Sulla pista olimpica di Tokyo, così come nelle strade di una qualcuna città, ogni giorno giunge conferma di come il nostro paese sia sempre più multietnico, ben diverso anche solo da una decina d’anni fa. Il cinema finalmente inizia a rendersene conto, come dimostra Il legionario, convincente esordio del trentenne Hleb Papou, fresco di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Presentato e applaudito oggi nella sezione Cineasti del presente del Locarno Film Festival 2021, è la storia di Daniel, un ragazzo di origine africana che si fa valere nel mondo del Reparto Mobile della polizia a Roma. Un giorno viene incaricato di sgomberare un palazzo occupato in cui vivono molte famiglie, fra cui il fratello e la madre. Il film uscirà nelle sale presto per Fandando distribuzione.
Abbiamo incontrato Hleb Papou a Locarno.
Ha raccontato la storia prima in un corto. Com’è andato il passaggio al lungometraggio?
Il bisogno era raccontare qualcosa sull’italia di molto attuale, sottolineare il nostro punto di vista sulle seconde generazioni, l’autodeterminazione, la realtà delle case occupate a Roma. Un fenomeno non recente, ma radicato da decenni. Avevamo voglia di mostrare come non sia più il paese di cinquant’anni fa. Con un cortometraggio arrivi a una platea ridotta, con un lungo spero di ampliare il pubblico destinatario.
Lo abbiamo appena visto alle Olimpiadi come l’Italia non sia più la stessa.
Assolutamente. Avendo poi praticato atletica leggera, sport che seguo sempre, mi rendo conto come ogni anno, in ogni competizione, l’Italia è sempre diversa da quella precedente.
Nel film i due fratelli rappresentano due dinamiche tipiche di una famiglia di seconda generazione: da una parte un fratello che diventa poliziotto e si integra fino ad annullare la cultura di origine, dall’altra il fratello che rinverdica scelte diverse.
La questione centrale rimane l’autodeterminazione, senza cadere in scelte stereotipate. Se un nero vuole entrare nella celere lo può fare, pur venendo dal mondo dell’occupazione. Il protagonista cerca di mediare. Per me sono entrambi nel giusto, non è che uno è cattivo o l’altro ha meno torto rispetto al fratello. Sono esseri umani che prendono delle decisioni in base a quello che pensano, a cui capita di fare delle cazzate. Abbiamo cercato di renderli più vivi possibili e meno macchiette. Al costo di provocare o di fare un film non politicamente corretto o buonista. Già per il corto, per il lungo ancora di più, abbiamo passato molte giornate nella caserma del primo Reparto Mobile della Polizia di Roma, conoscendo diverse categorie di poliziotti, di celerini. La stessa cosa l’abbiamo fatta all’interno del mondo occupantistico, soprattutto nel palazzo in cui abbiamo girato, a Via Santa Croce in Gerusalemme, nel quartiere Esquilino. Una zona centralissima di Roma, un quartiere borghese con tutte le sue caratteristiche. Volevamo essere più onesti possibile, senza cadere in alcun tranello, e per farlo abbiamo svolto una ricerca molto accurata. Non cercavo di fare un film che piacesse per forza o dovesse essere categorizzato in una corrente predeterminata. Non volevamo etichette.
Sono due gruppi che si contrappongono. La famiglia della Celere e dall’altra quello degli occupanti. È anche una società che cerca nuove famiglie, ricreando universi diversi dal passato.
Questi due microcosmi, infatti, all’interno della nostra società, sono paradossalmente anche simili fra di loro. Il mondo della Celere si autodefinisce "la chiave inglese della Polizia di Stato". Sono molto autoreferenziali e chiusi. Hanno delle regole ben precise, se non sei come noi te ne vai fuori. Se invece lo sei puoi essere nero, bianco, giallo o verde, fino a che indossi il casco, la combat vest, ci proteggiamo a vicenda, con un cameratismo bello radicato, ma che non guarda in faccia a nessuno. Non c’è una visione etnica, razziale o religiosa. Un cameratismo puro, chiamiamolo pure romantico. Nella casa occupata invece c’è un microcosmo con delle regole ben precise. Se ti comporti in un certo modo rischi di essere espulso. Ci sono delle regole abbastanza autoritarie anche là dentro.
Come ha scelto il casting, che presenta finalmente volti nuovi e nuovi italiani rappresentati. Attori che il cinema italiano dovrebbe cominciare a utilizzare di più.
A me piace vivere in una società multietnica, più nazionalità ci sono e meglio è. Una ricchezza per il paese, senza cadere nell’ipocrisia. Il protagonista, Germano Gentile, è l’unico che aveva già fatto il cortometraggio. Il fratello l’ho scelto dopo moltissimi provini di ragazzi cresciuti a Roma, sia attori che non attori. Il migliore secondo me era Maurizio Bousso, che ha recitato anche in Tolo Tolo di Zalone.
from ComingSoon.it - Le notizie sui film e le star https://ift.tt/3jy42yB
via Cinema Studi - Lo studio del cinema è sul web
Nessun commento:
Posta un commento