weasley saluta il pubblico dopo Harry Potter e i doni della morte - Parte 2, comincia a frequentare l'attrice inglese Georgia Groome (classe 1992), dalla quale avrà anche una figlia nel 2020. Una vita sentimentale molto stabile, alla quale Rupert farà scorrere parallele nuove incursioni cinematografiche, tutte però nelle retrovie, senza avvicinarsi a Hollywood.

Rupert Grint dopo Harry Potter: cosa sta interpretando?

Dopo la chiusura della saga di Harry Potter, Rupert Grint compare nel bellico Prigionieri del ghiaccio (2012), un film sui piloti della II Guerra Mondiale, poi CBGB (2013, sulla nascita del punk rock a New York) e nell'indipendente Charlie Countryman (2013) con Shia LaBeouf, dove è un amico del protagonista e in una scena ingoia una dose elefantiaca di Viagra (sul serio). Mentre nel frattempo ha cominciato a recitare in teatro, nel 2015 è nell'ancora più bizzarro Moonwalkers, a oggi suo ultimo impegno cinematografico, dove veste i panni di uno scalcinato agente musicale che dovrebbe aiutare alla fine degli anni Sessanta un agente della CIA a contattare Stanley Kubrick. Lo scopo? Fargli girare il falso allunaggio. Bizzarrie per Rupert Grint sullo schermo, quindi, e non ci stupiremmo se la maggior parte di voi non vi si fosse mai imbattuta.
Il discorso cambia tuttavia per la militanza televisiva: non sono serie di tendenza come uno Stranger Things, ma dal 2017 a oggi Grint ha avuto ruoli fissi nel black humour di Sick Note, nella versione tv dello Snatch di Guy Ritchie, in Agatha Christie - La serie infernale (spalla di John Malkovich-Poirot) e ultimamente nell'horror Servant, coideato da M. Night Shyamalan.

Rupert Grint ripensa al passato come Ron Weasley

Attivo senza lo stress della fama, ormai papà, pronto a investire la sua fama in campagne alimentari e/o favore della salute, Rupert Grint nel 2018 ha discusso con The Independent la sua filosofia di vita e di carriera. Chiudiamo con le sue parole:

Non sono la persona più ambiziosa del mondo. Da quel punto di vista sono parecchio rilassato. Do molto valore anche al tempo per me stesso, sono piuttosto contento di come mi vanno le cose. [...] Non è che miri a scioccare le persone per far dimenticare del tutto Ron. Non penso che sia possibile. Quei film erano una cosa a sè. Sarà difficile far sì che la gente li dimentichi del tutto. Devi semplicemente abbracciarli.


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Halloween: i film per bambini da vedere su Amazon Prime Video

Prima della notte di Halloween, c'è il pomeriggio che precede la notte di Halloween. In questi tempi infausti, andare in giro per appartamenti con gli amichetti per il classico "dolcetto o scherzetto" non è un'attività che i bambini possono fare. Anche alle feste si deve rinunciare quest'anno, però l'atmosfera domestica la si può mantenere intatta con un adatto travestimento e qualche film per garantirsi i giusti brividi.
Qui sotto vi consigliamo cinque film per bambini in perfetto tema Halloween disponibili alla visione su Amazon Prime Video.

Film di Halloween per bambini: Vampiretto (2017)

Vampiretto racconta la storia di Rudolph, un piccolo vampiro che rimane isolato dal resto della famiglia quando il suo clan viene attaccato da un cacciatore di vampiri. Rudolph si rifugia in un hotel dove fa amicizia con un suo coetaneo, l'umano Tony, che adora i vampiri e diventa subito suo amico. Tony aiuterà Rudolph a salvare la sua famiglia e a fermare il temibile cacciatore di vampiri.

Film di Halloween per bambini: Fuchsia, una strega in miniatura (2010)

Fuchsia è stata allevata dal mago Quark, dopo essere stata trovata in un uovo, e frequenta la scuola delle piccole streghe. Nonostante i moniti di Quark, la bambina un giorno entra in contatto con un bambino di nome Tommy e, seguendolo incautamente nel suo mondo, apprende che il bosco è in pericolo per colpa dello zio del bimbo, intenzionato ad abbattere gli alberi per costruirvi una strada.

Film di Halloween per bambini: Casper (1995)

La perfida Carrigan ha ricevuto in eredità un castello nel Maine nel quale si dice sia conservato un tesoro. Il maniero è però abitato da quattro fantasmi che hanno ancora questioni in sospeso e tra loro c'è anche il piccolo Casper, gentile e curioso di fare amicizia con i nuovi arrivati... Una storia di fantasmi per grandi e piccini che vede protagonista uno dei primi personaggi della storia del cinema ad essere interamente realizzato in CGI, ma non per questo meno capace di regalare emozioni a tutti i ..."vivi".

Film di Halloween per bambini: La casa del coccodrillo (2012)

L'undicenne Victor si è appena trasferito con la sua famiglia in una vecchia casa spettrale. Un giorno trova il diario di Cecilia, una ragazza morta nella casa tanti anni prima in circostanze misteriose. Victor lo legge rapito, seguendo le sue enigmatiche tracce, ma dei loschi vicini di casa spiano le sue indagini. In La casa del coccodrillo saranno tutti implicati nella morte di Cecilia?

Film di Halloween per bambini: La famiglia Addams (1991)

Quando lo zio Fester ricompare dopo 25 anni passati nel Triangolo delle Bermuda, Gomez e Morticia decidono di organizzare una festa da risvegliare i morti. La famiglia Addams è un classico da brividi, ispirato ai personaggi creati negli anni 30 dal vignettista Charles Addams e protagonisti di svariati film. Ormai un cult, questa versione del 1991 è diretta Barry Sonnenfeld con Anjelica Huston, Raul Julia, Christopher Lloyd e una giovanissima Christina Ricci.



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venerdì 30 ottobre 2020

#iorestoinSALA

Sabato 31 ottobre il cinema di qualità riparte dalla rete! Le 40 sale cinematografiche del circuito #iorestoinSALA si “riaccendono” sul web. Scopri la programmazione della sala virtuale del Lumière!


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Incontro online con il regista Francesco Bruni

Sabato 31 ottobre, ore 20.30, sul nostro profilo Facebook, appuntamento speciale con il regista di Cosa sarà, film d'esordio della programmazione online #iorestoinSALA.


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Drew Barrymore sostituisce Drew Barrymore nel trailer di The Stand-In

Drew Barrymore è mattatrice assoluta della commedia The Stand-In, di cui vi presentiamo il trailer in lingua originale: nel film Drew interpreta Candy, un'amata star del cinema comico, che va però incontro a un periodo psicologicamente difficile, finendo come molte celebrità (e, colmo dell'autoironia, come la stessa Drew Barrymore da adolescente) in rehab. La sua carriera sembra arrivata al capolinea, ma c'è forse una via d'uscita per non farla dimenticare dal pubblico mentre auspicabilmente si riprende: farsi sostituire dalla sua "stand-in" (sempre Barrymore), una donna che sogna di avere una vera carriera d'attrice. Candy perderà però il controllo della sua alter-ego, molto motivata... Lo "stand-in" è, per chi non lo sapesse, una specie di controfigura, non attiva però in scene pericolose: fa le veci di una star mentre si preparano luci e inquadratura, oppure aiuta gli altri attori se hanno bisogno di provare la scena, in attesa del divo.
The Stand-In, in uscita limitata nelle sale americane a dicembre, in contemporanea con la pubblicazione in streaming, è diretto da Jamie Babbit e scritto da Sam Bain, la prima una veterana regista televisiva americana, il secondo attivo nel mondo delle sitcom inglesi. Nel cast c'è anche T. J. Miller.



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La liceale: 45 anni fa la commedia sexy con Gloria Guida spopolava dando il via a una "saga"

Su questo pianeta, il richiamo sessuale è una prerogativa del mondo animale, a cui noi umani apparteniamo. Oltre a questo istinto, però, a noi è stato concesso anche il privilegio (se così lo vogliamo chiamare) della ragione. Possiamo parlare di sesso, analizzarlo, scrivere trattati o romanzi piccanti, ostentare la nostra carica sessuale o viverlo in intimità, da soli o accompagnati. Nella sfera sessuale, mente e corpo sono molto più in connessione di quanto crediamo da adolescenti, quando arrivano le prime pulsioni. E si sa che molti destini ruotano intorno al desiderio, appagato o meno che sia, di fronte al quale siamo pressoché tutti uguali. Senza fare troppi sofismi, il filone della commedia sexi all'italiana che ha conosciuto tempi d'oro negli anni 70, univa la commedia grossolana all'esposizione di corpi femminili.

Niente a che vedere con Mastroianni e la Loren di Ieri, oggi e domani. Qui si tentava l'operazione commerciale a basso costo per massimizzare i ricavi, mettendo in scena storielle in cui gli attori dovevano rappresentare l'uomo medio che perdeva la ragione, sconfitta dall'istinto, mettendosi in ridicolo. I personaggi femminili non erano oggetti, piuttosto delle dee da venerare. Raramente mancava la classica scena della doccia con una donna nuda e un guardone che era riuscito a trovare uno spiraglio per sbirciare. Il massimo della divinazione. All'epoca chi voleva vedere sesso sullo schermo doveva essere maggiorenne e entrare in un cinema a luci rosse, specializzato ovviamente in film pornografici. La commedia sexy, con il pretesto della risata, era l'alternativa per offrire al pubblico qualcosa di eccitante con malizia e relativo candore, facendo scendere il divieto ai minori di 14 anni. Il genere sfiorì negli anni 80 con l'avvento delle tv private e dei programmi in cui le donne svestite erano sì trattate come manichini in esposizione.

La liceale: il film cult della commedia sexy compie 45 anni

Uno dei film più citati ancora oggi, più che altro per la creatività dei titolisti, è Giovannona coscialunga disonorata con onore del 1973 con Pippo Franco e Edwige Fenech. Nel 1975, precisamente il 30 ottobre, usciva al cinema La liceale che finì la stagione cinematografica al 63° posto, in un anno in cui i primi due film più visti in Italia erano Amici miei e Lo squalo, ma silenziosamente guadagnò un pubblico di solidi estimatori che apprezzarono la candida bellezza di Gloria Guida, il cui corpo si distanziava dalle forme più generose e dall'aspetto più mediterraneo di Lilli Carati, Laura Antonelli, Michela Miti e della stessa Fenech. In contrapposizione a quest'ultima che aveva interpretato ruoli da supplente o insegnate sexy, la Guida andava a occupare un vuoto con il ruolo della studentessa sexy che da quel film in poi si vide spesso anche in molte imitazioni estere. La liceale, infatti, ebbe un buon seguito fuori dall'Italia uscendo sui mercati francese, tedesco, turco, spagnolo e inglese. Il film è conosciuto anche in Sudamerica e, sebbene Gloria Guida avesse recitato in precedenza in altri cinque titoli del 1975 e due del 1974, è per la La liceale e Avere vent'anni del 1978 che viene spesso ricordata, cosiderati ormai film di culto.

La liceale: il cast e i seguiti del film con Gloria Guida

Gianfranco D'Angelo, Alvaro Vitali, Franco Diogene, Mario Carotenuto, Enzo Cannavale e Rodolfo Bigotti erano gli uomini sedotti da questa liceale di nome Loredana che scopre di avere un grande potenziale con gli uomini e non esita mettere scompiglio, facendo un fascio di tutta la compagine maschile composta da studenti e professori. Il pubblico apprezzò molto l'idea di inserire nel cast anche Ilona Staller, in arte Cicciolina, il cui personaggio di Monica non è certo immune al potere seduttivo di Loredana. Cercando sul web alcuni commenti, si trovano spesso spettatori stranieri confessano di aver perso la concetrazione sui sottotitoli in molte occasioni. Il film ebbe ben tre seguiti, La liceale nella classe dei ripetenti (1978), La liceale seduce i professori (1979) e La liceale, il diavolo e l'acquasanta (1979) che non erano prosecuzioni della storia del primo film, ma raccontavano ulteriori situazioni animate più o meno sempre dagli stessi attori, ai quali si aggiunse Lino Banfi.
Fino a poco tempo fa La liceale era disponibile gratuitamente su Youtube sul canale Film&Clips, ora non lo è più ma continua ad esserci la versione del film in russo. Se la voce del narratore che sintetizza i dialoghi italiani, pur sempre udibili, non vi disturba, allora potete assecondare il richiamo della vostra curiosità e mandare in play il video qui sotto per vedere La liceale.



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Scarlett Johansson si è sposata, per la terza volta

Non si può certo dire che Scarlett Johansson non creda nell’amore, e nel matrimonio, visto che, a soli 36 anni non compiuti, ha appena detto per la terza volta ‘sì, lo voglio’, nel corso di una cerimonia privata e intima, come si dovrebbe fare durante una pandemia. Il fortunato, questa volta, è il fidanzato da poco più di un anno, l’attore e comico Colin Jost.

Dopo due matrimoni durati ognuno un paio d’anni, prima con l’attore Ryan Reynolds e poi con il giornalista francese Romain Dauriac, dal quale è nata la figlia Rose Dorothy, è la volta di uno degli autori degli sketch del celebre Saturday Night Live, per l’appunto Colin Jost, anche attore e cabarettista.

La cerimonia si è tenuta nel corso del fine settimana, a Palisades, New York, nel rispetto delle sane regole contro il coronavirus. Lo ha detto un’associazione di beneficenza, la Meals on Wheels, supportata molto dai novelli sposi, impegnati a garantire un pasto alle persone anziane e bisognose durante la pandemia. Grazie agli introiti per interpretare il ruolo ricorrente della Vedova nera nei film della Marvel, Scarlett Johansson è una delle attrici più pagate del mondo del cinema.



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The Suicide Squad - Missione suicida, rivelata la storia: "Nessuna regola su sesso e violenza!"

The Suicide Squad - Missione suicida, in uscita nel 2021, ha finalmente una trama: ne hanno discusso lo sceneggiatore e regista James Gunn e il producer del film, Peter Safran, per conto della Warner Bros. Fortunatamente la lavorazione di questo sequel, che di fatto profuma di reboot, non ha risentito dell'impatto con l'emergenza Covid, perché Gunn aveva già dato l'ultimo ciak quando il Coronavirus ha colpito. Andiamo a leggere cosa ci aspetta nella storia di The Suicide Squad. Naturalmente fermatevi qui se non volete spoiler nemmeno sulla vicenda a grandi linee.

The Suicide Squad - Missione suicida, la trama rivelata a grandi linee

In The Suicide Squad - Missione suicida, la squadra verrà inviata in un'immaginaria isola latino-americana, quella Corto Maltese (!!!) già usata nei fumetti DC, dove saranno chiamati a distruggere un laboratorio chiamato Jotunheim: risale all'epoca nazista, e al suo interno i prigionieri politici erano vittima di crudeli esperimenti. Naturalmente Gunn e Safran si sono guardati dal rivelare di più, ma siamo certi che un passaggio dell'intervista a Gunn andrà a genio ai fan: "Per quel che riguarda sesso e violenza, non ci sono regole!"

The Suicide Squad - Missione suicida, il più grande set mai costruito dalla Warner Bros

C'è un altro elemento interessante nell'intervista a regista e produttore di The Suicide Squad - Missione suicida: pare che la lavorazione si sia basata essenzialmente su set fisici ed effetti speciali durante le riprese, con la costruzione apposita di oltre 100 ambienti, un record per la Warner Bros. Un'esperienza che per James Gunn va oltre quello da lui stesso allestito per i due Guardiani della Galassia presso la concorrenza...

Ormai nei miei altri film facevo sempre più bluescreen, mi scoccia un po' passare tre settimane su un set fatto solo di un po' di pietre dipinte di viola. Ma The Suicide Squad è un grosso film con un sacco di effetti speciali sul set. Abbiamo costruito set giganteschi. [Il tecnico degli effetti Dan Sudick] pensa che abbiamo fatto più effetti sul set di questo film che in tutti i film Marvel messi assieme. Ed è vero, perché sfasciamo auto, facciamo saltare in aria un sacco di cose, tonnellate di petardi... potevamo fare quello che volevamo!


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Gretel e Hansel e gli altri: tutti gli horror di Oz Perkins in streaming per festeggiare Halloween

Ve lo sto ripetendo da tempo: Osgood Perkins, per tutti semplicemente Oz, è uno dei nuovi autori horror più interessanti in circolazione.
Se ancora non lo conoscete, o se vi mancano dei pezzi, questo weekend di Halloween potrebbe essere l'occasione giusta per vedere la sua opera completa (consistente alla fine in soli tre lunghi in streaming.
Da oggi, infatti, è disponibile in digitale (su Rakuten TV, Itunes, Google, TIM Vision, Chili, Sky e Infinity) Gretel e Hansel, il film uscito fugacemente in sala lo scorso agosto nel quale Perkins rielabora la fiaba di Hansel e Gretel dei fratelli Grimm dando vita a una favola horror dal gusto squisitamente contemporaneo e con una cupissima ed elegante messa in scena curata in modo maniacale, con la Sophia Lillis di It bravissima nel ruolo della protagonista.

Gretel e Hansel: il trailer

Leggi anche Gretel e Hansel: la recensione di Federico Gironi

Il primo film diretto da Oz Perkins è invece February - L'innocenza del male, ed è un horror psicologico di cui è protagonista Emma Roberts che vede intrecciarsi in modo sorprendente la storia di due studentesse di un collegio cattolico rimaste sole nella scuola durante le vacanze invernali, mentre tutte le loro compagne sono tornate a casa dalle famiglie, e una coetanea fuggita da un ospedale psichiatrico. February - L'innocenza del male è disponibile in streaming su Amazon Prime Video e a noleggio e in vendita su Rakuten TV, Chili e Google.

February - L'innocenza del male: il trailer

Tra Gretel e Hansel e February - L'innocenza del male si piazza invece Sono la bella creatura che vive in questa casa, che trovate disponibile su Netflix e basta, essendo un Netflix Original.
È un horror vagamente ispirato dalla letteratura di Shirley Jackson che si piazza a metà tra il racconto di una casa stregata e qualcosa di più complesso, nel quale Ruth Wilson veste i panni di un'infermiera che si trasferisce in una vecchia casa per prendersi cura di una anziana scrittrice di romanzi dell'orrore affetta da demenza senile, e che scoprità come i libri della donna sono basati un un fatto di sangue avvenuto in quella stessa casa.

Sono la bella creatura che vive in questa casa: il trailer



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#Unfit - La psicologia di Donald Trump

Dentro la mente del presidente degli USA
* * * - - (mymonetro: 3,05)
Consigliato: Sì
Regia di Dan Partland.
Genere Documentario - USA, 2020. Durata 83 minuti circa.

Il 20 gennaio 2017, a poche ore dalla sua elezione come Presidente degli Stati Uniti, Donald John Trump fa sapere alla stampa tramite il suo portavoce di essere insoddisfatto della copertura mediatica dell'evento, a suo parere distorta perché avrebbe evidenziato una partecipazione minore di cittadini rispetto all'insediamento di Obama. È il primo atto di una strategia di comunicazione aggressiva e compulsiva, fatta di toni autoritari, mimica mussoliniana e linguaggio rozzo e semplificato, dal vivo e sui social, che respinge le ricostruzioni e le tesi diverse dalle proprie come "fake news" e che per tutta la sua presidenza occuperà i media e preoccuperà i democratici di ogni latitudine. All'approssimarsi delle elezioni di novembre 2020, il regista e produttore Dan Partland interpella diversi psichiatri, psicologi, storici e comunicatori politici per individuare e contestualizzare i motivi che rendono il quarantacinquesimo presidente americano inadatto ("unfit") al proprio ruolo istituzionale. In maniera clamorosa ma soprattutto pericolosa per la nazione, quindi per il pianeta.





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Songbird: il trailer del thriller in quarantena e sulla pandemia prodotto da Michael Bay

Michael Bay ha prodotto il primo film girato a Los Angeles dopo l’esplosione della pandemia, Songbird, un thriller di cui vi presentiamo il trailer originale. È anche il primo film sulla quarantena, con uno scenario da incubo, quello di un’America arrivata ormai al quarto anno di lockdown e con una pandemia che ha messo in ginocchio la democrazia e i cittadini.

La frase di lancio è chiara, e fa venire i brividi: ‘quattro anni di quarantena hanno cambiato il virus… e anche noi’
Primo film sulla pandemia, Songbird è diretto da Adam Mason, che ha scritto anche la sceneggiatura insieme a Simon Boyes. Prodotto da Michael Bay, vede fra gli interpreti KJ Apa, Sofia Carson, Craig Robinson, Bradley Whitford, Peter Stormare, Alexandra Daddario, Demi Moore e Paul Walter Hauser.

Songbird la trama

Il virus COVID-23 è mutato e il mondo è al suo quarto anno di lockdown. Americani infetti sono spogliati delle loro case e costretti in campi di quarantena denominati Q-Zones, dai quali non c’è possibilità di fuga, mentre un manipolo di anime coraggiose lottano contro le forze di oppressione. Nel mezzo di questo panorama dispotico, un corriere senza paura, Nico (KJ Apa), immune al patogeno mortale, trova speranza e amore in Sara (Sofia Carson), anche se è costretta in una quarantena che gli impedisce il contatto fisico. Quando Sara è sospettata di essere infetta, Nico corre disperatamente per le strade desolate di Los Angeles in cerca della sola cosa che può salvarla dalla prigionia…o peggio.

Songbird il trailer originale



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Diego Armando Maradona e il cinema: storia personale del Pibe de Oro sul grande schermo

Tra gli ospiti dell’esclusivo resort sulle Alpi svizzere dove è ambientato Youth di Paolo Sorrentino c’è anche un uomo in evidente e grave sovrappeso, con una gran massa di ricci neri sulla testa, orecchini di brillanti a entrambe le orecchie, una catena d’oro al collo, un pizzetto brizzolato e un enorme tatuaggio del volto di Karl Marx che gli copre l’intera schiena.
L’uomo, che quasi sempre indossa occhiali neri e un cappellino da baseball si muove lentamente e con fatica, aiutato da un bastone e da una moglie giovane e bionda. Oltre che da una bombola di ossigeno sempre a sua disposizione.
In una scena del film l’uomo passa lentamente e faticosamente al fianco di un campo da tennis deserto, e nota una pallina rimasta lì, sulla terra rossa. Poi c’è uno stacco di montaggio, e vediamo la pallina da tennis volare altissimo in aria, ripetutamente. Un nuovo stacco ed ecco che la macchina da presa ci mostra l’uomo, completamente nudo con l’eccezione di un paio di calzoncini da bagno neri, che respirando affannosamente colpisce la pallina da tennis col suo magico piede sinistro ("anch'io sono mancino, sai?", diceva a un ragazzino a mollo in una piscina che stava parlando con il personaggio di Michael Caine; "Cristo, tutto il mondo sa che lei è mancino", gli rispondeva quello di Paul Dano), palleggiando fino a quando il fiato corto gli impedisce di andare avanti.

Ho sempre pensato che quello di Youth, in tutta la sua natura grottesca e patetica, eppure così dolce e poetica, sia stato l’omaggio più sentito e sincero fatto a Diego Armando Maradona da un qualsiasi regista cinematografico.
D’altronde, Paolo Sorrentino non ha mai nascosto la sua adorazione per il Pibe de Oro. Il suo discorso, quando vinse l’Oscar per il miglior film straniero con La Grande Bellezza, poco più di un anno prima che Youth venisse presentato in concorso a Cannes, conteneva un ringraziamento “alle mie fonti di ispirazione: Federico Fellini, i Talking Heads, Martin Scorsese e Diego Armando Maradona.
Il suo prossimo film, che sta girando per Netflix, s’intitola È stata la mano di Dio, altra allusione al calciatore argentino, e al famigerato gol che segnò aiutandosi con la mano contro l’Inghilterra nei quarti di finale dei Campionati del Mondo di Messico ‘86. “È stata la mano di Dio”. Così disse successivamente Maradona di quella rete, una delle più note e sicuramente la più chiacchierata della storia del calcio.
Il nuovo film di Sorrentino non parla direttamente di Maradona, ma indirettamente sì. Storia vagamente autobiografica, quella di È stata la mano di Dio, che prende spunto dalla morte dei genitori di Sorrentino, asfissiati nel sonno dal monossido di carbonio mentre erano in vacanza a Roccaraso. Paolo doveva essere in montagna con loro, ma aveva avuto il permesso di andare a Empoli per vedere giocare Maradona e il Napoli; e così si salvò, come lui stesso ha raccontato.

A Maradona, che pure aveva apprezzato l’omaggio in Youth, pare che il titolo di questo nuovo film non sia piaciuto, e ha minacciato cause tramite i suoi legali.
Non ebbe nulla da ridire, invece, quando nel 2007, Marco Risi diresse un film biografico non particolarmente memorabile intitolato proprio Maradona - La mano de Dios, nel quale Risi ripercorreva le principali tappe umane e sportive della vita e della carriera del calciatore.
L’anno successivo, nel 2008, fu Emir Kusturica a raccontare a modo suo Maradona, in un documentario (assai sui generis) eloquentemente intitolato Maradona di Kusturica, che era sostanzialmente un montaggio di riprese che mostrano chiacchierate tra i due, e che toccano sì il versante sportivo, ma anche quello dell’impegno politico dell’oramai ex calciatore, e del suo ruolo di padre e marito.
Nel documentario di Kusturica, come già nel film di Risi, ma in maniera assai più esplicita e articolata, emerge il rapporto con la cocaina del Pibe de Oro, e la sua lotta contro la dipendenza. Dipendenza che, pare, sia iniziata durante gli anni napoletani del giocatore, quegli anni raccontati benissimo nel migliore dei film incentrati su di lui, il Diego Maradona di Asif Kapadia, il regista inglese che aveva già portato al cinema le storie di Ayrton Senna e Amy Winehouse.
Tutto costruito su materiali d’archivio montati assieme, su un tappeto di interviste realizzate invece nel presente, il film di Kapadia è quello che meglio di tutti racconta le tante contraddizioni umane e sportive di Maradona: ma sul legame con Napoli, e su quello che Maradona ha rappresentato per la città e per i napoletani (Sorrentino compreso), ha fatto quasi meglio il regista italiano Alessio Maria Federici in Maradonapoli, un doc che che non è tanto su Maradona, ma prima di tutto su Napoli, e poi su come Napoli ha vissuto Maradona.
E se volete approdondire, sia Diego Maradona che Maradonapoli sono disponibili in streaming su Netflix e altre piattaforme.

Diego Maradona: il trailer del documentario

Maradonapoli: il trailer

Quello tra Napoli e Diego Armando Maradona è stato un matrimonio perfetto, passionale, intenso e tragico. Nessun altro luogo al mondo, nemmeno l’Argentina, ha accolto e abbracciato e esaltato il culto di Maradona come ha fatto Napoli, e in nessun altro luogo Maradona sarebbe potuto diventare la divinità della cultura popolare che è diventato senza il palcoscenico e il fondale e la partecipazione di Napoli.
Ne è testimonianza anche l’episodio di Tifosi, commedia antologica diretta da Neri Parenti nel 1999, in cui appare, nei panni di sé stesso, lo stesso Maradona, assieme a un altro mito napoletano come Nino D’Angelo, che prima gli svaligia casa per pagare i debiti, poi si accorge che la casa era sua e rimette tutto a posto.

Napoli o non Napoli, il mito di Diego Armando Maradona non accenna a tramontare, e continua a ispirare autori e registi di tutto il mondo. Come, ad esempio, il giovane regista e sceneggiatore palestinese Firas Khoury, classe 1982, l’anno in cui Maradona lasciò il Boca Junior per approdare al Barcellona.
Un suo cortometraggio del 2019 si chiama Maradona’s Legs, ha girato diversi festival e racconta la storia di due bambini palestinesi che, nelle settimane in cui si stanno giocando i Mondiali di Italia ‘90 (quelli che, come raccontato nel documentario di Kapadia, segnarono la rottura dell’idillio tra Napoli e Diego, con quell’Italia-Argentina caldissima giocata proprio al San Paolo) sono ossessionati dalla ricerca della parte inferiore della figurina doppia di Maradona, quella che appunto ne raffigura le gambe, e che permetterebbe loro di completare il loro album dei calciatori e vincere così una console Atari.



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Cinque film in streaming per celebrare l'arte (e il compleanno) di Peter Jackson

Forse nessuno come Peter Jackson ha saputo conservare la propria integrità di autore nella transizione dal cinema indipendente a quello realizzato per una grossa compagnia hollywoodiana. Il cineasta neozelandese è riuscito a imporre la sua visione personale e assolutamente specifica del cinema fantastico grazie alla volontà di controllare ogni aspetto della produzione cinematografica, al fine di renderlo coerente con gli altri. Sotto questo punto di vista la creazione e lo sviluppo della sua compagnia di effetti speciali, la Weta, sono risultati momenti altrettanto fondamentali nella carriera di Jackson. Vogliamo dunque celebrare il compleanno del regista (domani compie 59 anni) regalandovi una panoramica di cinque film in streaming che ne racconta la straordinaria e personalissima carriera. Buona lettura.

Cinque film in streaming diretti dal grande Peter Jackson

  • Sospesi nel tempo
  • Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re
  • King Kong
  • Amabili resti
  • Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato

Sospesi nel tempo (1996)

Il primo vero confronto con il modus operandi delle major hollywoodiane arriva per Jackson grazie alla supervisione produttiva di Robert Zemeckis, che gli offre la chance di dirigere l’amico Michael J. Fox nella commedia/horror presentata in anteprima al Festival di Venezia. Sospesi nel tempo dimostra il fiuto sopraffino di Jackson, che realizza un film scatenato alla maniera dei suoi primi splatter ma sa anche renderlo appetibile per il grande pubblico. A tratti irresistibile, questo piccolo grande “ibrido” serve all’autore per aprirsi le porte del cinema che conta davvero. Disponibile su Chili, Google Play, Apple Itunes.

Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re (2003)

Abbiamo scelto l’ultimo capitolo della trilogia soltanto perché momento di chiusura, suggello di un’esperienza cinematografica, umana e concettuale senza eguali nella storia del cinema. Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re e i due film precedenti ci hanno restituito il senso di meraviglia che devono aver provato gli spettatori che negli anni '30 sono andati a vedere il primo King Kong, tanto per citare un classico amato da Jackson. Grazie a questi fantasy abbiamo scoperto mondi sconosciuti, amato personaggi a tutto tondo, compattutto su campi di battaglia prima inimmaginabili. Il baricentro emotivo e psicologico della storia del cinema del XXI Secolo. Disponibile su Rakuten TV, Chili, Google Play, Infinity, Netflix, TIMVision, Amazon Prime Video.

King Kong (2005)

Il film senza dubbio più personale della filmografia mainstream di Jackson, King Kong rappresenta la voglia fanciullesca di giocare con la propria creatura e col mezzo-cinema che lo rende possibile. Per portare sul grande schermo il suo sogno di bambino il cineasta sceglie di non adoperare mezze misure e costruisce un film strabordante nella narrazione quanto nella visione. La sequenza della lotta contro i tirannosauri è un miracolo di  cinema quasi estenuante, così come ardite e personali si dimostrano molte altre soluzioni contenute nel film. A impreziosire gli straordinari effetti speciali però arrivano anche l’umanità e la dolcezza di Naomi Watts, valore aggiunto esplicitato già dalla prima, emozionante scena di ballo al vaudeville. Che film potente è questo King Kong...Disponibile su Rakuten TV, Chili, Google Play, Apple Itunes, Netflix, Amazon Prime Video.

Amabili resti (2009)

Un tema caro a Jackson come quello dell’infanzia spezzata viene portato sul grande schermo grazie alla trasposizione del romanzo di Alice Sebold. Amabili resti è un melodramma che adopera effetti speciali preziosi per raccontare esseri umani e il loro dolore. Una visione ancora una volta molto personale per un film estremamente complesso, difficile da interpretare in tutte le sue sfumature eppure potente nel veicolare al pubblico le emozioni dei personaggi. Perfetto Stanley Tucci nel ruolo dell’Orco di questa fiaba nerissima. Impagabile la prova di Saoirse Ronan, a nostro avviso la migliore della sua carriera. Disponibile su Rakuten TV, Chili, Google Play, Apple Itunes, Netflix,  Amazon Prime Video.

Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato (2012)

Costretto a passare dietro la macchina da presa dopo l’abbandono di Guillermo Del Toro, Jackson ha reso la trilogia de Lo Hobbit un qualcosa di altrettanto personale e innovativo, grazie soprattutto all’idea di girarlo a 60 fotogrammi al secondo. Meglio non catalogare i nuovi film come semplice appendice a Il Signore degli Anelli. A partire da Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato l’autore ha ridisegnato un universo cinematografico capace di contenere un’avventura di nuove densità emotive, sottotesti ancor più drammatici e legati al nostro presente. Con un impagabile Martin Freeman. La visione di questo film in IMAX ha cambiato la nostra percezione di ciò che poteva essere realizzato per il grande schermo. Un momento di cinema altrettanto epocale. Disponibile su Rakuten TV, Chili, Google Play, Infinity, Apple Itunes, TIMVision, Amazon Prime Video.

Se amate Peter Jackson vi consigliamo caldamente di tornare a rivedere anche i suoi primi horror, conditi di tantissimo gore e una vena satirica irriverente, forse anche più corrosiva del primo Sam Raimi. C’è però un titolo a cui siamo davvero legati e vi consigliamo di non perdere, anche se purtroppo non è disponibile in streaming: si tratta di Creature del cielo, dramma che sfocia nell’horror dell’anima realizzato da Jackson come un viaggio allucinato dentro l’universo della mente distorta di due adolescenti. Uscito nel 1994, il film vinse il Leone d’Argento a Venezia, fu candidato all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale ma soprattutto lanciò la carriera dell’allora sconosciuta Kate Winslet. Una perla cinematografica oscura di febbrile bellezza. 



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giovedì 29 ottobre 2020

Halloween Killer: nuovo teaser trailer dell'horror che vedremo a Halloween... del 2021

Perfino Michael Myers ha dovuto piegarsi alla pandemia (e alle scelte delle major).
Sappiamo oramai da tempo che Halloween Kills, sequel dell'Halloween diretto da David Gordon Green del 2018 che ha dato un nuovo impulso alla serie horror nata con film di John Carpenter, e che si è proposto come primo capitolo di una trilogia conclusiva della saga di Myers, uscirà tra un anno, il 15 ottobre del 2021, per l'Halloween del prossimo anno, e non in queste settimane come inizialmente previsto.
I fan ci son rimasti malissmo, ma come spiegato dallo stesso Carpenter, che di questi nuovi film è produttore, per lui e i realizzatori era importante che questo film venisse visto al cinema.
Intanto, per alleviare il peso dell'attesa, ecco un nuovo teaser trailer di Halloween Kills.
Buon Halloween a tutti quanti.



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The Rocky Horror Picture Show (1975)

The Rocky Horror Picture Show

“Give yourself over to absolute pleasure.” — Dr. Frank-N-Furter

As a stripped-down version of the Twentieth Century Fox theme plays, a midnight screening of The Rocky Horror Picture Show begins. "And God said, Let there be lips!" And there were lips: red lips, white teeth, black background. An androgynous voice sings “Science fiction, double feature.” Between verses, the lips freeze in black and white before fading into a cross above a church.

If it were not for expensive usage rights and the studio’s inability to secure Shirley Bassey-level talent, these unforgettable ruby-red lips, singing a song with someone else’s voice, might never have come to be. An iconic and blustering introduction to one of cinema's greatest cult films, the opening credits to The Rocky Horror Picture Show set the tone for the film's punk energy and playfully paradoxical atmosphere.

The Rocky Horror Picture Show, now one of the most successful cult films of all time, began as a stage play. Originally titled They Came from Denton High, it was written by Richard O'Brien while he was a broke actor trying to find work in London and intended as an homage to the science fiction B-movies he loved as a child.

Against the backdrop of the emerging glam scene in…

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Insidious 5: Patrick Wilson regista e protagonista del quinto capitolo dell'horror!

Ci eravamo lasciati, a proposito di Insidious 5, una della saghe horror di maggior successo di pubblico (542 milioni di dollari al box office mondiale, a fronte di budget molto modesti), con la promessa di Lin Shaye che il film si sarebbe fatto. Era giusto un anno fa, poi è successo quel che tutti sappiamo e non se n'è più parlato. Oggi si è tenuta la prima edizione del BlumFest, e in casa Blumhouse è stato ufficialmente annunciato che a dirigerlo e a interpretarlo sarà Patrick Wilson, che farà il suo debutto dietro la macchina da presa proprio con questo horror che lo ha visto protagonista dei primi 2 film.

La storia di Insidious 5 - scritta da Scott Teems su soggetto di Leigh Whannell - si svolgerà 10 anni dopo gli eventi del primo film, quando il figlio Dalton (Ty Simpkins) va al college. Wilson sarà di nuovo Josh Lambert, il capofamiglia preso di mira dai malevoli spiriti. L'attore ha così commentato l'annuncio:

"Sono onorato ed elettrizzato di essere il regista del prossimo film di Insidious, che ci darà una fantastica possibilità di esaminare tutto quello che è successo ai Lambert dieci anni fa e di trattare le conseguenze delle loro scelte. Dirigere il film completa il cerchio per me, sia professionalmente che personalmente, e sono estremamente grato per aver ottenuto l'incarico di raccontare questa storia spaventosa e inquietante. Andiamo nell'Altrove...".

Considerando che gli ultimi due erano prequel di cui l'ultimo incentrato proprio sul personaggio di Lin Shaye, non sappiamo se l'attrice - ufficialmente nell'Altrove - tornerà anche per il quinto film, ma troviamo Patrick Wilson - che da amante dell'horror è anche coinvolto nella serie The Conjuring - molto convincente nel ruolo e approviamo la sua promozione a regista.



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