mercoledì 31 ottobre 2018

Disobedience

Nell'annus mirabilis 2017 che gli è valso uno dei massimi riconoscimenti internazionali – l'Oscar come miglior film straniero – per l'ottimo Una mujer fantástica, il regista cileno Sebastián Lelio, fin qui autore non particolarmente prolifico (prima del 2017 quattro film in dodici anni), ne dirige un secondo che è uscito solo adesso nelle sale italiane, intitolato Disobedience, il primo film che non nasca da un suo soggetto originale, il primo film, nella stesura della cui sceneggiatura, Lelio non si sia fatto aiutare dal fidato Gonzalo Maza. Il film è tratto infatti dall'omonimo romanzo autobiografico d'esordio della scrittrice anglo-ebraica Naomi Alderman, uscito in Inghilterra nel 2007 e tradotto lo stesso anno in Italia da Nottetempo. Si tratta di un buon film, nulla da dire, si vede che Lelio è bravo, ma lui ci aveva abituati a ben altro. Si capisce che il regista ha dovuto impratichirsi col soggetto, ha dovuto studiare – e come spesso succede in questi casi lo sguardo etnografico-antropologico finisce per avere il sopravvento e il film finisce per diventare ridondante, come di chi voglia dimostrare di aver tutte le carte in regola per raccontare un mondo che con molta verosimiglianza prima non conosceva affatto. Il mondo in questione è una comunità ebraica molto, molto ortodossa di Londra. Qui ritorna dopo anni di assenza la protagonista Ronit (interpretata da un'ottima Rachel Weisz), di professione fotografa a New York City, si capisce fin da subito che quando se n'era andata una decina di anni prima, lo aveva fatto sbattendo la porta. L'occasione per il ritorno è la morte del padre, con cui di fatto Ronit aveva rotto i rapporti. Qualcuno l'ha messa al corrente del decesso. Il padre era una figura, forse la figura carismatica di questa comunità, un maestro, un rav, si dice in ebraico. È proprio con le ultime parole del rav, con la sua ultima predica nella quale celebra l'importanza del libero arbitrio che si apre il film; dopodiché l'anziano maestro, ancora durante la predica, stramazza al suolo fra lo sconcerto degli astanti, sconcertati della morte e sconcertati di quest'ultimo messaggio. Appresa la notizia, Ronit è sconvolta, è sbigottita, nelle poche scene iniziali in cui vaga stranita per New York si riconosce il tocco di Lelio, la sua capacità di raccontare in modo allusivo, con un montaggio fortemente ellittico, un individuo smarrito, anche Marina, la mujer fantástica vagava così per le avenidas di Santiago. Quando arriva a Londra il racconto si incammina invece verso un percorso e anche uno stile più tradizionale: Ronit scopre che Dovid l'allievo prediletto e designato successore del rav ha sposato Esti, la ragazza di cui Ronit a suo tempo si era, ricambiata, innamorata. E' stata Esti, peraltro, a informare Ronit della morte del padre, a farla tornare a Londra per partecipare alla cerimonia funebre. Quel che segue è la riscoperta da parte di Ronit di tutte le dinamiche coercitive di inclusione e di esclusione, sul piano sociale e – soprattutto – in chiave gender che regolano la vita molto asfittica della comunità e che l'avevano a suo tempo indotta ad andarsene, la riscoperta di un affetto e di un'attrazione mai del tutto sopiti perché mai vissuti fino in fondo, anzi tanto più forti in quanto Esti di fatto si è votata alla negazione di sé, al sacrificio. Tutto piuttosto insistito, tutto piuttosto ripetitivo, con larghissimo spazio dedicato ai riti e alle cerimonie, all'abbigliamento e al mascheramento, è qui che il film mostra maggiormente la corda, affetto com'è da quello sguardo etnologico-antropologico peraltro neanche troppo originale, di cui si diceva, salvo poi riprendere vigore nella parte finale quando le relazioni, fin qui, terribilmente irrigidite, vivono un sorprendente dinamismo in omaggio alle ultime parole famose del rav, talché la figlia - se così si può dire per interposte persone, per interposto magistero - scopre fuori tempo massimo la statura del padre decidendo di omaggiarlo in una delle scene più belle del film, l'ultima, con una metonimica foto della fossa, mentre un lento movimento di macchina sulla gru, prende distanza dal cimitero. Come detto Disobedience è un film dignitoso ma non è il film più bello di Lelio, e non nascondiamo il timore che gli USA finiscano per “normalizzarlo”, se è vero che al Festival di Toronto di due mesi fa è stato presentato il remake americano di Gloria con Juliane Moore nel ruolo che era stato di Paulina García.S'intitola Gloria Bell e uscirà nelle sale di tutto il mondo nella primavera del 2019.

(Disobedience); Regia: Sebastián Lelio sceneggiatura: Sebastián Lelio, Rebecca Lenkiewicz fotografia: Danny Cohen; montaggio: Nathan Nugent; interpreti: Rachel Weisz (Ronit), Rachel McAdams (Esti), Alessandro Nivola (Dovid), Anton Lesser (Rav Krushka); produzione: Film4, London, Element Pictures, Dublin, Scope Pictures, Bruxelles, FilmNation, New York origine: Gran Bretagna, Irlanda, Belgio, Usa 2017; durata: 114'.



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