Storia di un padre, ma soprattutto della relazione con il figlio. Falling è l’opera prima da regista, finalmente, dopo molti tentativi, per Viggo Mortensen, uno degli interpreti più colti e poliedrici della sua generazione. Non è un caso che sia lui in prima persona a interpretare il figlio, mentre il padre è un sontuoso Lance Henriksen.
Willis (Lance Henriksen) è un uomo di altri tempi, costretto a lasciare la fattoria dove vive per trasferirsi a casa di suo figlio John (Viggo Mortensen), che vive con il suo compagno e la loro figlia in California, lontano dalla tradizionale vita rurale a cui Willis è abituato. Un confronto tra padre e figlio, dopo anni di incomprensioni. Falling è un film doloroso e personale, appena uscito per BIM nelle sale italiane, di cui ci ha parlato il regista in un incontro via zoom.
Perché proprio ora il suo esordio alla regia, e perché con questa storia in particolare?
La ragione per cui Falling è la mia opera prima è che è il primo film per cui ho trovato i finanziamenti. Ci ho provato per venticinque anni, ho scritto molte sceneggiature. Due nuove le ho scritte proprio durante la pandemia, e spero di poter girare prima o poi. Questa storia specifica, però, volevo raccontarla perché, anche se attraverso la finzione, esplora i miei sentimenti per i miei genitori, soprattutto mia madre, ma anche mio padre. Inoltre volevo mettere in pratica quello che ho imparato nella vita, oltre a esplorare la comunicazione, le dinamiche con cui l’empatia si sviluppa all’interno della società di oggi. Non solo negli Stati Uniti, ma ovunque. Prima di perdonarci, dovremmo imparare a comprenderci, come disse Emma Goldman. In Falling ci sono un padre e un figlio che, chiaramente, non si comprendono l’un l’altro, anche se per buona parte del film è il figlio ha tentare con maggior slancio di farlo, di comprendere. Ma cerca di “aggiustare” il padre. La verità è che dovremmo smetterla di dire alle persone come dovrebbero essere, cambiarli fino a renderli come li vorremmo noi. Se veramente ambiamo a un dialogo, a una conversazione onesta, dovremmo accettare gli altri più che possiamo, e in questo modo anche noi stessi, con le cose positive e negative che ci contraddistinguono. Poi si può iniziare un dialogo onesto. Falling racconta questo.
Sta descrivendo un coraggio non comune, quello di non sentirsi superiori.
La vita è una continua sequenza di aggiustamenti della relazione interna che intercorre con noi stessi e con l’esterno. È un costante movimento.
Non è facile affezionarsi al padre di Falling. In che modo ha cercato piano piano di concedere al pubblico di provare un pizzico di empatia per lui?
Quando scrivi una storia speri che possa risultare quella che hai immaginato. Idealmente anche migliore. La prima fase è quella di scrittura, con una nuova stesura quando giri e lavori con gli attori, e una terza quando monti. Poi la storia si scrive da sola quando viene mostrata al pubblico. Ogni spettatore ha il suo personale film, non è più la tua storia. Per il personaggio di Willis ho voluto Lance Henriksen, capace di rendere alla perfezione il passaggio costante fra diversi stati mentali, reagendo al modo in cui lo percepiamo sullo schermo. Questo mi ha aiutato ad andare molto più profondità di quanto avessi immaginato con questo personaggio. Con le parole, ma regalando anche molto altro. Sapevo che non sarebbe stato facile raccontare questa storia, ma è stata un’esperienza sul set ancora più fantastica di quanto avrei potuto sognare. Non solo con Lance. Dalla troupe agli attori, tutti si sono dimostrati molto coinvolti anche emotivamente.
Leggi anche Falling: la nostra recensione del film di Viggo MortensenCome ha lavorato per rappresentare visivamente la memoria del protagonista, i ricordi frammentati, che si sbiadiscono per la demenza senile che avanza?
Molti elementi li avevamo concepiti già prima delle riprese. Per esempio, avevo consapevolezza delle immagini dei ricordi che volevo tenere, anche se ho girato molto di più, sapendo come più materiale avevamo in sala di montaggio meglio sarebbe stato. Ogni scena richiedeva uno stile particolare. Ho provato in passato tre volte a finanziare Falling, questa per me doveva essere quella buona. Allora ho investito per girare con il direttore della fotografia e lo scenografo nella fattoria nel corso delle differenti stagioni. Molto prima dell’inizio delle riprese, avevo già in mente come le avremmo usate, quelle immagini. Poi in montaggio abbiamo variato alcune cose. Mi piace lavorare così: mi preparo scrupolosamente prima, in mondo da essere rilassato durante le riprese, aperto a nuove idee provenienti dagli attori o dalla troupe. Ho impensato dai registi migliori come questo possa solo aiutarti. Devi mettere da parte l’ego. Non avevo un autore specifico di riferimento, ma so bene che ogni film che ho visto, ma anche ogni set in cui sono stato o esperienza che ho vissuto nella vita, ha influenzato, rendendolo un film personale. Non è certo per caso che ho dedicato Falling ai miei due fratelli.
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