sabato 15 settembre 2018

Venezia 75 - The day I lost my shadow - Orizzonti

C'è un'immagine, conservata nel Museo della Pace di Hiroshima, chiamata L'ombra. Conosciuta anche come Ombra umana impressa nella pietra, la foto raffigura l'impronta di una persona che si trovava su una scalinata, in attesa dell'apertura della Sumitomo Bank Company, durante il bombardamento atomico avvenuto il 6 agosto del 1945 sulla città giapponese.
L'ombra sembra essere l'unico resto visibile sopravvissuto all'essere umano che si trovava sulle scale della banca al momento dell'esplosione nucleare, dissoltosi a causa del calore atomico.
L'ombra ritrovata - come quella di altre persone, riconosciute attraverso tracce di pelle, capelli, vestiti, a Hiroshima e Nagasaki - è stata identificata come quella di una donna di 42 anni, di nome Mitsuno Ochi.
Una macchia scura sulla pietra. Immagine-memoria di un fantasma. Ricordo per sottrazione di un essere vivente, di una donna affaccendata in una mansione quotidiana qualunque, necessaria a se stessa, certamente inutile a livello universale, svanita nel nulla, il cui nome echeggia ancora oggi, a futura memoria, quale simbolo di pace nella Storia dell'Umanità.
Wendi aveva ragione a volerla ricucire a Peter. L'ombra è tratto distintivo dell'essere umano, sempre accanto, mobile e fedele, fino alla morte, nel riprodurne il contorno essenziale e inimitabile. Forse per questo amiamo il cinema, le sue ombre, il loro senso di immortalità.
Yom adaatou zouli (The Day I Lost My Shadow), della regista siriana, nata in Francia, Soudade Kaadan, ci racconta un'altra leggenda che le riguarda: pare che nei luoghi dove si tenti di cancellare la vita umana in ogni sua forma, le ombre spariscano.
È il 2012 in Siria. A Sana qualcuno dice che è ciò che sta accadendo anche nel suo Paese. Ma la giovane donna, catturata nel turbine della surreale normalità di un quotidiano di madre e lavoratrice, che tenta di riempire la lavatrice prima che stacchino di nuovo la corrente, farà di tutto per non credere all'esistenza di tale funesto presagio.
Durante l'inverno più freddo che il Paese abbia mai conosciuto, Sana decide di muoversi alla ricerca di una bombola del gas per poter preparare da mangiare a suo figlio, trovandosi improvvisamente bloccata nella zona sotto assedio alle porte di Damasco, insieme a compagni di viaggio con cui condividerà ben più che un passaggio in auto.
Forte di una sensibilità drammaturgica di ascendenza teatrale da un lato e la rilevante esperienza sul terreno del cinema del reale, per committenti quali Aljazeera Documentary Channel, UNHCR e UNICEF, dall'altro, The Day I Lost My Shadow è forse il primo film di finzione sulla guerra in Siria che mette a sistema e interpreta, con precisione e intensità, la vastissima, magmatica esperienza documentaristica registrata in questi anni, facendo leva su elementi eterogenei, incrociati sapientemente. All'impiego fermo di un plot narrativo dai contorni classici (una protagonista, la sua ricerca, il viaggio, il fine minimo e quello ultimo, l'amore del figlio, la perdita ecc.), si mescolano suggestioni favolistiche, sfasamenti dimensionali (torna alla mente il realismo magico del tunisino Ala Eddine Slim in The last of us) e una messa in scena cinematica, in bilico costante tra movimento e staticità, rivolta con consapevolezza al pubblico più ampio.
Grazie alla scelta di una protagonista dai tratti kieslowskiani (tra la Binoche e Jacob, per traslucidità e enigmaticità), Kaadan ci porta dentro l'inferno dell'incertezza del quotidiano e dell'assuefazione all'orrore, senza mai perdere di vista la dignità, la tenerezza, la bellezza della vita, nei suoi aspetti più semplici di condivisione con l'altro, quali segni distintivi dell'essere umano, incarnato in un femminile di cui sentiamo ogni vibrazione attraversare ininterrottamente e senza soluzione di continuità corpo, mente, anima.
E' cinema che arriva veloce, anche nella freschezza dei tratti più acerbi, quale fluido slancio poetico, nello sforzo morale di chiarezza.

(Yom adaatou zouli ); Regia: Soudade Kaadan; sceneggiatura: Soudade Kaadan ; fotografia:Eric Devin ; montaggio: Pierre Deschamps, Soudade Kaadan; musica: nome del o dei compositori delle musiche (separati da virgola); interpreti: Sawsan Arsheed, Reham Al Kassar, Samer Ismael, Oweiss Moukhallalati, Ahmad Morhaf Al Ali; produzione: KAF Production (Amira Kaadan, Soudade Kaadan), Acrobates Film (Claire Lajoumard), Metaphora Production; origine: Siria, Libano, Francia, Qatar, 2018; durata: 94'



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